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Le urla della folla impazzita lo disturbavano e disgustavano insieme. Per quanto ci provasse, non era mai stato capace di escluderle completamente dalla prorpria mante: il 99% del suo corpo era concentrato sulla lotta, certo, ma c'era sempre quell'1% che coglieva ogni invocazione di morte, ogni insulto, ogni grido di giubilo non appena altro sangue inzuppava la sabbia dell'arena, e poi li vedeva, con la coda dell'occhio, mentre lottava: uomini ubriachi che strillavano e saltavano come mocciosi ogni volta che lui feriva qualcuno o che, meglio ancora, lo uccideva; ragazzine che probabilmente non avevano ancora mai visto un'uccello che invocavano il suo nome come fosse quello di un dio, e donne, prostitute e non, che si abbassavano la veste mostrandogli i seni e urlandogli che erano sue, come se gliene importasse qualcosa. Forse, se qualche bel ragazzo gli avesse mostrato il membro, la cosa sarebbe stata diversa... No, non sarebbe cambiato niente, e Levi lo sapeva benissimo: i romani gli facevano tutti schifo, a priori: considerava la marmaglia che affollava gli spalti dell'arena un branco di bestie rognose dedite solo al sangue e al dolore, finché non erano loro il bersaglio, e i patrizi insieme alle altre classi nobiliari erano anche peggio, ossessionati come erano dall'arricchirsi, dallo scalare la scala sociale e dai piaceri della carne.
Dal giorno in cui  Batiato lo aveva comprato, quando era ancora un ragazzino, Levi aveva visto e partecipato a talmente tante orge che nemmeno le ricordava tutte, ma doveva ammettere che gli era andata bene, ad essere comprato da un lanista patrizio: era consapevole di essere un uomo bello, dai tratti delicati e particolari nonostante la statura imbarazzante per un ventenne, e non aveva dubbi su che fine avrebbe fatto se non fosse stato quella serpe del padrone a comprarlo: sarebbe finito come sua madre.
Per quanto lo riguardava, preferiva stroncare mille vite e rischiare di morire a sua volta ogni giorno, piuttosto che farsi sbattere da vecchi arrapati ogni notte.
E proprio ora doveva stroncare una vita: lo avevano messo contro un bestione tutto muscoli e niente cervello, che ruggiva come un animale impazzito prima di ogni attacco.
Levi non aveva nemmeno bisogno di concentrarsi davvero in quella lotta, ma decise che ne avrebbe approfittato per sfogarsi, visto che, per quanto gli costasse ammetterlo, combattere lo rendeva libero, anche se per poco.
L'avversario lo caricò come un caprone indemognato, ma lui non si lasciò spaventare: aspetto che gli fosse vicino, attese che il gladio di quella belva arrivasse ad un passo dalla sua gola, poi si scanzò, all'ultimo istante, compiendo una capriola sulla sabbia e rotolando sotto il braccio dell'altro gladiatore.
Già solo con quel movento avrebbe potuto ucciderlo, ma si limitò a graffiarlo dall'alto verso il basso, arrivando quasi fino alla gola: il taglio che aveva praticato era poco profondo, ma il sangue schizzò alto nell'aria torrida di Capua, macchiando il suo stesso viso e scatenando un altro torrente di urla da parte della folla.
L'uomo ferito barcollò, ma ritrovò subito la stabilità sulle gambe e menò un fendente laterale, che Levi parò senza difficoltà con lo scudo di ferro, che subito dopo sbattè letteralmente in faccia all'altro uomo.
Gli fece sputare sangue e saltare due denti, poi bastò una pedata sul petto per mandarlo lungo disteso sulla sabbia.
Gli si mise subito a cavalcioni sul petto, Levi, per evitare che reagisse di colpo scalciò lontano il gladio, ma non lo uccise, perché comunque la decisione non spettava a lui: era il magistrato seduto in tribuna a dover dare il segnale di vita o di morte, ed il giovane alzò lo sguardo per essere pronto ad eseguire: vide il magistrato alzarsi lentamente dalla sedia imbottita, posare la coppa di vino e scandagliare la folla con aria assorta, come se davvero fosse indeciso su cosa fare: inscenavano quella stronzata ogni volta, ad ogni incontro, ma Levi aveva capito da tempo quanto fosse semplice la cosa, in realtà.
Se vinci, resti vivo. Se finisci a terra, sei morto.
Il magistrato puntò il pollice verso il basso.
Ovviamente.
Levi tornò a chinare lo sguardo e lo piantò in quello del suo avversario, dove lesse la paura.
Glielo sussurrò appena: "La tua lotta è finita".
Poi gli tagliò la gola di netto, come si fa con un animale al macello, e lasciò che il sangue gli schizzasse addosso mentre l'adrenalina generata dalla lotta sbolliva lentamente.
Un altro giorno era passato, un altro incontro era stato vinto.
Gliene restavano altri mille mila.


Lo so i capitoli sono corti ma lo sapete  (credo 😅) che preferisco farne 100 brevi anziché 10 chilometrici.
Spero che nonostante la lunghezza vi sia piaciuto anche questo capitolo 😊
Piccola precisazione: la frase detta da Levi a fine lotta non è di mia invenzione. L'ho presa dalla serie TV "The 100"(vedetevela è TROPPO BELLA!)
Detto questo mi cingedo e al prossimo capitolo!

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