Capitolo 2

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«Sei matto? Io non... non ti conosco e devo andare a scuola! È già tardi.» alzo un po' la voce: l'ansia sta aumentando.
«Va bene, scherzavo! Volevo solo vedere la tua reazione» dice ridendo «Ti accompagno a scuola, che mi sento in colpa sennò.»

Ma chi è? Ma chi si crede di essere? E se avesse cattive intenzioni? L'ansia si sta trasformando in paura.

Pur non avendo ricevuto una risposta, attacca il motorino a un palo con la catena e torna verso di me, così ci avviamo.

Mi sento terribilmente a disagio, mi sudano le mani e devo essere rossa in volto.

Non so cosa dire.

Non sono abituata a parlare da sola con i ragazzi.

Certo, Sarah a volte mi abbandona nel mezzo di una conversazione lasciandomi sola con qualche ragazzo carino scelto da lei, ma lì ci vuole poco a tirarmi fuori dalla situazione.

Stavolta è diverso... Sono costretta a cercare di non annoiarlo durante tutto il tragitto fino a scuola!

Con questo pensiero affretto il passo, ma dopo poco me ne pento per via del ginocchio dolorante.

«Che fai, scappi?» dice ridendo. Ma ride sempre? Che fastidio.

«No... Ehm... Solo che è tardi e...» lascio la frase a metà, tanto il concetto è stato afferrato.

Le cose si sono fatte davvero imbarazzanti.

Che invento adesso, per rompere il silenzio?

Per fortuna ci pensa lui:
«Non ti avevo mai vista da queste parti...»
«Ehm... La mia scuola è proprio qui vicino e nemmeno io ti avevo mai visto.»

Stacco gli occhi dal marciapiede e mi giro verso di lui, sempre camminando: sorride.

Ma che c'è da ridere? Sono le 8.15 di mattina, siamo in ritardo a scuola, mi ha investito e lui ride. O meglio, io sono in ritardo. Non so neanche se lui ci vada, a scuola.

«Oh, io non vado alla Hall» rispose «ma comunque passo spesso di qui per incontrare una mia amica, Sarah.»

Cosa? Stiamo pensando alla stessa persona? No, impossibile. Mi avrebbe parlato di lui. Mi parla sempre di tutte le persone che conosce.

«Cognome?» domando titubande.
«Noja» mi guarda nell'attesa di una risposta.

Cavolo, com'è piccolo il mondo.

Dato che non rispondo più, mi chiede: «La conosci?»

«Certo... È la mia migliore amica. Strano che non mi abbia mai parlato di te.» rispondo un po' pensierosa.
«Perché?»
«Spesso Sarah mi presenta i suoi amici per...» ecco, e adesso come glielo dico? Riprendo il discorso: «perché è fissata con l'idea che io debba trovarmi un ragazzo.»

Ecco, l'ho detto. Che imbarazzo. Adesso farà come tutti, si metterà a ridere e a pensare che sono una sfigata che ha bisogno dell'amica per socializzare (il che potrebbe anche essere la verità, ma è triste ammetterlo ad un ragazzo di cui so a malapena il nome).

Infatti si mette a ridacchiare.

Di nuovo.

A me invece verrebbe voglia di tirargli un ceffone.

«Sai, penso di piacere a Sarah» dice con leggerezza.

Improvvisamente mi sento in colpa. Eppure non dovrei, cosa sto facendo di male?

Stiamo solo parlando...

Però mi dà fastidio che Sarah non me l'abbia mai detto...

Insomma, io le dico sempre tutto!

«Ah... Bhe, allora adesso vado avanti da sola... Ciao!» riesco a dire.

La mia voce è uscita più stidula di quanto volessi.

Accelero il passo e lui resta un po' fermo.

Poi urla: «Aspetta!»

Mi giro verso di lui e lo guardo avvicinarsi.

Sto per svenire dall'ansia.

Mi viene molto vicino, vedo i suoi occhioni verdi puntati sul mio viso, i suoi capelli spettinati; «Ciao Lara Meador» dice a bassa voce fissandomi negli occhi e facendomi una carezza sulla guancia.

Potrei star tremando in questo momento.

Si gira e se ne va. C'è qualcosa di lui che non sopporto.

Forse il fatto che si atteggia come se fosse un divo e si crede chissà chi.

O forse la sua impertinenza.

O più probabilmente il fatto che mi abbia investito.

Mi avvio verso la scuola.

Sono in ritardo di mezz'ora, la prof di inglese mi ucciderà.

E poi sei arrivato tuDove le storie prendono vita. Scoprilo ora