Capitolo 12

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Avrei voluto stare bene, ma non mi è stato concesso, o meglio, mi è stato concesso per finzione, una finzione di cui non conoscevo nemmeno il motivo.

L'unica cosa di cui ero pienamente cosciente in questo momento, era che stavo per esplodere dalla rabbia e dalla tristezza. Non mi ubriacherò, o non mi taglierò le vene, o non andrò a mettere le gambe a penzoloni da un ponte, farò quello che mi fa sentire meglio: camminare e scrivere.

Adam era già uscito per andare a lavoro, e i suoi genitori erano via per il weekend, perciò ero sola in casa. 

Afferrai la carta da lettere profumata sul mobile all'ingresso, la stilografica nel solito cassetto, e iniziai a buttare giù tutto quello che avevo dentro.

Ciao, sono io.

Sto scrivendo per sfogo, per alleggerire il peso che ho sul cuore, sto scrivendo per dirti come mi sento.

Ho provato a starti accanto, cercando di essere la ragazza forte che non sono mai stata, cercando di essere...non so cosa, ma di andarti bene in ogni caso. Non è servito.

Ho provato ad essere perfetta, o meno lunatica o...qualsiasi cosa. Non ci sono riuscita.

Non volevo essere unica, mi bastava essere "Hope", non mi è stato concesso.

Arrendermi? Ci sto provando, perché vorrebbe dire dimenticarti, ma la verità è che non voglio.

Posso solo ingoiare le lacrime e continuare a sorridere, continuare a cercare i tuoi occhi nella folla, continuare ad avere il batticuore ogni volta che ti penso.

Ho solo un sogno, anzi forse due: voglio che tu mi dica ancora "a domani" perché è la promessa più bella del mondo, e poi, per piacere...non sorridere a nessun'altro.

Posai la stilografica sul tavolo e infilai la lettera in una busta di carta come se avessi dovuto spedirla davvero.

Ora dovevo andare a fare una passeggiata, più lunga possibile.

Uscii fuori in giardino, il cielo era bianco e l'aria era fredda.

Mi addentrai nelle viuzze del paese, quelle che pullulavano di gente e profumi diversi.

Fu lì che lo vidi. Era lì davanti ai miei occhi mentre serviva caffè a un bar all'aperto. 

Vidi un ragazzo perfettamente identico a me: lo stesso colore di capelli, lo stesso taglio degli occhi, la pelle leggermente olivastra. Decisi di prendere un caffè in quel bar, per accertarmi di non aver visto male.

Mi sedetti, e con pazienza aspettai che qualcuno arrivasse a prendere il mio ordine.

La sua reazione fu pressappoco come la mia: rimase a fissarmi per un paio di secondi prima di scuotere la testa e andare a preparare il mio caffè.

<<Buongiorno, ecco il suo caffè, signorina...?>>

<<Hope, Hope Evans >>

Fu a quel punto che sgranò leggermente gli occhi e mi sussurrò: << Tra dieci minuti finisco il turno, aspettami>>. Annuii piano.

Dopo quei tanto ansiosi dieci minuti, proseguimmo per la stessa strada rispondendo a vicenda alle nostre domande.

<<Io sono Aaron Evans, credo anche tu abbia notato la nostra somiglianza, e abbiamo anche lo stesso cognome perciò...tu cosa sai a proposito?>>

<<So che siamo gemelli e che nostro padre ha cresciuto entrambi in due famiglie diverse.>>

<<Sai il perché?>>

<<Sì, mio padre tradiva mia madre con tua madre. Lei non poteva avere figli perciò ti regalò a lei lasciando a mia madre (che poi è anche tua), il compito di crescermi da sola sei giorni su sette>>

Era sbalordito. <<Da quanto tempo lo sai?>>

<<Ieri mattina>>

Continuammo a parlare fino al tramonto, poi mi riaccompagnò a casa. Mi lasciò un tenero abbraccio prima di andare e mi scrisse il suo numero su un pezzetto di carta.

In casa non c'era ancora nessuno, perciò andai in camera di Adam per dormire. Sul letto c'era una lettera. La aprii e iniziai a leggere nella mente: 

Cara Hope Elisabeth Evans, sono Cameron.

Non ho scritto il mittente sulla busta altrimenti non l'avresti nemmeno aperta, ma se sei arrivata fin qui, sono certo che continuerai.

Non è una bugia che verso di te sento un instancabile senso di protezione, ma non ti ho detto proprio tutta la verità, e non lo farò nemmeno ora, semplicemente perché non posso.

Posso solo dirti che non mi sono avvicinato a te di mia spontanea volontà, ma qualcuno mi ha detto di farlo. Sappi che mi sono affezionato a te, più del dovuto. Dovevo solo farti innamorare, invece mi sono quasi innamorato io, dei tuoi capelli lunghi che sanno di fiori, della curva del tuo sorriso, della fossetta che ti compare a sinistra della bocca quando sorridi davvero, come in questo momento, e dello sguardo che non ti accorgi di riservare solo a me. Sei scappata via, hai perso tutta la fiducia, tutto l'affetto che provavi nei miei confronti l'ho visto spegnersi nel momento stesso in cui ti ho detto <<No, dovrei?>>. Non sai quante volte, con la testa verso lo stesso cielo ho desiderato poterti dire tutto.

Non posso. Non farti domande in testa, se vuoi puoi tornare da me, io sono davanti al parco di ieri.

Ricordati di me, in ogni caso.

Ero sull'orlo delle lacrime. Sarei dovuta tornare da lui come mi diceva il cuore, oppure no come mi diceva la testa?

Odiavo AmartiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora