"Mi dispiace Nicolas.." dico in un sussurro, mentre mi trascinano via.
Non riesco a dire altro prima che mia mamma mi tiri con gentilezza accanto a sé, accompagnandomi al mio posto. Sento il calore del suo braccio sulla spalla, eppure continuo a tremare. Non riesco a fare altro che tremare e fissarlo.
Per quanto mi faccia male al petto, non riesco a distogliere lo sguardo.
È immobile, ben vestito, coi capelli pettinati all'indietro.
Ha uno smoking blu notte, la camicia bianca, immacolata, e una cravatta azzurra.
Se ora potesse guardarsi, riderebbe di sé stesso. Non avrebbe apprezzato quest'abbigliamento formale. Non amava giacca e cravatta e odiava pettinare i suoi capelli. In fondo, a quale ragazzo di appena diciannove anni, sarebbe piaciuto stare così in tiro?
Non a Nicolas, comunque. Lui era un tipo semplice e rilassato. Quasi sempre portava dei pantaloncini da basket e una t-shirt.
Mi metto al mio posto, in prima fila e distolgo lo sguardo per un attimo. Il tempo di riprendere fiato.
I miei occhi sono fissi d'avanti a me, oltre la sua bara e non riesco più a mettere a fuoco niente. Vedo solo un buco nero, un enorme buco che non mi permette di intravedere alcuna luce.
Ho una voragine nel petto. Si è aperta nel momento in cui l'ho perso e, sono certa, mai più scomparirà.
Come potrebbe mai scomparire?
Come potrei mai io stare bene?
Ho appena perso la mia anima gemella, il mio migliore amico e la mia spalla.
Il tutto racchiuso in bel pacchetto con occhi scuri e capelli sparati in tutte le direzioni.
Anche se non mi volto a guardare nessuno, so che c'è tanta gente, tutti qui per un ultimo saluto. Aveva tanti amici, ma non gli importava.
Aveva me ed io lui. E questo ci bastava.
L'ho incontrato il primo giorno di scuola, avevo dodici anni e lui un paio d'anni in più. Ed ho pensato di odiarlo per un'infinità di tempo.
Era bellissimo allora, così come lo era adesso.
Ad un certo punto, siamo diventati inseparabili, non so ancora come sia successo. Non ricordo il momento esatto in cui quell'odio si è trasformato in qualcos'altro.
Ma quando è accaduto mi è sembrata la cosa più giusta al mondo.
Ma oggi se ne andato.
Se ne è andato.
Mi ha lasciata.
Ha preso un'altra strada, lasciandomi sola.
Sola.
Ecco come mi sento.
Sola.
Anche tra un mare di gente, con le braccia di mia madre attorno.
Le lacrime mi rigano il viso e non riesco più a smettere. Sono silenziose, ma così tante da non riuscire a mettere a fuoco niente.
È così per tutta la celebrazione e peggiora quando ci dirigiamo alla grande fossa.
La sua. Mentre lo calano giù, sotto terra, dove manca l'aria non riesco a trattenere un grido "nooooooo..".
Qualcuno cerca di abbracciarmi, di reggermi in piedi.
Mi divincolo e scappo via. Non riesco a sopportare altro.
Vorrei morire.
Vorrei morire per non provare questo dolore che mi lacera l'anima.
Vorrei morire per non provare il senso di colpa che mi divora il cuore.
È solo colpa mia se è andato via.
Vorrei non respirare più.
Non riesco a farlo senza di lui.
Arrivo in un parco, non so quanto ho corso ma lo riconosco. Era uno dei posti che frequentavamo insieme.
Mi manca l'aria, così mi stendo e chiudo gli occhi.
Vorrei restare sola per sempre, non merito l'amore di nessuno.
Vorrei che tutti mi odiassero per quello che è successo anziché compatirmi e soprattutto vorrei non rivedere il mondo orribile che mi circonda.
Così resto lì senza riaprire gli occhi mai più.
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Per ora, per sempre
ChickLitIl mio nome è Alex. Ho vissuto come un'automa per quattro anni, fino a quando non ho incontrato lui: Jacob Taylor. La persona che mi ha cambiato la vita. Si è intrufolato nel mio cuore lentamente, con costanza e in maniera irrimediabile. Anche se no...