Mi dirigo verso il motorino pensosa: c'è un neurone immobile al centro esatto del mio cervello che si guarda intorno perplesso, chiedendosi se era una sua impressione o se anche altri suoi fratellini hanno notato che all'improvviso in quel laboratorio l'aria era incredibilmente pesante. Recupero il cellulare che mi vibra in tasca, lasciandolo a sbrigare la questione da solo.
«Ehi» rispondo nel leggere il nome di Tiziana sullo schermo.
«Ehi! Siamo invitate ad una festa stasera» mi spiega.
«Io sono maschio!» sento lamentarsi Samuele sotto la voce di lei, effettivamente quel "invitate" non rende esageratamente giustizia alla sua virilità.
«Già passo i pomeriggi con voi a farmi lo smalto...» inizia a borbottare, mi perdo i dettagli perché Tiziana è scoppiata a ridere.
«Vieni?» riesce a concludere tra gli schiamazzi.
«Che tipo di festa?» domando.
Fa un versetto noncurante. «Hanno ristrutturato un locale vicino a quella pizzeria... come si chiama?» chiede a Samuele.
«Gaudì» le suggerisce.
«Eh, Gaudì.»
«Piuttosto "in"» commento, ricordo che la pizzeria si trova in un quartiere abbastanza centrale. Ci sono stata qualche volta con Alberto: ottima pizza, pessimo fritto però.
«Piuttosto» conferma. «Metti le scarpe quelle fighe con il fondo rosso.»
Tiziana adora quelle scarpe. Sono il primo paio che ho comprato da single: décolleté nere, con un tacco da donne coraggiosamente consapevoli delle proprie capacità di equilibrio, e la suola rossa come il mio rossetto. Mi sono offerta di prestargliele, per ovvie ragioni le indosso pochissimo, ma non sono della sua misura. Un peccato, non sono scarpe da rinchiudere in un armadio.
«Okay» rido. «Ci accordiamo più tardi.»
Mia madre è stranamente a casa e mi ha preparato il pranzo; la osservo sfaccendare tutto intorno a me, chiedendomi perché sia qui. Indovino dal suo modo di lavare i piatti, come se ognuno di loro fosse personalmente colpevole di essersi sporcato esclusivamente per farle dispetto, che non è un buon momento per le domande: so che se le chiedessi qualsiasi cosa, mi risponderebbe a male parole solo perché è nervosa, quindi codardamente passo.
Prima o poi sarò aggiornata in ogni caso.
Si siede e posa davanti a lei un vasetto di yogurt greco con pezzetti di pesca. La studio, osservo il barattolino e il cucchiaio: mi domando cosa ne sia stato, della donna che mi ha iniziata ai miracoli gastronomici della ricotta con la nutella.
«Vuoi un pochina della mia pasta con il tonno?» le offro perché mi fa un po' pena.
«No, mangio soltanto questo. Ho il colesterolo.»
Studio meglio il barattolino che effettivamente riporta la nozione "0% di grassi".
Il colesterolo per mia madre è una valvola di sfogo universale: quando tutta una serie di cose vanno male, si ricorda che ha i valori dei trigliceridi non esattamente a norma e dichiara loro guerra. Tutto quello che c'è di buono e grasso sparisce da questa casa, per far posto ad una serie di prodotti senza quello o quell'altro. Per settimane non usiamo burro, pochi formaggi, uova solo per me, perché devo crescere. E chi ce l'ha il coraggio di dirle che sono già cresciuta?
Di solito però, dopo un assedio di settimane, i trigliceridi l'hanno vinta: mia madre è troppo golosa e loro lo sanno.
Credo che il mio essere diventata pasticcera sia una specie di voglia...
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Patisserie Française
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