Eliezer era stanco.
Appollaiato sulla sporgenza di un cornicione del settimo piano scrutava i tetti di Roma e le sue strade, invisibile e indisturbato. A volte gli mancavano gli spazi aperti e ariosi delle campagne irlandesi, le sconfinate distese desertiche dell'Africa o dell'Australia, il nulla degli oceani, dove tutto si riduceva a un mondo fatto solo di sfumature blu. Gli mancava la solitudine – quella fisica: la solitudine spirituale lo perseguitava già da millenni.
Eliezer era stanco di essere solo: lo era stato per tutta la vita, sin da quando, draghetto neonato, aveva visto la luce per la prima volta, in un mondo che all'epoca conosceva ancora la Magia e le creature come lui, ormai estinte e considerate solo pura fantasia. Eppure doveva proprio a questa solitudine la sua salvezza: nato e quasi subito abbandonato a causa del candore accecante delle sue squame e del rosso intenso dei suoi occhi – un drago albino era malvisto nelle comunità dei draghi, perché era come il sole nel cielo: la prima cosa che tutti notavano, e un pericolo per l'intero branco – aveva vissuto per secoli in clandestinità, nascosto agli occhi dei suoi simili e di ogni altro essere vivente.
Quando si era deciso a uscire dalla propria tana, otto o nove secoli dopo la sua cacciata dal branco, ormai in grado di gestire la Magia intrinseca della sua specie e di mutare la propria forma naturale con quella degli uomini, aveva scoperto con orrore di essere realmente e irrevocabilmente solo: i draghi erano stati sterminati, al pari di molte altre creature, e la Magia era stata dimenticata. I suoi simili erano estinti e gli umani gli erano sconosciuti: non aveva più nulla al mondo. Peggio ancora: non aveva neanche più la speranza di essere compreso, accettato, amato. Ne aveva avuto la certezza quando aveva tentato di integrarsi con gli esseri umani: anche da loro era guardato con sospetto a causa della pelle nivea, dei capelli dal riflesso perlaceo e da quegli occhi che più di tutto erano la sua croce, rossi come l'Inferno, come il fuoco che sgorgava con naturalezza dalle sue fauci. La sua dannazione lo seguiva anche in forma umana.
Così Eliezer si era dato da fare. Si spalmava fuliggine sui capelli e fango sulle guance per mascherare quel candore che caratterizzava il suo intero corpo, teneva sempre gli occhi socchiusi e lo sguardo basso perché nessuno notasse le sue iridi scarlatte, e si era abbassato a fare i lavori più umili, più degradanti, pur di avere la possibilità di avvicinarsi a qualcuno, di trovare un padre, un amico, un'amante.
Non era servito: nonostante il suo aspetto in tutto uguale a quello degli uomini, nonostante le sue accortezze, gli esseri umani percepivano d'istinto che in Eliezer c'era qualcosa di diverso e lo tenevano a distanza, trattandolo con sospetto. Ed Eliezer era sempre solo.
Col passare dei secoli, Eliezer si era rassegnato a vivere ai margini della società. Lavorava per guadagnarsi il pane, e nulla di più. In fondo, che altro gli serviva? Non aveva una famiglia; non era soggetto alle malattie né all'invecchiamento; non poteva neanche essere ferito, come aveva scoperto quando un incauto ladruncolo aveva cercato di derubarlo e pugnalarlo, nel Basso Medioevo. Soltanto alla maniera dei vecchi cacciatori di draghi qualcuno avrebbe potuto ucciderlo, ma quell'arte era ormai andata perduta. Eliezer era condannato a millenni di vita solitaria, senza la consolazione di un po' di compagnia o di una briciola d'affetto. Ormai si era rassegnato: non c'era nulla che potesse fare.
Quel giorno di dicembre, umano ma invisibile, Eliezer osservava l'umanità che si muoveva sotto di lui, persone che interagivano, amandosi o detestandosi, e sentì di nuovo, per la prima volta dopo tanto tempo, l'antico morso della solitudine.
Chi non abbia mai provato una vera e totale solitudine non può comprendere i sentimenti di Eliezer; chi non sia mai stato completamente solo pur trovandosi circondato dalle persone, chi non sia stato ignorato da ogni altro essere vivente, chi abbia conosciuto, almeno una volta, la rassicurante sensazione che si prova nell'essere oggetto dell'attenzione altrui – anche di quella di uno sconosciuto, e per un solo, fugace momento – non ha idea di quanto fosse feroce la consapevolezza di essere un povero, misero granello di polvere nelle vastità dell'Universo.
Eliezer lo sapeva; e neanche riconoscere di essere una creatura maestosa e leggendaria, intrisa di Magia fino alla punta degli artigli, poteva aiutarlo. Solo una cosa poteva: scendere tra gli uomini.
L'aveva fatto spesso, Eliezer. Quando il peso del silenzio diventava troppo per le sue spalle, si rendeva visibile e si mescolava agli altri esseri umani, ignorando le occhiate che puntualmente gli venivano rivolte e beandosi della vicinanza di esseri viventi diversi da se stesso. Era solo una vicinanza fisica, è vero; ma per uno spirito tormentato come il suo, era comunque un balsamo.
Così Eliezer protese le dita verso l'appiglio più vicino e iniziò la propria discesa. Anche in forma umana, conservava la capacità di aggrapparsi alla minima sporgenza e arrampicarsi senza alcuno sforzo. In breve tempo raggiunse la strada, si nascose in un angolo riparato e chiuse gli occhi: sentì la propria Magia scorrere in rivoli lungo tutto il suo corpo, pizzicando piacevolmente. Quando riaprì gli occhi e tornò sulla strada, ebbe la certezza di essere tornato visibile: le occhiate e le risatine di un gruppo di adolescenti e gli sguardi stralunati di alcuni passanti glielo confermarono.
Fingendo di non accorgersene, Eliezer iniziò a camminare tra la folla a testa alta: le persone si scostavano al suo passaggio, facendogli spazio, e lui attraversava quella improvvisata terra di nessuno con l'orgoglio di chi sa di avere una croce sulle spalle e la trascina con fierezza.
Quello che Eliezer ancora non sapeva è che a volte la solitudine finisce all'improvviso.
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Sangue di drago #Concorsiamo2k18
Short StoryEliezer, l'ultimo dei draghi, dopo millenni di solitudine e isolamento appare come un umano schivo e triste: la sua pelle bianchissima e gli occhi rossi l'hanno condannato a essere emarginato tra i draghi prima e tra gli umani poi. Ormai rassegnato...