Capitolo 2

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Mi svegliai leggermente accaldata, sentivo una strana pressione sulla testa, non riuscivo a muovermi.

Mi alzai piano dal letto, ma la testa iniziò a girare e la stanza a muoversi vorticosamente intorno a me. Decisi di misurarmi la febbre, e infatti il termometro indicava 38.8 di febbre.

Chiamai la mamma in ufficio per dirle che non sarei andata a scuola, e per dirle di non preoccuparsi per me.

Erano le nove del mattino e io non sapevo che fare, così iniziai dal lavarmi per bene e cambiare il pigiama, poi andai su Facebook dal PC.

Erano settimane che non ci andavo, infatti trovai qualcosa come cento notifiche e una richiesta di amicizia. Decisi di scoprire di chi era la richiesta; mi si aprì la schermata e in grande il nome Cameron Hamilton.

Persi un battito strada facendo, ma non capii il perché, insomma lui era un elemento particolare, era un bipolare allucinante, era anche un pervertito di merda. Però mi sapeva ascoltare; in diciassette anni di vita nessuno era mai stato così attento ai dettagli: a ogni sfumatura della mia voce, a ogni parola che usavo, a dove volgevo lo sguardo...poteva sembrare inquietante, ma mi faceva sentire importante, come se ogni mia parola fosse necessaria. Non gli davano fastidio i miei monologhi e non lo irritavano i miei sbalzi d'umore fuori luogo.

Credo di essermi addormentata verso le 10:00. Mi sono svegliata all'una perché ho sentito di nuovo bussare dalla finestra. Era lui, di nuovo. Non nascondo che mi fece piacere.

Si stese sul letto accanto a me, e iniziò ad accarezzarmi i capelli, poi mi chiese dolcemente: -Come ti senti?-

-Un po' intontita. Come facevi a sapere che avevo la febbre?-

-Non sei venuta a scuola, così ho pensato di fare un salto da te per vedere come stavi- mi stampò un bacio umido sulla fronte.

-Potresti prendermi dell'acqua?- balzò giù dal letto e si precipitò in cucina. Tornò meno di due minuti dopo con un bicchiere colmo d'acqua.

-Hai mangiato?- mi chiese

-No, tu?-

-Nemmeno...ti va se ordiniamo una pizza e la mangiamo insieme?-

-Ok- risposi poi mi ristesi sotto le lenzuola. Lui tornò a stendersi vicino a me -Scusa , ma così non viene la febbre anche a te?- biascicai sorridendo

-Nah...ho gli anticorpi io!- gridò fiero di sé, e non riuscii a fare a meno di ridere

-A quest'ora non dovresti essere a scuola... o con una puttanella delle tue?- cazzo, la febbre mi faceva delirare

-Mancava il professore, e poi cosa c'è... sei mica gelosa?-

-No- risposi come una bimba che fa i capricci, e mi voltai dall'altro lato. Lui mi strinse da dietro e mi stampò un bacio sulla nuca. -Comunque, per la cronaca, quelle che tu chiami puttanelle pagherebbero oro per abbracciarmi, e tu mi scansi? E comunque preferisco te a loro, perché posso parlarti senza correre il rischio di ritrovarti appiccicata al mio petto dopo tre secondi.

-Capito- mi preferiva a loro. Che voleva dire? Voleva più di un'amicizia? Non credo, ci conosciamo da due giorni, e poi lui se la fa con tutte...odio delirare.

Mangiammo la pizza poi parlammo di tutto: dei nostri progetti futuri, delle nostre famiglie, persino del nostro primo bacio.

Io gli raccontai che era stato fantastico, al chiaro di luna, con il ragazzo che mi piaceva, ma la verità era che non c'era ancora stato il mio primo bacio. Ero una che ci teneva a queste cose: ragazzo giusto, luogo perfetto, solo se mi sentivo pronta al cento percento.

Lui mi raccontò che il padre se n'era andato di casa quando lui aveva 13 anni, e che la madre viaggiava molto per lavoro, perciò non c'era quasi mai a casa.

Cameron aveva due personalità: quella di quando era in pubblico, e quella di quando era con me. Era dolce e accondiscendente, umile e simpatico, un ascoltatore perfetto. Mi piaceva dire che in pubblico era Cameron Hamilton, con me era lui e basta.

Solo quando ero con lui le labbra mi pulsavano per il bisogno di toccare le sue. Solo quando ero con lui, non me ne poteva fregare di meno di chi c'era intorno.

Fino a quel momento non avrei mai pensato di avere un rapporto del genere con nessuno, ma con lui era diverso.

Quella sera verso le nove mia madre mi chiamò per dirmi che sarebbe dovuta partire per un reportage improvviso.

Iniziò a balenarmi in testa l'idea di chiedergli di farmi compagnia per la notte, ma sembrava un pensiero troppo audace per Hope Evance. Comunque alla fine glielo chiesi: -Senti, ti andrebbe di rimanere con me per stanotte?- sembrava sorpreso. Mi guardava di nuovo come il Bianconiglio.

-Ok, però io dormo in boxer, ti dà fastidio?

-Se tieni le mani a posto no.

Ci addormentammo con le mani unite, il suo petto contro la mia schiena. Sembravamo una coppietta di quelle ciccipucci, ma in realtà io non sapevo neanche se eravamo amici.

Dormimmo abbracciati, e in un certo qual senso era meglio che fare l'amore.

Ah...inutile dire, che sorrisi anche quella notte.


Odiavo AmartiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora