XXXIII ⚜ Come un dannato

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Michele temeva di impazzire. Sua figlia era morta. Non c'era più, era divenuta cenere, era sparita per sempre. La sola idea che fosse stata quella creatura, quell'abominio ultraterreno, quella spregevole sangue misto, gli faceva desiderare ardentemente di bruciare tra le fiamme dell'Inferno. Ombre peccaminose si diffusero nella sua mente: erano così opprimenti da non fargli udire la voce di Dio. Lui, appunto. Lui che tutto Sa, che tutto Rivela, che tutto Conosce. Lui, l'Onnisciente, l'Onnipotente. Lui, che non gli aveva proibito di mandare sua figlia, il suo gioiello più prezioso, sulla Terra. Lui, era stata pure lui a farla morire.

«Maledetta! Maledetta tu e tutta la vostra stirpe, Santo Spirito!» gridò, nutrendosi di collera e odio, sentimenti così estranei per un angelo da fargli girare la testa.

Uriel, dall'altra parte della stanza, fissava l'uomo che era come un padre per lui, nonostante la differenza di età assai limitata. Michele, intanto, si stava passando con furia le mani lungo le trame d'oro in testa, imprecando verso i Santo Spirito e, anche se implicitamente secondo Uriel, verso Dio stesso.

«Mostragli la luce, mio Serafino» disse dolcemente Lui nella sua mente. Sentirlo fu come un balsamo di sollievo nella sua mente: significava che la sua mente e il suo spirito erano lontani dai peccati della carne. Michele, invece, aveva già un piede nella fossa della perdizione ed andava fermato, prima di compiere gesti estremi.

«San Michele!» Uriel lo gridò con la stessa passione con cui ogni giorno pregava per l'Altissimo. «Datemi retta, per tutto l'amore che provo per voi! Smettetela di permeare la vostra mente di pensieri così peccaminosi, sarete solo di pessimo esempio per tutti i nostri fratelli, che ancora credono in voi e nella vostra luce! Vostra figlia ha combattuto con gloria e con onore fino alla fine, adempiendo al compito per il quale è nata, fratello mio adorato». Uriel fece una pausa, verificando l'effetto delle sue parole sulla sua luminosa guida.

Non era dei migliori. Michele aveva abbassato la testa e stretto le mani a pugno, continuando a borbottare parole a lui incomprensibili. Non era lingua angelica, bensì un altro idioma di dubbia origine. Brividi che trapassarono la sua schiena gli dettero l'impressione che fosse la lingua dei diavoli. Uriel si chiese come il suo adorato fratello sapesse quelle parole così arcane e crude, ma quando guardò Michele negli occhi gli parve di vedere un mostro.

Il luminoso Arcangelo aveva gli occhi macchiati di sangue, non solo l'iride ma la sclera tutta quanta era inghiottita dal sanguigno colore; le vene di collo e viso erano così tanto in rilievo, da fargli temere di scoppiare da un momento all'altro; i denti, poco prima bianchissimi e perfetti, adesso erano acuminate ed affilate zanne. Uriel gridò come un dannato, mentre l'istinto gli implorava di scappare ma l'amore di rimanere ed aiutare il suo adorato fratello.

Angeli & Demoni: l'AccademiaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora