2. Incontri e Scontri

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Erano passati due giorni dalla serata di San Valentino.
Dal giorno seguente mi rimisi a lavoro, ero piena di pratiche da sistemare e la nottata l'avevo passata a lavorare, la stanchezza prevaleva su di me.
Nonostante tutto in qualche modo riuscii a svegliarmi, stavo così bene tra le soffici coperte che mi concedetti qualche altro minuto prima di andare a prepararmi.
Fuori dalle tapparelle ancora abbassate si intravedeva una luce, e passai un po del tempo a giocare con gli effetti visivi che creavano i raggi filtrati, alcuni gialli, altri più bianchi, e ne rimasi catturata, sorridendo senza motivo.
Quando la sveglia suonò per la terza volta decisi che era ora di andare, così, a malincuore, uscii dalle coperte che mi avvolgevano e andai in bagno. Passando salutai Miriam ancora a letto, strano, di solito era più mattiniera di me. Non mi soffermai troppo su questo e finito di lavarmi mi vestii e uscii di casa.

Arrivai a un bar di fronte al mio ufficio e mi sedetti, ormai ci andavo tutte le mattine, il cappuccino e la brioche me li portavano subito senza neanche chiedere, sapevano che in caso andavo io a cambiare l'ordine.
Iniziai a pensare alla sera prima, una volta fuori dal portone non mi aspettavo per niente di rivederlo. È stato come un colpo al cuore, una parte del mio passato quasi dimenticata che non volevo ricordare. La verità è che non potevo dimenticare, ogni momento di esitazione, di neutralità, mi faceva venire in mente tutto, ma non lo avrei mai ammesso con nessuno.

Mi aveva salutato, mi aveva fatto gli auguri e poi era corso verso di me per bloccarmi, ma io non volevo parlargli.
- Non puoi escludermi dalla tua vita come se niente fosse, lasciami almeno provare a farti capire che possiamo avere ancora una possibilità. Dopo l'incidente le cose sono state difficili, stavo male ed ho commesso una serie di errori, me ne sono reso conto, ma non lasciamo che questo ci impedisca di essere felici. -
Ero stanca di sentirlo, di ascoltare le sue scuse, le avevo sentite così tante volte che ormai mi sembravano banali, uguali, insignificanti.
- Come fai a dire che stavi male? Hai avuto tu l'incidente? Ora non cercare di passare per la vittima della situazione perché non lo sei, e lo sai bene. Se invece di comportarti cosi mi stavi vicino, lasciavi che ci sostenessimo a vicenda, non credi che le cose sarebbero andate diversamente? Ho avuto difficolta a riabituarmi a te e al resto della via vita, e l'ho fatto perché lo volevo e perché mi fidavo di te, prima eri la mia ancora, ma hai finito solo per tirarmi a fondo con te. Ormai è tardi. -
Stavo quasi urlando dalla rabbia e dal dolore; basta, basta con queste scuse, con queste bugie e falsità. Andai avanti senza ascoltarlo e mi chiusi alle spalle il portone, insieme a lui, che nel frattempo veniva avvolto dall'oscurità.

Entrate in casa mi buttai sul divano, mentre Miriam prendeva una sedia e si avvicinava a me; sapeva cos'era successo e quanto ci ero stata male. Per quanto io preferissi evitare di parlarne, lei voleva affrontare il discorso dell'accaduto seriamente una volta per tutte, ma io non ero ancora pronta.
Così mi alzai e me ne andai in bagno chiudendomi dentro, non me la sentivo di risentire tutto, ero troppo stanca.
- Non puoi scappare da questo discorso, prima o poi ne parleremo seriamente. Ricordatelo. -
Cosi le feci un cenno con la mano, come per dirle che avevo capito, mentre me ne stavo andando.

- Ciao Bea! - una voce interruppe i miei pensieri; tra me e me la ringraziai, iniziavo a rattristirmi.
Alzai la testa prima chinata sulla tazzina ancora piena, e vidi il volto sorridente di una ragazza con i capelli neri legati in una coda, jeans alti e un maglione corto, avvolta in un grosso cappotto. La mia dolce Sophia.
- Ehi Soph. - le risposi felice. Non sapevo resistere alla sua allegria, tanto che mi aveva fatto passare i pensieri che avevo.
Lei si sedette e ordinò una cioccolata, mentre mi raccontava della serata precedente che aveva passato con il suo ragazzo. Dopo qualche minuto si accorse che qualcosa non andava.
- É per lui? - Sophia conosceva tutto, ma non come Miriam, lei sapeva ogni dettaglio, ogni sentimento provato, era da lei che andavo per sfogarmi; ero contenta che fosse arrivata.
- Si, ieri sera era sotto casa mia e ha ricominciato con le sue solite scuse. -
- Sai cosa ne penso, devi lasciatelo alle spalle, lui ti provocherà solo più dolore. Che mi dici invece dell'altra sera, hai incontrato qualcuno di interessante? -
Trovavo buffo quel suo tentativo di sviare il discorso, e non potei che arrossire ripensando a Lucas.
- Credo di sì, si chiama Lucas ed è stato bello conoscerlo... -
- Uoo, addirittura bello, qui c'è sotto qualcosa. Devi assolutamente raccontarmi tutto. -
Stavo per iniziare a spiegarle la serata quando mi accorsi che era ora di andare, non potevo arrivare in ritardo.
- Ehi Soph, ora devo andare, ti racconto appena ci sentiamo. -

Mi avviai verso la porta dell'edificio di fronte, formato da svariati uffici. Presi l'ascensore e arrivai all'ultimo piano. Era un ambiente accogliente, con mobili in legno che risultavano sulle pareti bianche. Appesi ai muri c'erano quadri che ogni volta catturavano l'attenzione.

Arrivai nel mio ufficio, mi sistemai e controllai dei fascicoli che erano stati appoggiati sulla mia scrivania, però a mia insaputa; allora andai nell'ufficio del capo per chiedergli spiegazioni, di solito non mi affidavano una causa senza prima avermi consultato, ma quando entrai nella stanza mi accorsi che non era solo.
Seduto difronte a lui c'era Lucas.

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