Chapter II - Naozumi

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[Sana]

Mi staccai rossa da lui, asciugandomi alcune lacrime e gli puntai il dito al petto.

Avevo ancora gli occhi rossi e umidi ma cercai di avere un tono autoritario «non ho pianto, intesi?» lui alzò le mani, in segno di resa, ridendo e annuendo.

Mi misi dritta, sempre con le stampelle, e trattenni i singhiozzi «bene, patti chiari...» trattenni il respiro quando lui si avvicinò a me, asciugandomi l'ultima lacrima rimasta «amicizia lunga» sussurrò, la voce stanca.

Gli presi la mano che stava ancora accarezzando la mia guancia e formai con le labbra una linea retta, alzando le sopracciglia «amicizia lunga, già» Akito sorrise, staccandosi da me.

Sono così egoista...

[Akito]

Mi allontanai da lei, stessa cosa fece Sana e tornai in classe.

La giornata passò velocemente, tra continue frecciatine e uno sguardo strano da parte di Fuka. Ignorai in ogni caso questo suo atteggiamento e uscì da scuola.

La mia testa cercò di elaborare i fatti accaduti, Sana poteva essere imbranata, questo non lo mettevo in dubbio ma non me la bevevo la storia della cera, non dopo le sue lacrime

Mi grattai la testa, in cerca di risposte.

Ma nulla, non mi veniva in mente niente.

Se dovessi almeno comprendere un po' della situazione, dovrei cominciare da qualcuno che lavorava con lei.

E non credo che il suo manager sappia qualcosa in merito, ha il prosciutto negli occhi, altro che occhiali da sole.

Sbuffai, ormai era inutile rimuginarci sopra, ero già davanti agli studi e sapevo che se Sana mi avesse visto, mi avrebbe ucciso all'istante.

Entrai all'interno, non c'ero stato molte volte, sarebbe stato anche inutile andarci.

Eppure quel posto era enorme.

Se per Sana quella era la normalità, non volevo sapere cosa per lei fosse strano.

La hall era enorme con giovani e over che si spostavano frenetici da un posto all'altro.

Volti famosi mi scrutavano curiosi, sicuramente non erano abituati a vedere un comune mortale all'interno.

Respirai e mi feci coraggio mentalmente, dovevo solo raggiungere un dipendente e chiedere informazioni, no?

Le mie gambe si mossero da sole e in un batter d'occhio mi ritrovai alla reception.

Il tizio al bancone mi scrutava poco interessato, sistemando alcune carte e spostando i suoi occhietti in ogni direzione.

Beh, non sembrava molto amichevole.

Tossì, per richiamare ancora una volta la sua attenzione.

Assolutamente una pessima mossa.

Il tizio mi fissò male per qualche secondo, poi, con la sua voce roca, si rivolse a me «ti serve qualcosa ragazzino? Questo non è un posto dove giocare» gli ricambiai lo sguardo gelido e lui fece altrettanto, non mi andava tanto a genio e supposi che il sentimento fosse reciproco.

Inarcai un sopracciglio «suppongo che il suo lavoro non le piaccia tanto» gli risposi semplicemente e lui si fece cadere sulla sedia, aveva un espressione stanca, nonostante l'età, su per giù 37 anni «non immagini quanto ragazzino, stare seduto qui dietro ad assistere all'entrata e all'uscita di questi damerini che guadagnano col nostro sudore» beh, magari non mi stava così tanto antipatico «e allora perché non si licenzia?» lui mi guardò, come se avessi detto l'assurdità più grande della storia.

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