Sono le sei.
Mentre percorro la strada verso la "Pâtisserie Française" in motorino sto mentalmente elencando i lati positivi di svegliarmi così presto.
Ho fatto il caffè. Ho davvero bevuto caffè fresco, appena preparato: non mi ricordo l’ultima volta che è successo. Forse non è mai successo.
Non ho incrociato mia madre... questo punto vale per due.
Non c'è traffico, né fila, né incidenti.
Figo.
È fresco e sono sicura che apprezzerò molto questo fattore quando, fra un paio di mesi, i termometri raggiungeranno vette inquietanti.
Sono soddisfatta e stupita di quanti ne stia trovando.
Approfittando della viabilità esagerata riesco perfino ad arrivare a parcheggiare dietro l'angolo della pasticceria, accanto a una Mercedes grigio ardesia metallizzata lucida, lucida.
Metto il cavalletto, tolgo il casco, recupero una spazzola e mi dò una ravvivata ai capelli schiacciati specchiandomi nel finestrino della Mercedes.
Mi fermo a guardare un foulard tricolore, rosso, bianco e blu, annodato al volante: sospetto che un certo francese di mia conoscenza guadagni più di ottocento euro al mese.
Ripongo la spazzola nel cassettino del motorino e vado all'ingresso.
Ci sono già delle persone e sia Daniele che Eleonora Bernardi sembrano indaffarati a servire e fare chiacchiere di circostanza. Anche se c'è un bel via vai, non è troppo caotico, c'è solo un piacevole brusio di sottofondo, che fa da eco alla radio puntata su un canale di musica italiana.
Per qualche secondo rimango incerta sulla porta senza sapere bene come introdurmi: potrei infilarmi di soppiatto nel laboratorio, ma ho il vago sospetto che Mureau avrebbe un attacco di panico. Meglio aspettare che Eleonora mi faccia strada, anche perché non so se avesse già previsto qualche compito per me.
È Daniele a vedermi, mi sorride con un cenno e dà di gomito a Eleonora, che si volta immediatamente dalla mia parte.
«Oh, Veronica, buongiorno» fa, svicolando da dietro il bancone per raggiungermi. Saluta alcuni clienti nel passare.
«Ciao» sorrido e le porgo il contratto che ho firmato.
Ho passato la notte a leggerlo e rileggerlo alla ricerca di qualsiasi segno di slealtà, ma non ne ho trovato nessuno: ci sono tutte le cose di cui avevamo discusso e che mi aveva promesso.
«Perfetto» dice. Per essere così presto, ha un aspetto ottimo ed estremamente curato: trucco in ordine, manicure perfetta di un brillante rosso lucido, capelli raccolti e aria allegra. Indossa un grembiulino bianco pieno di voulant, con lo stesso logo della maglia di Daniele stampato sulla pettorina.
Dopo aver controllato la firma sul mio contratto, lo ripiega e mi fa strada in laboratorio.
Lì c'è un caldo torrido e dolce, sento che micro particelle di zucchero mi si stanno appiccicando al corpo, ai capelli e ai vestiti: formeranno una patina dura che mi renderà indistruttibile agli attacchi dei malvagi? Non lo sapremo mai.
Lo stereo spara una musica più rumorosa, ma sempre a volume basso; immagino sia un compromesso tra le due parti speculari della pasticceria.
Mureau indossa una maglia a maniche corte grigia ed un paio di guanti da forno troppo grandi: sembra uno dei protagonisti di un videogioco giapponese, ma invece di un'arma mistica, dal magico foro nel muro tira fuori una teglia colma di cornetti dorati.
La appoggia con attenzione sul piano d'acciaio, poi con l'avambraccio si tira indietro i capelli, la sua pelle luccica di sudore.
Mi mordicchio il labbro inferiore studiando come la maglia, appesantita dal sudore, gli si drappeggia addosso.
Sono sicura che se lo assaggiassi lui sarebbe già ben zuccherato… aspetta, come?!
Eleonora usa il mio contratto per sventolarsi. «Fa un cavolo di caldo qua dentro» osserva. «Abbiamo il climatizzatore, ma durante gli sforni non è molto efficace» continua a spiegarmi, mentre mi indica il dispositivo in alto, appeso al muro.
«Oh, hai firmato!» si lamenta Mureau con una smorfia.
Mi stringo nelle spalle e sorrido. «Mi spiace, non sei riuscito a scoraggiarmi.»
«Perché non mi sono pas impegnato» puntualizza assottigliando lo sguardo, si avvicina mentre mi studia con aria di sfida. È più alto di me, ma ho un fratello maggiore: non è un dettaglio in grado di intimorirmi.
Arrossisco, ma non abbasso lo sguardo, non mi tiro indietro. «Di solito mi piacciono i ragazzi alti» gli faccio presente, così può rilassarsi e rilasciare l'ego che gli sta gonfiando il petto come un palloncino. Mi ricorda un po' la favola che mi raccontava mia nonna, a proposito di una rana che si voleva gonfiare, e gonfiare, e gonfiare fino a diventare più grande di una mucca lì di passaggio: non andò a finire bene per la rana.
Lui si porta la mano al petto fingendosi colpito. «Oh, merci, di avermi reso partecipe di questo dettaglio emozionante della tua vita» poi torna a Eleonora. «Hai scelto lei per infastidirmi, ammettilo» la accusa.
«Ho scelto lei perché mi piaceva il suo muffin.» Eleonora Bernardi scuote la testa e sospira. «Pierre, su, hai avuto altre assistenti che non ti piacevano e te ne sei sempre fatto una ragione...»
«Non me ne sono mai fatto una ragione» precisa lui.
«Da bravo.»
Lascia andare un lamento e le sue spalle franano sotto il peso della resa obbligata, mentre lei gli appoggia una mano sulla schiena materna e incoraggiante.
«Mica devi tenerla in braccio, dalle qualcosa da fare e non pensarci più.»
«Voglio un aumento» risponde.
«Io una nuova Luis Vuitton, ma devo pagare i fornitori: né tu né io saremo esauditi oggi» conclude con una piccola pacca sulla spalla. «Veronica, se hai bisogno di qualcosa o se lui ti infastidisce troppo, chiamami, d'accordo?»
Annuisco con sorriso.
«A proposito di regali, non dovresti chiamare...» inizia Pierre.
«E le cicale. Cicale, cicale, cicale...» inizia a canticchiare Eleonora Bernardi mentre lascia il laboratorio.
Continuo ad osservare il punto in cui è sparita, perplessa.
«Sono un po' confusa» ammetto.
«Ci farai l'abitudine» archivia senza darmi ulteriori spiegazioni.
Un contaminuti a forma di gallina trilla e Pierre va a premere un pulsante sul forno, il brusìo che parte subito dopo mi informa dell'accensione di una ventola.
«Sono andato a cercare il corso che hai frequentato» inizia a spiegarmi. «Era un corso da casalinghe, ma ti hanno fatto fare le lezioni dell'AUSL e questa è una cosa bella.»
«Nel senso utile?» chiedo guardandomi intorno affascinata.
«Nel senso che mi rende felice sapere che sei informata sulle norme igienico sanitarie di base, Professeur Decreto 81.»
«Ah.»
Raggiunge un armadietto e ne estrae un grembiule identico a quello di Eleonora. «Metti questo e legati i capelli» ordina. Lascia lo sportello dell'armadietto aperto ed io ne approfitto per infilarci borsa, giacca e casco.
Aiutandomi con uno degli elastici che porto al polso, mi arrotolo i capelli sulla nuca, poi mi infilo il grembiule e inizio a regolare i nodi.
Nel frattempo Mureau recupera una teglia colma, colma, colmissima di biscotti. Osservo i muscoli delle sue braccia tendersi nel movimento: sarà anche arrogante e poco simpatico, ma, ehi, niente da ridire sulla copertina. La copertina è veramente figa…
Sospiro: regoliamoci.
«Alors, il tuo eccitante compito di oggi è guarnire i biscotti.»
«Okay» sbotto riscuotendomi, cercò di aggiustarmi il fiocco in vita in modo che sembri grazioso. Le persone che erano in caffetteria sembravano tutte molto curate, nel caso dovessi uscire non voglio sembrare sciatta e scombinata.
Pierre Mureau si schiarisce la voce e sollevo lo sguardo sulla sua occhiata colma di disappunto e noia.
«Vuoi che ti dica che sei carina aussi?» domanda sarcastico.
Ci penso. «Certo, sarebbe gentile da parte tua» confermo.
«Sto per strappartelo» minaccia facendo un passo verso di me.
Sollevo le sopracciglia divertita. «Sarebbe molestia sul lavoro» gli faccio notare. «Sei fortunato che non mi ricordi il numero di decreto» incrocio le braccia sul petto con aria saccente. Ci sono una manciata di secondi in cui leggo nel suo sguardo una risposta piccata, ma scivola via un battito di ciglia.
«Mi sento tutto tranne che fortunato» sbotta.
Gira intorno al tavolo, apre un cassetto e tira fuori una pagina di quaderno piena di ditate; inizia a leggere: «I cuori vanno glassati a metà con la cioccolata fondente. Le lune glassate con cioccolata fondente e decorate con la granella di zucchero. Le ellissi...»
Mi lancia un'occhiata e mi trova a fissarlo con le sopracciglia sollevate.
Alza gli occhi al cielo e mi mostra un biscotto dalla forma allungata. «Questa è un'ellissi.»
«Lo so, cos'è un ellissi» sbotto.
«Non sai com'è fatta una luna?» domanda allora e ne pesca un altro. «Questa è una luna.»
Sbuffo. «È necessario che tu mi elenchi tutto così? Potresti...»
«Se non fosse necessario non lo starei facendo» commenta ferreo, interrompendomi.
Certo sa essere fastidioso quanto ci si mette. Mi appoggio al piano di lavoro con le mani e mi lascio andare ad un mezzo sorriso di frustrazione: avanti, Veronica, pensa a tua madre, è più fastidiosa di così.
«Mi ascolti? Posso proseguire?»
Mi lecco le labbra. «Prego» sputo fuori il più composta possibile, non lascio il tavolo però, realizzo che stringere l'acciaio freddo mi allenta la tensione.
«Le ellissi sono glassate con il cioccolato bianco e decorate con la granella di pistacchi; mentre quelli grandi e rotondi...» si interrompe per sollevarne uno.
Perché prevedibilmente potrei non sapere come è fatto un biscotto grande e rotondo.
«...Vanno ricoperti di marmellata, poi sopra ci devi mettere uno di quelli con il buco al centro.» Ripone il foglio nello stesso cassetto dal quale lo aveva pescato.
«Okay» annuisco festeggiando interiormente la fine della sua arringa. «Tu che fai?»
«Commisero me stesso e tutte le scelte che mi hanno portato qui con te» borbotta, si avvicina a un impasto, recupera uno stampo sagomato ed inizia a disporre un cucchiaio di composto in ogni forma.
Gli lancio un'occhiata. «Ma sono carina?» domando e mi riparo con le braccia quando fa per tirarmi il cucchiaio.
***
Del tutto focalizzata sul mio primo compito smetto di prestare attenzione ai malumori di Mureau per dedicarmi completamente ai biscotti. Daniele e Eleonora vengono sul retro di tanto in tanto, riempiono un vassoio e tornano in caffetteria; mi stupisco di come lascino le maniere spensierate e le cordialità per il pubblico, limitandosi ad essere veloci e funzionali quando sono in laboratorio.
Pierre mi controlla come se fossi una crostata sperimentale e in poco tempo riesco a distinguere quelli che diventeranno i fonemi principali delle nostre conversazioni future.
C'è il mio "eh?", quando continua a fissarmi per cinque Mississipi continuati, segno che ha notato qualcosa.
Il suo "mh" numero uno: labiale, poco sonoro. Credo che esprima un'accettazione, facilmente traducibile con "può andare".
Il suo "mh" numero due: più frequente e acuto del primo. Esprime diniego. Il corrispettivo italiano più corretto potrebbe essere "Che diavolo hai combinato?".
Le mie risposte al "mh" numero due sono: primo, un’arringa indispettita sul perché o per come; secondo, una resa bianca, spesso accompagnata da un "cazzo" apprezzativo, se lui decide che il biscotto incriminato non verrà venduto e quindi sono autorizzata a mangiarlo.
Qualsiasi cosa lui tocchi ha un sapore divino: è il Re Mida del pan di zenzero.
Mi riscuoto dalla strana routine che viene a crearsi, solo quando si materializza un suono diverso.
Incredibile o no, il cellulare di Pierre Mureau squilla sulla note di “What’s new Scooby doo?”.
Manifesto tutta la mia perplessità in un’occhiata, ma lui mi ignora; regola frettolosamente il timer-gallina e si allontana dal laboratorio urlandomi: «Biscotti!»
Sta fuori un po’.
Non tantissimo, niente brucia e non potrebbe certo definirsi una mancanza sul lavoro. Però mi incuriosisce: trovo davvero incredibile da parte sua lasciare tutte le sue preparazioni in balia della mia – a detta sua – scarsa esperienza. Deve essere una telefonata importante, una ragazza forse?
Sto studiando un’“ellisse” appena glassata e decorata tra due dita, quando lui mi afferra il polso e la addenta.
È tutto molto veloce: lui tira indietro la testa e i suoi capelli mi sfiorano il viso, io lascio il biscotto non appena sento il morbido della sua bocca in punta di dita.
Lo fisso corrucciata e guardinga, do uno strattone alla mia mano per farmi lasciare e mi strofino le dita sul grembiule.
Un familiare formicolio sulla punta delle orecchie mi comunica che sono arrossita.
«Ci metti troppa granella» mi spiega tranquillo dopo aver spezzato e masticato il biscotto. «Si sente solo il pistacchio.» Mi offre la metà che gli è avanzata. «Assaggia.»
Continuo a osservarlo il mio cuore scoppietta perché è troppo vicino e ha gli occhi troppo brillanti, i suoi capelli sono troppo ricci e troppo biondi… le lentiggini, spruzzate ai lati e sopra il naso, sono davvero troppo carine.
Quanto tempo è che lo sto fissando?
«Bleah, lo hai leccato tu» obbietto fingendomi schifata, senza perdere il mio look più seducente: cerbiatto spaventato, vittima di una forte insolazione.
Lui mi guarda poco convinto. «Davvero? Sei così schizzinosa aussi? Quanti altri tuoi difetti dovrò aggiungere all’elenco?»
“Come salvare una ragazza dall’imbarazzo in meno di dieci parole”.
Forse è un eroe. Forse sono io a non aver capito i suoi tentativi di mettermi a mio agio poco convenzionali.
Scuoto la testa e gli offro la mia mano a palmo in su: magari non sono così schizzinosa e magari posso sopportare di assaggiare un biscotto già morso da lui, ma sicuramente non lo addenterò dalle sue mani. Decisamente non siamo così intimi.
Arrossisco al solo pensiero.
Cede e mi porge il biscotto. Lo assaggio mentre lui si allontana e io lo osservo vagamente timorosa.
Do una masticata, ci penso...
«A me piace» dichiaro.
«Senti il cioccolato bianco? L'impasto? Quando mangi un biscotto si deve sentire tutto quello che ci hai messo.»
Finisco tenendo a mente le sue parole. Ha ragione, ma non voglio dirglielo. Tanto lo sa da solo.
«E non arrossire così tanto» mi fa notare lanciandomi un'occhiata divertita.
***
Lascio la pasticceria intorno a mezzogiorno e sono stanca da morire.
Sia Daniele che Eleonora mi salutano sorridendo e complimentandosi per il mio lavoro. Mureau è poco, poco più tiepido: esce dal mio campo visivo con un “Finalmente posso smettere di fare il baby-sitter”.
Adorabile.
Purtroppo pare che il traffico, che sono straordinariamente riuscita ad evitare questa mattina, si sia tutto accumulato a quest'ora, è come se Roma avesse detto: “Oh, prepariamoci! Questa mattina l'abbiamo mancata, ma non succederà più!”.
Che noia.
Mentre salgo le scale per il mio appartamento incrocio Luca, il mio vicino di casa.
È un tipo apposto, siamo amici dai pomeriggi a nascondino nel cortile.
«Ciao» mi saluta.
«Ciao» ricambio.
Salgo un paio di scalini.
«Tua madre mi ha detto che hai un nuovo lavoro.»
Mi volto e ridiscendo i gradini fino a raggiungerlo sul pianerottolo dove si è fermato ad aspettarmi.
Luca è sempre stato uno dei pochi nerd al mondo a non avere problemi ad integrarsi: è molto espansivo, molto socievole, anche carino. È mediterraneo, ha gli occhiali e qualche volta non è troppo curato nel vestire, ma è quel tipo di trascurato gradevole. Un po' grunge...
Annuisco sorridendo. «Sì, in una pasticceria» confermo. «Ho iniziato oggi.»
Anche lui sorride, aperto, sincero. «Mi fa piacere.»
«Ehi, vuoi salire a prendere un caffè?» Mi stringo nelle spalle e recupero il cellulare per controllare l'ora: le tredici e trenta, traffico maledetto...
«Io dovrei ancora pranzare, mi fai compagnia» gli propongo.
Lui sorride. «Ho un appuntamento.» Solleva gli occhi al cielo e scuote la testa. «Un tipo dice che il server non gli scarica le email. È un cliente importante, devo andare a vedere.»
«Okay.»
«Passo dopo cena magari.»
Annuisco tornando a salire. «Mandami un messaggio su WhatsApp» dico mentre sventolo la mano in segno di saluto.
Casa mia è vuota e silenziosa, mia madre si occupa delle pulizie di una scuola privata e a quest’ora è già in servizio.
Apro il frigorifero e su un piatto trovo due pezzi di pizza farcita. Sono poche le volte in cui ne sono davvero sicura, ma credo che in realtà questa donna mi voglia bene.
Siccome odio mangiare da sola e in silenzio, accendo la tv e la sintonizzo su un programma che si fa vanto di raccontare storie di veri tradimenti. È incredibile vedere quanto si impegnino le persone, per andare a letto con qualcuno che non è il proprio compagno.
Sto sbucciando la mia mela giornaliera, mentre due attori riproducono l'esplosione della passione in un'officina – un cliché sempre attuale – quando il mio cellulare vibra e lo schermo mi mostra un messaggio di Serena.
Per qualche secondo continuo ad osservarlo indecisa, armata di mela e coltello, poi recupero un tovagliolo e mi pulisco le mani.
Serena mi chiede che faccio.
Non sono molto ben disposta nei suoi confronti, lo ammetto: quando con Alberto è finita non ha fatto molto per starmi vicina. Dichiarando di non volersi impicciare nelle nostre cose, è rimasta in contatto con entrambi; non che io abbia chiesto a qualcuno scelte irragionevoli, però si sentono e frequentano con costanza. In realtà vede lui con molta più costanza di me. Forse sbaglio, ma non credo che dovrebbe comportarsi così.
Le rispondo che sto pranzando e mi impegno ad essere civile aggiungendo un “Te?”.
Recupero la mela... e mi arrivano quattro messaggi di fila.
Ha discusso con il suo ragazzo, Giorgio, chiede se la accompagno a fare un po' di shopping.
Dovrei rispondere di no, so come va a finire.
Mi scuso e dico che sono stanca.
Lei dice di essere molto scossa e aver bisogno di parlare, svagarsi, così ne approfittiamo e passiamo il pomeriggio insieme.
Non avrebbe potuto prendere un pomeriggio qualsiasi, ha dovuto aspettare che il suo ragazzo non volesse vederla.
Dovrei rimanere ancorata al mio no.
Invece in virtù dei bei tempi andati dico di sì.
Una follia.
Passo un paio di ore in balia di messaggi contradditori di Serena.
“Sì, ci sono”.
“Aspetto, per sentire che mi risponde Giorgio”.
“Non mi risponde”.
“Se non mi risponde entro le quattro ci vediamo”.
Ho il sospetto che la mia compagnia non sia apprezzata come dovrebbe.
Due ore dopo la raggiungo in un centro commerciale.
Serena mi sorride come se fossi proprio la persona che voleva vedere oggi, ma ha il telefono attaccato all'orecchio nell’ultimo, disperato tentativo di contattare il suo Giorgio, quindi non è molto credibile.
Mi sono sempre ritenuta più carina di lei, lo so, è pessimo. Ma lei ha il sedere più grande del mio e poco seno: infantile? Può darsi, però mi ha chiamata solo perché il suo fidanzato le ha dato buca, ho il diritto di essere un po’ cattivella.
«Pati» squittisce quando mi vede, si tira gli occhiali da sole sopra la sua chioma bionda, mostrando due occhietti super blu.
Sì, noi ci chiamiamo Pati.
«Ciao» dico meno entusiasta.
Lei mi abbraccia, ha un profumo dolce come le ciambelline vanigliate che ha fritto oggi Mureau.
«Ti devo dire una cosa, ma ho paura che ti arrabbi.»
Alzo gli occhi al cielo e sospiro: so cosa vuole dirmi.
«Ho appena parlato con Giorgio, ci raggiunge fra un’oretta.»
Strizzo gli occhi e trattengo il respiro per non urlare. «Potevi dirmelo.»
O avrebbe potuto dire a lui che aveva un altro impegno, ma io sono facilmente scaricabile, immagino.
«Beh, ma se stiamo tutti insieme che male c’è» spiega, mi prende sotto braccio e mi guida verso un negozio di scarpe. «E poi ero già qui quando l’ho sentito, ha detto che prima dormiva.» Scuote la testa. «È strano in questo periodo, se la prende per un niente.»
Non ho voglia di ascoltarla, sono troppo offesa, opto per lo sciopero dei consigli costruttivi e per un’uscita di scena garbata.
«Senti, io vado» dico. «Puoi chiamarlo e dirgli di raggiungerti prima» le suggerisco. «Magari chiarite.»
Non credo.
«Ma non riesce a venire prima, aspetta almeno finché non arriva» cerca di trattenermi.
«No» sorrido scuotendo la testa.
«O-okay» balbetta dispiaciuta. «Ti faccio sapere.»
«Ho un mezzo impegno con Luca, quindi non so se guarderò il telefono» spiego per scaricarla. «Ti rispondo quando leggo, okay?»
Attraverso di nuovo il centro commerciale, diretta al parcheggio. Sulle scale mobili compongo il numero di Tiziana.
«Ciao, Serena mi ha scaricata a Roma Est, voi che fate?»
«Ho uno strano ricordo di me che ti dico “Mandala a farsi fottere”» mi racconta.
«E va bene, hai ragione» mi arrendo. «Possiamo chiuderla qui o mi metto in ginocchio?»
«Siamo a casa mia, metto lo smalto ed aiuto Samuele a scegliere quali ragazze aggiungere su Facebook per provarci... ci raggiungi?»
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