Capitolo 1 - Part Time [2.0]

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In cucina mia madre sta pulendo i fagiolini.
Non so di preciso che ore sono, ma so che avrei fatto comunque meglio a mettermi a letto un’ora prima.
«Non ti ho sentita rientrare» dice mimando indifferenza.
La ignoro e recupero il barattolo del caffè.
È tutta la vita che in casa bevo gli avanzi del caffè della colazione dei miei genitori.
Verso tutto il barattolo nella tazza, poi aggiungo latte e mi siedo di fronte a lei.
«Non era troppo tardi» mi giustifico.
«Doveva esserlo se non ti ho sentita» precisa atteggiando il viso senza staccare lo sguardo dai fagiolini, sembra che stia parlando con loro.
Sospiro. «Mamma» la rimprovero.
Lascia stare la verdura per guardarmi e concentrarsi completamente su di me. «Hai detto di avere un colloquio, mi sarebbe sembrato più responsabile da parte tua rincasare prima, farti una bella dormita e non avere quell’aria stropicciata.»
«Non è un colloquio» la interrompo. «Devo incontrare di nuovo la Signora con cui ho già fatto il colloquio ieri» le spiego per la millesima volta.
«Pensi che sia andato bene?» mi domanda ignorando completamente la mia correzione e tutte le altre volte che me lo ha chiesto. Le ho contate, sono sette.
Nella mia testa scorre tutta la giornata di ieri, come se fosse il riassunto delle puntate precedenti di un telefilm: è una domanda molo più insidiosa di quel che sembra. E infatti ogni volta che me lo ha chiesto ho dato risposte diverse: se prendessi in considerazione l’atteggiamento di lei sarebbe sicuramente un sì, sembrava soddisfatta di me e del muffin; certo se penso a lui…
Prendo un sorso di caffè. «Non lo so» dico.
«Ma ti sarai fatta un’idea…»
«Credo di piacerle, ma il suo altro impiegato non sembrava della stessa impressione.»
«Pensi di accettare?»
Lascio andare un lamento. «Non lo so, non lo so» sbotto indispettita. «Non è il caso di finirla con questo interrogatorio?»
Tutta piccata ritorna ai fagiolini.
Sospiro sconsolata e me ne torno in camera.
Acciuffo una bracciata di vestiti e mi chiudo in bagno.
Mi specchio per valutare i danni: se è poco sensibile da parte di mia madre farmi notare di non avere l’aria proprio fresca di prima mattina, è anche giusto osservare il suo tatto nel definirla semplicemente “stropicciata”.
I capelli sono stopposi, ho il segno del cuscino sulla guancia destra e residui di trucco mi hanno regalato un “panda look” altamente seducente.
Mia Wasikowska, fatti da parte, la prossima eroina di film gotici o dell’orrore sono io.
Non credo che sia l’aspetto che vorrei avere per andare a parlare con chi mi sta offrendo un lavoro.
No, magari no.
Dopo essermi strofinata il viso con il latte detergente, mi butto sotto la doccia sperando che shampoo, balsamo e una dose consistente di fede in un essere superiore facciano il resto.
Il risultato è accettabile.
Mentre scendo a recuperare il mio scooter, mi faccio ragguagliare dal cellulare sulle ultime novità; dall’ultimo accesso di Tiziana a notte fonda deduco che stia ancora dormendo, le lascio un veloce messaggio vocale di buongiorno.
Parcheggio lo scooter a pochi metri dal locale e lo raggiungo a piedi; mentre lo faccio mi lancio occhiate nelle vetrine dei negozi: sembro una giovane ragazza mora, informale con le sneakers e i jeans, ma la camicetta e la giacca nera mi danno l’aria ordinata.
Io mi piacerei.
Dietro il bancone della “Pâtisserie Française” c’è un ragazzo con un taglio di capelli irregolare, ma molto curato, e un paio di occhialoni neri che gli fanno sembrare gli occhi enormi come quelli di un cartone animato. La sua tenuta da lavoro prevede una camicia bianca con il logo della pasticceria in rosa a sinistra e una cravatta verde menta.
«Buongiorno, Signorina, posso aiutarla?» mi saluta.
«Buongiorno» ricambio. «Credo che la Signora Bernardi mi stia aspettando.»
Lui fa una smorfia. «Non chiamarla “signora”, la sta prendendo molto sul serio questa cosa dell’invecchiare.»
Sto per inventarmi qualcosa che suoni come un complimento al suo aspetto piacevole e giovanile, quando un: «U-uh» raggiunge le mie orecchie.
Pierre sbruffone Mureau sbuca dal retro del locale in un camicie macchiato, trasportando due crostate dall’aspetto ottimo. E con ottimo intendo da far venire l’acquolina.
Incrocia le gambe e mima un mezzo inchino prima di infilarle in frigo.
«Professeur» mi apostrofa, senza provare nemmeno a nascondere l’espressione di scherno.
Rimango composta e mi impongo di non raccogliere la sua provocazione, ma so di stare arrossendo per la rabbia: la maledizione delle ragazze pallide. Mi sembra di essere tornata al liceo…
Il giovane che mi ha accolta fa uno strano verso interrogativo da dietro il bancone. «Vi conoscete?» mi chiede.
Fisso Mureau omicida, ma torno neutra quando mi rivolgo all’altro. «Era presente al mio colloquio.»
«Madame la Professeur qui è la tipa che è piaciuta ad Eleonora» spiega appoggiandosi alla vetrina, fissandomi, ha il viso sporco di farina. «Credo volesse il posto, mais una del suo calibro…» schiocca la lingua fingendosi dispiaciuto. «Una Professeur, forse non dovrebbe abbassarsi a fare la pasticcera come moi, povero analfabeta.»
Se non fossi temprata da anni di incomunicabilità domestica tra me e mia madre lo starei uccidendo.
«Oh, sei Veronica» indovina a questo punto il commesso.
«Non so se è abbastanza rispettoso darle del tu, prova il voi» suggerisce Mureau, ma per fortuna l’altro è intenzionato quanto me a ignorarlo.
Mi porge la mano che stringo con piacere e soprattutto gratitudine. «Sono Daniele. Spero davvero che tu sia qui per accettare…»
Colpo di tosse dall’ostilità francese. «Speriamo di no.»
«Eleonora ha detto grandi cose su come l’hai insultato.»
Sorrido a mille denti e lo guardo. «Modestamente ha reso fiera me per prima.»
«Oui, a noi le pasticcere non ci piacciono preparate, ci piacciono ribelli» esclama con enfasi, prima di borbottare qualcosa in francese e tornare sul retro.
Continuo ad osservare la porta dietro la quale si è andato a nascondere perplessa.
«Ma è di cattivo umore per qualcosa o…» lascio la frase a metà e guardo Daniele in cerca di suggerimenti.
La porta della pasticceria si apre lasciando entrare Eleonora Bernardi.
«Mi sto perdendo tutto il divertimento?» domanda sorridendo e mi guarda. «Ciao, Veronica, scusami, ma dovevo cambiare una cosa in un negozio» spiega mentre solleva una busta dell’H&M come prova.
«Sono appena arrivata» la tranquillizzo, stringendomi le mani una con l’altra, nervosa.
Appoggia busta e giacca sul bancone, Daniele le recupera e le sistema in uno stanzino dietro di lui.
«Ci prepari un tè quando sei comodo?» gli chiede.
«Subito» risponde lui.
«Siediti» mi offre indicandomi con gentilezza uno dei tavoli.
Faccio come mi dice ed aspetto che lei recuperi una cartellina dalla borsa.
Indossa anche lei dei jeans con un semplice maglioncino di cotone, ma sembra comunque molto più elegante e raffinata di me.
«Dunque, Veronica, spero che la tua presenza qui possa farmi ben sperare.»
Daniele ci serve le ordinazioni, accompagnate da un piattino di cortesia con qualche pasticcino.
Per alcuni secondi resto zitta. «Mi piacerebbe lavorare qui» inizio.
La notte prima io e Tiziana abbiamo approfondito le nostre conoscenze sulla “Pâtisserie Française”: Paris Hilton è la punta dell’iceberg.
Sono il fornitore ufficiale dell’Hotel “De Russie”.
Hanno provveduto ai buffet di eventi molto “in” e molto esclusivi in tutta Roma.
Periodicamente Pierre Mureau è invitato a tenere corsi tematici in strutture private.
Eleonora è la figlia di Filippo Bernardi, quello della catena di alberghi.
Ho trovato una foto di Sting che prende un muffin dalle mani di Eleonora Bernardi.
Non è troppo difficile capire il perché, mi trovo a pensare quando mordo una lingua di gatto così friabile che non mi sembra nemmeno di averla masticata. È come se invece della farina avessero usato polvere di fata…
«Wow» mi scappa.
Eleonora Bernardi sorride e mi studia furba. «E non hai assaggiato il suo créme caramel» osserva.
Se rifiuto questo lavoro sarò per sempre una povera, triste ragazza che finirà a dare ripetizioni di scienze per non morire di fame.
Se accetto, se anche mi licenziano, con una lettera di raccomandazioni di Eleonora Bernardi potrei andare ovunque.
«Lei però non mi da molte garanzie» considero.
Ho letto attentamente la sua email diverse volte. Mi ha spiegato che la mia occupazione sarebbe part-time regolarmente registrata e remunerata. Mi ha illustrato che salvo casi di emergenza non sarò chiamata fuori orario e che per di più si tratterà di un impiego mattutino. Però mi ha anche confermato che sarei tutti i giorni gomito a gomito con Pierre Mureau e considerato quanto è stato difficile non mettergli le mani addosso nei pochi minuti che abbiamo passato uno di fronte all’altro, la cosa mi preoccupa.
Una settimana fa mi ha chiamato il signore del bar dove ho lavorato lo scorso mese, sarebbe disposto a ripropormi un impiego visto l’avvicinarsi della bella stagione. Gli ho risposto che gli avrei fatto sapere, visto come si stava mettendo la situazione con la “Pâtisserie Française”. Certo lì non facevo la pasticcera, però mi trattavano bene ed erano felici di avermi tra loro.
Se venissi a lavorare qui e odiassi tanto Pierre Mureau da voler mollare dopo una settimana mi troverei senza fare la pasticcera né la barista.
Certo se avessi quella lettera di raccomandazioni…
Eleonora assottiglia lo sguardo, ho il sospetto che dietro l’aspetto affabile, l’aria amichevole e tanta disponibilità, si nasconda anche una discreta esperienza in queste cose.
«Perché non mi dici quello che vuoi e basta?» suggerisce.
«Accetto se mi promette una lettera di raccomandazioni non vincolata dal periodo che trascorrerò qui né dalle condizioni della fine del rapporto lavorativo.»
Lo ammetto, ho preparato tutto il discorso questa notte, ce l’ho scritto in un biglietto nella mia borsa e l’ho ripetuto mentre venivo qui in motorino.
Eleonora Bernardi non si scompone, cerca nella sua cartellina due fogli spillati e me li porge: è un contratto.
«In carte semplice o intestata?» chiede.

***

«Dunque» inizia, mentre io la seguo alternando la lettura del contratto al guardarmi intorno, per non sbattere addosso a…
Troppo tardi.
Il tipico rumore di metallo che rimbalza per terra mi fa sussultare. Strizzo gli occhi finché non finisce e guardo Mureau che raccoglie una teglia; sospira e mi lancia un’occhiata carica di disprezzo e commiserazione.
«Iniziamo bien» commenta in un sussurro.
«Questo è il laboratorio» spiega Eleonora, fa un giro su sé stessa per invitarmi ad osservare tutto.
Mureau guarda lei, poi guarda me, mi sfila il contratto dalle mani e si accoda quando torno a seguire Eleonora Bernardi, che finge stoicamente di non essersi accorta dello scontro e di avere un ascoltatore di troppo.
«Qui invece c’è la dispensa» mi mostra aprendo una porta. Gli scaffali sono colmi di qualsiasi cosa possa servire a qualsiasi persona per fare un dolce con i fiocchi; mi fermo ad osservare un cesto di frutta: non vedevo mele tanto rosse e lucide da Biancaneve.
«È part-time?» chiede Mureau.
Mi riscuoto e mi sporgo verso di lui per controllare il contratto, non ero arrivata fin lì, e lui mi indica la riga con l’indice. Annuisco felice di ritrovare quanto promesso tramite email.
Eleonora Bernardi ci studia perplessa, lancia un’occhiata a me per assicurarsi forse che non mi secchi condividere informazioni in proposito alla mia assunzione con lui, poi si stringe nelle spalle. «Inizialmente pensavo di sì, volevo farla venire qualche ora la mattina per dare una mano a te e vediamo come va» spiega prima di rivolgersi di nuovo a me. «Puoi…»
«Non mi serve pas una mano» la interrompe.
«Certo che ti serve, non puoi continuare a dormire sulla farina» lo sgrida. In fondo alla stanza sono accumulati alcuni sacchi, da come sono ammassati effettivamente sembra quasi che....
«Mi sembra di essere una specie di schiavista!» continua a lamentarsi lei.
«Non ti ho mai detto rien» le dice.
«Se entrassero quelli del Decreto 81 sulla sicurezza e la salute sul luogo di lavoro avrebbero da obbiettare» commento.
Pierre si porta le mani ai fianchi fissandomi. «Che ne sai tu del Decreto 81?!» sbotta.
«Vedi? È istruita, preparata… sono molto soddisfatta della mia scelta» gli fa notare Eleonora.
«Perché non hai preso pas una commercialista per te, invece che un’assistente per moi.»
Eleonora Bernardi ride. «Non sarebbe così divertente» si ferma per farmi l’occhiolino. «E comunque io dormo in un letto.»
«A proposito di letti, non pensi che dovresti chiamare…» butta lì lanciandole un’occhiata da sotto in su.
«Ta-ta-ta-ta-ta» canticchia Eleonora senza farlo proseguire.
Lui sospira e torna al contratto. «Non è specificata la remunerazione.» Mi colpisce il braccio con i fogli. «Professeur, queste sono domande che dovrebbe fare lei!» mi fa notare. «È il tuo primo impiego o cosa…»
Mi stringo nelle spalle e scuoto la testa. «Nessuno mi ha mai fatto un contratto vero, di solito ero a prestazione occasionale.»
Sospira scuotendo la testa. «Prestazione occasionale, ma sai cos’è il Decreto 81…» riassume. «Io non ti assumerei mai» conclude.
«Pensavo a qualcosa sugli ottocento euro» spiega. «Anche se part-time, finirai per lavorare più di quattro o cinque ore al giorno, mi sembra ragionevole. Che ne pensi?»
Non lo so. Prestazione occasionale significa che la mia paga si aggirava intorno ai venticinque euro al giorno…
Deglutisco, poi mi schiarisco la voce e lancio un’occhiata a Mureau. Visto che lui sembra saperne così tanto più di me…
«Oh, ma davvero!» sbotta seccato, poi ci pensa abbozzando nervoso. «Ottocento può andare per un part-time al sessanta, settanta per cento.»
«Grazie» sorrido.
«Se torni domani con quello firmato, inizi subito» ci interrompe Eleonora.
«Scarpe comode» puntualizza Mureau. «Niente lana, niente pelucchi, niente brillantini» elenca. «Se vuoi continuare a portare i capelli lunghi, tienili sempre legati.»
Eleonora si mette in mezzo, gli prende di nuovo il mio contratto e lo spinge via, prima di porgermi la mano. «Sono felice di averti a bordo.»

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