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La porta a sbarre di quel sudicio tugurio era aperta, sensa neanche una guardia a sorvegliarla.
All'interno, due persone: un uomo di mezza età e un ragazzo.
Eren.
Ceppi di metallo fissati ai polsi e alle caviglie lo incatenavano ad una spessa lastra di pietra posta al centro della cella; sugli occhi aveva una benda sporca e chiaramente umida di lacrime, e tra i denti un bavaglio costituito da uno stretto pezzo di legno legato dietro la testa da cinghie di cuoio.
Nonostante quell'arnese, le urla emesse dal ragazzo erano più che udibili, mentre l'uomo in piedi accanto a lui, e con un'erezione che premeva contro la stoffa sella tunica, gli stava facendo scorrere addosso un ferro arroventato, partendo dal petto e poi lungo lo stomaco e i fianchi, e intanto il ragazzo si dimenava tanto che piccoli rivoli di sangue cominciarono a rigargli i polsi, ed il viso divenne una maschera di dolore nonostante la benda che gli copriva gli occhi, sicuramente rigati dal pianto.
Levi osservava tutta la scena come impietrito, totalmente incapace di muovere anche solo un muscolo, come se fosse lui quello incatenato... Si risvegliò da quella specie di paralisi quando vide il ferro rovente arrivare ad un passo dalle parti basse di Eren, che prese a sussultare sulla lastra alla quale era legato, in preda a veri e propri spasmi di dolore.
A quel punto in Levi si risvegliò una sorta di furia repressa, che esplose in un grido selvaggio mentre si lanciava dentro la cella, spada in pugno e occhi fiammeggianti di odio.
In testa, un unico pensiero.
Sta lontano da lui!!
Arrivò ad un soffio dal senatore romano prima ancora di accorgersene, ed il suo gladio gli trapassò la testa con uno scatto quasi involontario.
Il sangue schizzò intorno, colando a fiotti sul pavimento e macchiando le pareti circostanti con piccole macchie cremisi.
Il corpo del romano ebbe un paio di spasmi, poi Levi ritirò la spada e quello crollò al suolo, continuando a contorcersi per ancora un paio di minuti prima di immobbilizzarsi nel sonno eterno.
Una volta che il nemico fu morto, il moro sembrò tornare di colpo al mondo reale, e sentì dinuovo le urla di Eren lacerargli i timpani: il ragazzo era ancora legato a quella lastra di pietra, e non la smetteva un secondo di dimenarsi, mentre un fastidioso puzzo di carne bruciata emanava dal suo corpo.
Levi non ce la faceva più a vederlo in quello stato, e si fece prendere dalla fretta di liberarlo, avventandosi sui ceppi di metallo che gli bloccavano polsi e caviglie subito dopo aver preso le chiavi dal cadavere del senatore. Non si curò nemmeno di essere delicato, nonostante si stesse parlando di Eren.
Le prime che vennero liberate furono le gambe del ragazzo, e allora lui subito prese a scalciare come un puledro impazzito, senza minimamente udire la voce di Levi che lo implorava di calmarsi, riuscendo anche a colpirlo un paio di volte, senza però che questo bastasse a farlo allontanare. Prima di slegargli anche i polsi il moro gli tolse il bavaglio, perché il giovane lo stava stringendo con così tanta forza da far temere al gladiatore che potesse spezzarsi i denti; la benda provò a toglierla subito dopo avergli liberato le mani, ma Eren gli rese il lavoro difficile, perché non la smetteva di provare a morderlo e graffiarlo, pur non vedendo dove colpiva, e Levi faceva del suo meglio per contrastare quella sua improvvisa furia senza fargli più male di quanto non ne avesse già patito. Anche se lo chiamava, anche se cercava di abbracciarlo, però, il più piccolo non lo ascoltava affatto, completamente in balia dei demoni creatisi intorno a lui in quei mesi di soprusi, e alla fine il moro perse la poca pazienza che aveva e decise di usare "le maniere forti": agguantò i polsi del ragazzo con una mano, strappando via la benda mentre gli gridava: "Eren calmati! Sono io, dannazione! Sono Levi!"
I loro sguardi cozzarono l'uno contro l'altro nel momento in cui il panno di stoffa scura scivolò via dal viso del ragazzo, e allora lui si immobilizzò di colpo, ed i suoi occhi parvero riprendere vita mentre si riempivano di lacrime; tutta la forza con la quale si era dibattuto fino ad un istante prima sparì, ed il suo corpo si afflosciò tra le mani del moro, che non aveva staccato gli occhi dai suoi un solo momento.
"Levi..." sussurrò poi Eren, mentre grossi lacrimoni continuavano a bagnargli le goti, allungando una mano e sfiorandogli il viso con dita tremanti, come se temesse di stare sognando.
"Levi, sei davvero tu?"
L'altro non disse nulla, annuì soltanto.
Il corpo di Eren fu scosso da un singhiozzo, poi da un altro e un altro ancora, mentre, ancora seduto su quella lastra di pietra, si piegava verso il petto di Levi, che lo circondò con le proprie braccia, ma in una stretta leggera, quasi timoroso di poterlo spezzare: Eren era sempre stato magro, ma ora era veramente pelle e ossa, ed il moro poté sentire ogni singola vertebra sotto le dita, e riuscì a contargli tutte le costole.
"Che cosa ti ahanno fatto...?"
Levi credette di averla solo pensata quella domanda.
Eren pianse ancora più forte, senza però riuscire a dargli una risposta, e stringendosi a lui come se volesse essere inghiottito dal suo corpo caldo e possente, che tanto gli era mancato in quei mesi.
"Andiamo via da qui" mugolò.
Levi annuì, poi lo prese in braccio, stringendolo a sé e stupendosi di quanto lo sentisse esageratamente leggero.
Si incamminarono fuori da quella cella in quel modo, mentre il moro, dentro di sé, faceva una solenne promessa: non avrebbe più permesso che Eren gli venisse portato via, né che subisse ancora le violenze di qualcuno, a costo di rimetterci la vita.

Allora che dite? Capitolo un po' triste lo so, ma almeno sono dinuovo insieme!
Ah poi vi avviso di un'altra cosa: alla fine della storia mancano pochi capitoli (non so di preciso quanti, forse 3-4)... e non so se essere contenta o no... 😅
A presto! 💜

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