«Mi mancherai tantissimo...» mi sussurra Tommaso all'orecchio. «Vieni qua, fatti abbracciare!» mi avvolge in un caloroso abbraccio.
Chiudo gli occhi, mi lascio cullare.
«Non ti dimenticherai di me, vero?» mi chiede, senza sciogliere l'abbraccio.
«No Tom, certo che no...» gli rispondo, meno convinta di quanto vorrei.
«Tutte quelle giornate passate insieme...» fa una breve pausa. «Per me, sei impossibile da dimenticare.»
Mi stringe ancora di più a sé.
Questa volta però, anch'io lo stringo con più entusiasmo.
Di amici e, soprattutto, di ragazzi come Tommaso ce ne sono ben pochi al giorno d'oggi.
«Pensi che riuscirò a trovare nuovi amici a Milano?» gli domando.All'improvviso interrompe l'abbraccio, per poi fissarmi con occhi cupi, tristi.
«Alissa, svegliati!» mi sussurra mia mamma con un filo di voce.
Non ho le forze necessarie per alzarmi, ma non le ho neppure per aprire anche un solo occhio e darle cenni di vita.
«Alissa, sono già le sette e mezza» riprova mia madre, con scarsi risultati.
Sicuramente saranno le sette o, forse, anche le sei e mezza.
Non so perché ma, quando si tratta di svegliarmi, cerca di convincermi che sia sempre tardi.
É un pò troppo ansiosa.
Dovrei dirglielo, se mai avrò la forza di abbandonare il mio caldo lettuccio.
Lei, però, non si arrende.
Alza la tapparella arrugginita della mia nuova cameretta e spalanca la finestra. Il vento di metà novembre si fa strada nella stanza, facendomi sbarrare gli occhi.
«Ah, finalmente!» esclama compiaciuta. «Alzati tesoro, abbiamo appuntamento con il rettore tra poco più di un'ora» prosegue.
«Vuoi la colazione?» mi domanda, quasi sulla soglia della porta.
«Mmm... Si» mugolo.
Chiude la porta alle sue spalle, la sento scendere le scale.Mi alzo dal letto, non del tutto cosciente, e mi trascino in bagno.
Dopo essermi sciacquata il viso, mi guardo allo specchio.
Le occhiaie, dopo quasi un mese di trasloco, sono sempre più evidenti, e il mio viso mostra i segni della stanchezza. Dimostro quasi cinque o sei anni in più di quelli che realmente ho.Torno in camera, apro l'armadio e opto per un paio di jeans aderenti, un cardigan grigio perla, una giacca di pelle nera e i miei amati stivali, lunghi fino al ginocchio.
Guardo fuori dalla finestra, fortunatamente non piove, ma c'é un gran vento.
Mi era stato detto.Mi siedo alla scrivania, di fronte alla specchio, per darmi una sistemata ai capelli. Li pettino, cercando di arricciarli sulle punte.
Infine, un pò di fondotinta, correttore, ombretto, mascara e rossetto.
Dopo meno di venti minuti sono pronta per scendere.Ma sono realmente pronta?
Il sogno che ho fatto stanotte é l'ennesima dimostrazione di quanto io sia nervosa per questo trasferimento, per la nuova scuola, per la nuova casa, per la nuova città, e per tutto il resto.Scendo in cucina, cercando di accantonare tutti i pensieri negativi.
Trovo una tazza di latte con i miei cereali preferiti, apparecchiata con cura sul grande tavolo di ciliegio, posto al centro della cucina.
Non posso fare a meno di stampare un bacio in guancia a mia mamma per ringraziarla.
Devo tutto a questa donna.
«Pronta per il primo giorno?» mi domanda, versandosi un pò di caffè in una tazzina.
«Si, penso di si...» ma la mia voce trema, rispecchiando il mio stato d'animo.
«Ho capito...» prosegue, rivolgendomi un sorriso comprensivo «Niente domande, almeno per questa mattina» conclude, buttando giù il caffè in un solo sorso.Quando usciamo da casa, il vento mi scosta violentemente i capelli e il freddo mi fa rabbrividire.
Mi pento amaramente di non aver indossato un cappello.
Dopo pochi minuti di camminata, intravedo la Citroen grigia di mia mamma parcheggiata.
Salgo immediatamente in macchina.
Il viaggio prosegue in assoluto silenzio e, forse, é meglio così.Dopo sei minuti di orologio, arriviamo a destinazione.
Eccola lì, la mia nuova scuola!
É un edificio enorme, composto interamente da mattoni rossi, che si erge su un cortile immenso.
Il parcheggio, così come l'entrata e il cortile, é pieno di ragazzi, più o meno della mia età, divisi in gruppi.
Questo mi ricorda vagamente la mia vecchia scuola e, per un attimo, mi sento a casa.
«Credo sia quella l'entrata» afferma titubante mia mamma, schiarendosi la voce.
«Si, credo anch'io» l'assecondo.Ci dirigiamo verso la presunta entrata e, dopo aver oltrepassato un grande cancello nero aperto, ci troviamo di fronte un altro ingresso.
Un pò più piccolo e con delle porte decisamente più nuove.
«Questa dovrebbe essere la segreteria...» mi rivolgo a mia madre, dopo aver chiuso la porta alle mie spalle.
«Si, siete nel posto giusto!» esclama una donna bionda, di mezz'età, da dietro un bancone.
«Chi state cercando?» ci domanda, togliendosi dal viso i grandi occhiali viola.
«Abbiamo appuntamento con il rettore, mia figlia é una nuova studentessa» le risponde mia madre, indicandomi con un cenno del capo.
«Ah, certo! Prego, seguitemi!»Seguiamo la signora lungo un corridoio con le pareti bianche e manifesti appesi ovunque, in ordine maniacale.
Ci congeda davanti ad un ufficio vuoto, con la porta aperta.
Sto per chiedere spiegazioni a mia madre quando un uomo brizzolato, sui cinquantacinque anni e vestito in modo molto formale, si avvicina a noi.
«Sei Alissa, giusto?» mi domanda, mostrandomi i denti bianchissimi.
«Giusto» rispondo, un pò intimidita.
«Entrate pure nel mio ufficio, accomodatevi!» si siede dietro la scrivania, proprio di fronte a me.
«Io sono Sergio Gregori e, come avrai già capito, sono il dirigente scolastico di questa scuola» si rivolge esclusivamente a me, ignorando completamente la presenza di mia madre.
Questo comportamento mi fa sentire grande, matura.
«Sei la benvenuta in questa scuola! Sei stata inserita nella classe 5A. Non é una delle classi migliori, scolasticamente parlando, ma sono sicuro che ti troverai bene con i compagni e, soprattutto, con i docenti. Ho già avuto modo di parlare con loro. Sono disponibili a seguirti, ogni volta che ne avrai bisogno, per metterti alla pari con i programmi scolastici o anche solo per alcune informazioni...»
Si interrompe quando, all'improvviso, la maniglia della porta dell'ufficio viene spinta e la porta aperta violentemente.
Un ragazzo dai capelli scuri fa il suo ingresso trionfale.
«Buongiorno Sergio!» annuncia sorridendo.
«Anche stamattina, la professoressa di matematica...» fa una breve pausa «Com'é che si chiama? Martini, Latini...?» prosegue, fingendo indifferenza, grattandosi il mento. «Lasciamo perdere, questo non é un dettaglio particolaramente rilevante. Sta di fatto che, come le dicevo, anche stamane mi ha mandato a farle visita. Dice che non mi sopporta già più.»
Fa spallucce, fissando il rettore.
Mia mamma lo guarda attonita.
A me viene da ridere, non saprei cos'altro fare in una situazione del genere.Improvvisamente, lo sguardo del ragazzo si posa su mia mamma, poi su di me.
I miei occhi castani incontrano i suoi celesti.
Non é possibile!
Non posso crederci!
É proprio lui!
STAI LEGGENDO
Ti porto via con me
RomanceIl destino può separare i corpi, ma non può separare i cuori. Ambiziosa, testarda, timida e con la testa sulle spalle. Alissa ama leggere e viaggiare ma, soprattutto, ama la vita. All'età di diciotto anni é costretta a trasferirsi a Milano, a causa...