Prologo.

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«Presa!» la voce di Liam riecheggia nel cortile. «É il tuo turno. Tocca a te contare, adesso!» mi rivolge un sorriso complice, rivelando due simpatiche fossette.
Sto per poggiare la testa contro il muro per iniziare a contare quando, in lontananza, vedo Suor Agnese dirigersi verso di noi. Sul viso ha un sorriso compiaciuto e, con la mano destra, sta trascinando qualcosa. Più avanza verso di noi, più l'oggetto trascinato mi risulta familiare.
Ma certo, é un trolley!
Tutti nell'Istituto ne abbiamo uno, anche se non ho mai ben capito a cosa serva. Di vestiti ne abbiamo pochi e, quei pochi che abbiamo, ci hanno insegnato a ripiegarli accuratamente, ognuno nel proprio armadio.
Per non parlare dei giochi!
Sono tutti all'interno della "Sala Ricreazione" e ci é concesso utilizzarli solo dopo la preghiera pomeridiana.
La voce di Suor Agnese mi riscuote dai pensieri. «William, seguimi.»
Due parole.
Due semplici parole sono riuscite a cancellare il sorriso dal viso del mio migliore amico.
Sapevo cosa sarebbe successo.
Tutti lo sapevamo.
Ogni volta che Suor Agnese porta con sé un bambino poi, quello, sparisce inspiegabilmente dall'Istituto.
Sento spesso parlare le suore di una certa "adozione", ma mai nessuno mi ha spiegato il significato di questo termine.
Per me, "essere adottato" significa sparire nel nulla.
É un continuo viavai.
Sapevo che questo giorno sarebbe arrivato, ma non sono pronta ad affrontarlo.
William, il mio primo ed unico migliore amico, se n'é andato. E, con lui, anche una parte di me.

Due giorni dopo, il mercoledì, festeggiai il mio settimo compleanno.
Il mio primo compleanno senza di lui.

Un anno dopo, Suor Agnese portò via anche me.

Da quel momento capii che "essere adottata" non significava sparire, ma rinascere.

Ti porto via con meDove le storie prendono vita. Scoprilo ora