13_ visita a sorpresa

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Zayn's pov

Ok piccolo riassunto dell ultima settimana.... mio padre mi hai chiamato .... ma non il padre di Cloe... il mio vero padre di... quello che ha abbandonati sia me che mia madre... quella persona che odio con tutto il cuore... di lui non ne ho mai parlato a nessuno... neanche a Cloe...

Nell ultima settimana continuava a lasciami messaggi in segreteria telefonica per dirmi che aveva qualcosa da dirmi e da darmi soprattutto ... che voleva mi voleva incontrare al più presto ecc. ecc. ma io continuai a ignorarlo.... fino al momento che scoppiai ... volevo ammazzarlo quell'uomo non potevo dimenticare tutte le mazzate che dava a mia madre ogni volta che tornava a casa ubriaco....

quando quel giorno riaccompagnai a casa Niall decisi di finire la storia con mio padre una volta per tutte....

Ho chiamato mio padre mentre ero per strada e mi sono fatto dare il suo indirizzo. Lui ha provato

a parlarmi un po', ma io gli ho attaccato il telefono in faccia. Non ho intenzione di affrontare al

telefono la questione del perché ci ha mollato.

Vive a due ore da me, e la cosa mi dà piuttosto ai nervi. Solo due ore e non è mai venuto a

trovarmi. Quando accosto davanti a casa sua, le mie mani quasi strangolano il volante. Vive in un casa

di mattoni bianchi a due piani. Il quartiere è carino, con case gigantesche e gente che porta a spasso i

cani sul marciapiede. Non ci sono spacciatori, né risse, né auto scassate parcheggiate nei cortili.

Resto seduto nella mia macchina a fissare la porta rossa con sopra la grande insegna che recita:

"Benvenuti". Ci sono fiori ai lati del giardino e il prato è curato. È per questo che ci ha lasciati?

Perché voleva una vita più lussuosa? Perché diavolo non poteva fare tutto questo con noi?

Il telefono mi suona in tasca e io lo spengo. È Cloe e in questo momento non posso parlare con lei.

La porta d'ingresso si apre e un uomo sulla quarantina esce sul portico. Ha i capelli neri come i

miei, ma più fini. Indossa un vestito nero e ha l'aria di un odioso arrogante.

Raccoglie il giornale da terra e lancia una rapida occhiata alla mia macchina mentre si allontana

dal portico a passo svelto. Conto fino a cinque, poi m'impongo di staccare la mano dal volante e

scendo dall'auto. Lui mi riconosce immediatamente e impallidisce.

«Zayn?», dice, infilandosi il giornale sotto il braccio. «Sei tu?».

Faccio un respiro profondo e attraverso il giardino. «Non so neppure perché sono qui».

«Perché non entri, così parliamo un po'?», suggerisce. Lo seguo dentro, e l'interno è ancora più

bello dell'esterno; pavimenti di legno, un enorme lampadario e mura pitturate di fresco alle quali sono

appese foto di famiglia.

«Hai una famiglia?».

Lui lancia il giornale sul tavolo e mi fa segno di sedermi in salotto. «Sì, una figlia di dodici anni e

un maschio di otto».

Profondamente a disagio, mi siedo su una sedia ornata da cuscini con i volant. Lui si siede di

fronte a me, con l'aria di chi non sa assolutamente cosa fare o cosa dire. «Allora, come stai?»

«Benissimo». Sul muro c'è una grande foto scattata in una chiesa che ritrae lui e sua moglie il

giorno del matrimonio, e io la fisso facendo mentalmente i conti. «Da quanto tempo ti sei risposato?».

Si agita nervosamente e inclina la sedia all'indietro, poi posa un piede sul ginocchio. «Zayn,

ascolta, preferirei non parlare di questo».

«Che cosa hai fatto? Ci hai abbandonato per sposare la prima persona che hai incontrato?». La mia

voce ribolle di rabbia. Lui distoglie lo sguardo da me e si gira verso la finestra, e io capisco. «La

frequentavi già mentre stavi ancora con la mamma, non è vero?».

Mi guarda di nuovo, con due occhi che sono identici ai miei. «Ascolta,Zayn, c'erano cose tra me

e tua madre che tu non puoi capire... io non ero felice».

«C'erano anche delle cose tra me e te», dico bruscamente. «Che scusa hai per quelle?».

Si passa una mano sul viso e fa un sospiro esausto. «Mi dispiace».

Stringo i pugni, sforzandomi di reprimere l'impulso di saltare dalla sedia e strangolarlo. «Ti

dispiace? Davvero una bella risposta!».

Da un cassetto del tavolino tira fuori una cartellina e la sbatte sul piano di fronte a noi. «Tuo

nonno ti ha lasciato dei soldi nel testamento».

I miei occhi saltano dalla cartellina a mio padre. «È per questo che mi hai fatto venire qui?».

Lui apre la cartellina e tira fuori alcuni documenti. «Ho pensato potessi usarli per andare al college

o per qualcos'altro. Sarebbe bello, non credi?».

Mi alzo in piedi, scuotendo la testa. «Non ho intenzione di andare al college, e lo sapresti se fossi

stato con me anche dopo che avevo compiuto sei anni».

Fa scivolare i fogli sul tavolo e poggia lì accanto una penna. «Prendi questi soldi,Zayn. Voglio

sapere che sei a posto, altrimenti non sarò mai tranquillo».

Faccio una pausa, poi dico: «Hai intenzione di rivedermi ancora?». Il suo silenzio è l'unica

risposta di cui ho bisogno. «Non voglio i tuoi maledetti soldi». Gli lancio addosso le carte ed esco

come un fulmine dalla porta. «Dalli a uno dei tuoi veri figli».

Non mi chiama mentre mi precipito fuori, e non mi rincorre. Vado dritto verso la mia macchina,

più furioso a ogni passo, e tiro un pugno contro il finestrino dalla parte del guidatore. Non si rompe,

ma un paio di nocche mi bruciano.

«Maledizione!», grido, stringendo la mano, e l'anziana signora che sta lavorando in giardino

dall'altra parte della strada rientra in casa di corsa.

Salto in macchina e parto a tutta velocità senza sapere assolutamente dove diavolo andare.

.......

Cloe

È passata una settimana e Zayn non si è fatto sentire. Non mi chiama, né risponde ai miei

messaggi, e quando lo chiamo scatta subito la segreteria telefonica. Neppure Giulia ha idea di

dove sia e sta iniziando a preoccuparsi sul serio

«Che canzone è?». Giulia è sdraiata a pancia in giù sul mio letto, intenta a sfogliare le pagine di una

rivista.

«Black Sun di Jo Mango», rispondo, temperando una delle mie matite a carboncino nel cestino

della stanza da letto.

«È triste». Ha l'espressione accigliata e poggia il mento su una mano. «Mi fa venire voglia di

piangere».

«È la canzone giusta per disegnare». Torno al mio disegno sul pavimento. Le linee scure tracciano

frammenti di uno specchio rotto, e dentro uno di quei frammenti inizio ad abbozzare la forma di una

chitarra. Quando avrò terminato, ogni frammento di quello specchio conterrà qualcosa della mia vita,

ma probabilmente impiegherò un bel po' di tempo per finirlo.

Perchè non mi guardi negli occhi?Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora