Caterina

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Caterina, così ho chiamato la mia gamba! Quarantacinque anni siamo state insieme, abbiamo condiviso corse sfrenate verso il "32" di viale Marconi; girato per le campagne profumate intorno al mio quartiere; ballato la salsa e la sensualissima rumba al "Divin dance" in via Cristoforo Colombo 85; un milione di volte l'ho depilata, incremata, massaggiata, imbellettata, l'ho velata con collant raffinatissimi e costosi, ma mai avevo pensato alla mia gamba come a un organo che potesse abbandonare il mio corpo, mai avrei creduto di dover fare i conti con una realtà che mi imponesse di restare senza di lei, che mi costringesse a evitare lo sguardo verso l'impietoso specchio che mi rimandava l'immagine di una monca, una menomata, una handicappata!
E ora? Cosa farò ora?
Ripenso a quel 14 luglio del 2013 e mi manca il fiato! Tra un po' saranno due anni che quel diciannovenne ubriaco me l'ha strappata via come si strappa un manifesto sbiadito dalla parete di un palazzo di periferia, ma io ancora non so farmene una ragione! La mia coscienza sa che lei non c'è più, ma la mia mente no! È come se il mio cervello si rifiutasse di accettarlo, come se non avesse percepito tutto quel dolore fisico e quei laceranti momenti successivi al mio risveglio in ospedale e alla mia terribile scoperta...eppure!
Qualcuno dice si tratti di un meccanismo inconscio di difesa del nostro cervello che reagisce obliando tutto ciò che può creare eccessiva frustrazione; qualcun altro sostiene che, semplicemente, siano le terminazioni nervose dell'arto mutilato a rendere ancora percepibile la gamba, fino a provocare dolore...un dolore fantasma che atterrisce, ammutolisce chi lo prova e lo fa vivere in un limbo...in sospensione...in eterna attesa di un qualcosa che non non succederà mai!

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