Solving (almost) everything

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Oggi è il mio diciannovesimo compleaaaaannoooo!!!
Okay, detto questo, vi lascio al capitolo.
Ci vediamo in fondo!

"Dio, quanto mi sei mancata" disse Harry, lasciando un bacio tra i capelli di Tamara.
Lei si tirò il lenzuolo bianco sul petto nudo, addossandosi poi a quello muscoloso di Harry. Gli percorse con l'indice gli addominali scolpiti, inebriando il suo profumo.
"Non posso credere di aver resistito così a lungo" rispose lei, sorridendo. Harry le diede un altro bacio sulle labbra gonfie e poi si tirò sui gomiti, recuperando i boxer sul comodino lì accanto. Erano passati due giorni da quando lo scambio era avvenuto, eppure sembrava già passata un'eternità. Se solo ci si fosse focalizzati sopra, i contorni erano così labili da potersi estinguere da un momento all'altro, sebbene il libro sul comodino, Reflection, ne fosse una prova tangibile. Harry però aveva deciso di non pensarci. Era tornato a casa sua, era quella la cosa più importante. Tamara gli era mancata tantissimo, e passare di nuovo le notti infuocate insieme, gli fece scoppiare il cuore di gioia. Si infilò i boxer e poi i jeans, prendendo poi una maglietta da uno dei cassetti del comò. Tamara si mise seduta contro la testiera del letto, allungando la mano verso di lui. "Mi prenderesti la biancheria?"
Harry girò di poco la testa, sorridendo sadico. "E' una proposta, o...?"
Lei alzò gli occhi al cielo, facendogli il medio. "E' un ordine, Styles."
Il ragazzo sorrise e gliela lanciò contro, recuperandola dalla base del letto. Mentre Tamara si rivestiva, Harry si guardò intorno, sporgendosi verso il corridoio. Era incredibile quanto quella casa fosse cambiata, messa a nuovo. Non aveva mai pensato di aiutare Tamara, forse perché non erano mai stati in casa più di due ore, per cui non gli era passato nemmeno per la testa. C'era una cosa, però, che doveva fare, e non poteva lasciarla in sospeso, non dopo quello che aveva imparato stando dall'altra parte.
Quando Tamara gli si mise accanto, scesero entrambi al piano di sotto, recuperando le chiavi dal mobile nell'ingresso e uscendo all'aria aperta. Ovviamente per le strade del quartiere c'era silenzio, solo i loro passi rintuonavano sul marciapiede. Tamara uscì il telefono dalla tasca e controllò il rullino, mentre Harry le prendeva l'altra mano e faceva incontrare le loro dita. La ragazza sporse il telefono in avanti e scattò una fotografia, sotto uno sguardo stranito da parte di Harry. "Che ti prende?"
"Volevo imprimere il momento" disse, serena. Poi si fermò in mezzo alla strada, concentrandosi sul suo telefono. Harry le si avvicinò, sporgendo lo sguardo sullo schermo.
"Cosa vedi?" chiese, cercando di cogliere cosa avesse catturato l'attenzione della ragazza.
Tamara strinse le labbra e girò il telefono verso di lui. Harry aguzzò la vista e vide lo schermo interamente bianco, con solo dei contorni marcati e i dettagli quasi invisibili. Aumentò la luminosità del telefono e controllò meglio l'immagine. "Questo è.."
"Sì, il selfie."
Harry si focalizzò sui contorni dei due ragazzi nel bianco della stanza, cogliendo a malapena i dettagli di ciascuno di essi. Le ragazze erano quasi inesistenti. "Però non si vede bene" disse lui.
Tamara sollevò le spalle. "Non era lecito, Harry. Ricorda che è uno scambio avvenuto al di fuori del normale."
E il ragazzo annuì. Proprio mentre le riconsegnava il telefono, sentì dei passi concitati muoversi nella loro direzione. Tamara, in quei due giorni, gli aveva raccontato quasi tutto quello che era successo, dalla prigione, all'ospedale, alle risse e poi anche della bellissima A - anche l'unica - che Harry gli aveva fatto ottenere al compito su Shakespear. Però quando vide un amico del padre corrergli incontro, di certo non aveva idea di cosa aspettarsi. Il signor Mark gli si mise di fronte, fermandosi con il fiatone. Harry prese per mano Tamara e lo guardò con il cipiglio in volto.
"Harry" disse l'uomo, cercando di riprendere fiato.
Che voleva un amico del padre da lui?
"Che vuoi?" gli chiese, scorbutico.
Mark gli appoggiò una mano sulla spalla, guardandolo negli occhi verdi. "Tuo padre."
"Cosa?" stava perdendo la pazienza.
"Tuo padre" riprese l'uomo, ingoiando a vuoto, "è in coma etilico."

"Stai bene?" chiese Tamara, seduta sul marciepiede appena fuori dalla villa degli Styles, quella casa che Harry aveva sempre sognato come oggetto dei suoi peggiori incubi.
Il ragazzo annuì. Sapere del padre in ospedale l'aveva colpito, ma non tanto da spingerlo a raggiungerlo. Non voleva bene a quell'uomo. C'era solo un Jeremy Styles che stimava, e di certo non era quell'uomo steso in un letto dell'ospedale, con i tubi a ricoprirgli il corpo invecchiato e segnato dall'alcol e dalla droga. Solo che quell'uomo che aveva lasciato nell'altro mondo non l'avrebbe mai più rivisto, doveva convincersi di avere solo un padre, un uomo che non avrebbe mai voluto conoscere. Tamara credeva che lui stesse sotto shock, ma non era vero, per niente.
Era stranamente tranquillo, sebbene fosse una cosa cattiva da dire.
"Se l'è cercata" disse alla fine, per porre fine a quel silenzio. Si rimise in piedi, annuendo. "I dottori si prenderanno cura di lui, io non posso farci niente, nè tantomeno ho voglia di stargli accanto dopo tutto che ha fatto."
Tamara annuì e gli prese la mano. "Vuoi davvero andare da lei?" chiese alla fine.
Harry fece di sì con la testa. "Dopo quello che mi hai detto, sulla scoperta di Harry, non posso lasciare che una tale opportunità si disperda nel vento."
Appena finì di pronunciare la frase, spinse il cancello della proprietà e si mise a percorrere il sentiero di brecciolina che non avrebbe pensato di calpestare ancora una volta. Aveva deciso di andare a vivere con Tamara, l'unica famiglia che aveva, e si sarebbe impegnato ad aiutarla. Aveva deciso di iniziare a cercare un lavoro, ma tempo al tempo. Non voleva affrettare le cose, ma non poteva continuare a vivere in quello stato. Dopo aver visto i piani dell'altro Harry, la famiglia e i suoi progetti futuri, non poteva lasciare che la sua vita decadesse più di quanto già fosse precipitata. Quando entrò in casa, chiuse gli occhi e si arrampicò lungo le scale. Scorse la porta aperta della sua stanza. Non era cambiato niente, se non una maglietta in più gettata sul letto, una maglietta che non gli apparteneva, quella con cui era tornato e che proveniva da un altro armadio, migliore del suo. Tamara lo seguì e gli diede una pacca sulla spalla per incoraggiarlo, poi Harry si avviò verso quella maledetta porta chiusa. Tamara rimase leggermente in disparte, mentre Harry bussava.
Ovviamente non si aprì, ma rimase comunque con la mano appoggiata sopra il legno stinto.
Harry non era bravo con le parole, ma aveva capito che solo con la calma i pensieri avrebbero preso forma e sarebbero usciti dalle sue labbra leggermente schiuse.
Nell'altro mondo, Anne gli aveva inferto la forza di cambiare le carte in tavola. Aveva anche lui una mamma, sebbene le fosse totalmente opposta. Era malata, aveva bisogno di aiuto, e lasciarla da sola in quella dannata stanza, non avrebbe risolto nulla. Jeremy era fuori gioco, finalmente. Non avrebbe dato più fastidio nè a lui, nè alla donna dietro quella porta.
"Qualcuno mi ha fatto sapere che esci, di tanto in tanto, da questa stanza. Di certo non avevo dubbi che tu non lo facessi, però saperlo mi fa sentire...strano, ecco."
Tamara incrociò le braccia al petto, appoggiandosi al corrimano delle scale rovinate e scricchiolanti. "Le persone sbagliano nella vita perché, alla fine, nessuno è perfetto. Ognuno fa degli errori, ed è giusto che sia così perché non siamo santi. Non dobbiamo comportarci bene per avere, in futuro, un posto nell'aldilà. Dobbiamo comportarci bene per vivere bene adesso. Il presente è il tempo che conta. Il passato è un mucchio di ricordi per lo più spiacevoli e da cui è difficile scostarsi, ma bisogna guardare avanti, così come sto facendo io adesso."
Chi l'avrebbe mai detto, infatti, che avrebbe parlato alla madre dopo anni di mutismo e rancore nei suoi confronti. Non si sarebbe mai tornati come un tempo, ma bisognava migliorare nella vita. La rabbia non porta mai da nessuna parte, ti lascia marcire nel vuoto e nella solitudine. Non bisogna nemmeno essere totalmente buoni, però la rabbia nei confronti del mondo ti annienta nell'interiorità.
"Tu mi hai fatto soffrire, mi hai lasciato da solo e inerme di fronte ad una realtà schifosa, eppure sono qui. Ne sono uscito più o meno intatto, cosa che invece tu non hai fatto. La paura ti ha paralizzata, mentre a me la rabbia ha dato la forza di andare avanti e crescere. Devi farlo anche tu. Sei la mia mamma, cazzo, non lasciarmi ancora da solo."
Tamara, quando Harry aveva pronunciato l'ultima frase, si sentì un groppo in gola e spostò lo sguardo altrove, per evitare che Harry notasse i suoi occhi colmi di lacrime non versate.
"Dobbiamo uscire insieme da questa storia. Jeremy non darà più fastidio, te lo prometto."
Era facile, dopotutto, parlare di fronte ad una porta chiusa. "Io lo sforzo l'ho fatto. Tocca a te, adesso, fare un passo verso di me."
Harry indietreggiò, sentendosi il cuore leggero e una matassa finalmente sbrogliata all'interno del suo petto. Forse era quella la sensazione che si provava nell'essere sinceri.
Quando si girò per andare accanto a Tamara, un cigolio catturò la sua attenzione. Si immobilizzò, dando le spalle alla porta. Tamara drizzò le spalle, serrando le labbra e spalancando gli occhi. Harry la vide irrigidirsi, in preda al timore e all'indecisione, la bocca in quel momento schiusa. Un altro cigolio, ancora più prolungato del precedente. Quando Harry si girò, vide la porta che, piano, si apriva. Attraverso lo spiraglio non si vedeva nulla, ma poi un ciuffo di capelli face capolino dallo stipite.
Sentì il sangue ghiacciarsi nelle vene. Allora il suo discorso era stato sentito davvero.
Anne si sporse ancora di più, fin quando i suoi occhi si alzarono sulla figura del figlio immobile davanti alla porta ormai aperta. Nella stanza c'era solo un disordine sovrumano, la finestra spalancata e la scrivania ricolma di fogli e cartoni sparsi. Anne si mostrò alla vista del figlio, immobile a sua volta.
Aveva i capelli neri sporchi e lasciati sciolti sulle spalle scheletriche. Gli zigomi erano più pronunciati di quanto Harry ricordasse. Era passato troppo tempo da quando l'aveva vista sfuggire la prima e ultima volta. Suo padre le aveva dato uno schiaffo e, sebbene non avesse neanche dovuto azzardarsi, sua madre non avrebbe dovuto comportarsi da egoista. Eppure, vedendola così piccola e fragile, si rese conto che forse, tra i due, Harry era stato l'unico a crescere in ogni senso possibile. Anne aveva gli occhi spenti, le labbra secche e screpolate. I vestiti erano sporchi e larghi sul suo corpo dimagrito ad ogni limite immaginabile. Aveva le sembianze di uno scheletro rivestito da solo uno strato di pelle trasparente. Tamara risucchiò un singhiozzo, mentre Harry continuava a vedere la donna sconosciuta che gli era davanti. Se solo fosse stata più in forma, se fosse stata bene, sarebbe stata uguale alla Anne che aveva conosciuto e che non avrebbe mai voluto lasciare, ma lei era solo un bellissimo sogno, alla fine. La sua mamma era quella donna che finalmente si era mostrata ai suoi occhi che fino a quel momento erano stati colmi di rancore.
Passarono minuti interminabili, poi la donna fece un passo verso di lui. Harry continuò a non muoversi, con il fiato sospeso. Si era persino dimenticato del discorso che aveva fatto qualche istante prima, aveva la mente totalmente annullata.
Vedendo l'immobilità del figlio, Anne fece un altro passo verso di lui, poi un altro ancora, fin quando non gli fu praticamente addosso.
Harry allargò le braccia e la circondò, stringendola a sè. Sua madre puzzava e tremava contro il suo petto muscoloso. Harry ingoiò a vuoto, sentendo la gola secca e non riuscendo a dire più nulla. Tamara si inginocchiò e scoppiò a piangere, mentre Anne si stringeva alla schiena del figlio più alto di lei, il petto scosso da tremiti e poi, alla fine, da singhiozzi che aveva trattenuto troppo a lungo. La donna era quasi inesistente tra le braccia del figlio, ed Harry si rese conto di stare abbracciando una donna che aveva smesso di reputarsi tale, lasciandosi cullare dalla paura, dal timore e dalla depressione.
Bisognava che qualcuno si prendesse cura di lei, qualcuno a parte lui. L'avrebbe portata in qualche centro di riabilitazione, anche se il primo si fosse trovato a mille miglia da casa.
Appoggiò il mento sulla fronte della madre che finalmente piangeva e si liberava da tutti i sentimenti contrastanti che vivevano in lei, almeno un po', lamentandosi come se stesse soffrendo. Mentre Tamara gli si avvicinava, Harry strinse di più la presa sulla madre e finalmente riprese a respirare.

Reflection || H.SDove le storie prendono vita. Scoprilo ora