Capitolo Cinque.

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«La professoressa di inglese é assente. Siete autorizzati dalla vicepresidenza ad uscire due ore prima» esclama, piuttosto indifferente, una delle collaboratrici scolastiche, dopo aver aperto la porta.

Non l'avesse mai detto!
Nella classe si scatena il putiferio più assoluto.
Tutti si alzano rumorosamente dalle proprie sedie e si spintonano per uscire, quasi come fosse una gara.
Rimango paralizzata, incollata alla mia sedia.
«Andiamo Ali?» la voce di Eva mi fa sobbalzare.
É già in piedi, proprio di fronte a me, e mi sta fissando con occhi scrutatori.
Annuisco.
Finalmente mi alzo anch'io e ci dirigiamo verso la porta.
In pochi minuti raggiungiamo l'uscita della scuola e, una volta fuori, mi accorgo che é cominciato a piovere.
Anzi, piovere mi sembra alquanto riduttivo. Sta diluviando!
Enormi goccioloni si schiantano continuamente al suolo, provocando un fastidioso scroscìo.
Ci fermiamo sotto una delle grandi tettoie arrugginite della scuola.
«Come torni a casa?» mi domanda, prendendomi alla sprovvista.
Non ci avevo ancora pensato.
Forse dovrei chiamare mia mamma e chiederle di passarmi a prendere...
«Non lo so... Adesso provo a sentire mia mamma, penso mi passi a prendere lei» improvviso.
«Perché non prendi il pullman con me?» mi propone. «Ferma sull'altro lato della strada» mi indica una fermata del bus in lontananza.
«No, non saprei neanche dove scendere...» le rispondo, in tutta onestà. «Non ho un grande senso dell'orientamento...» aggiungo imbarazzata.
«Sicura?» riprova. «Potremmo chiedere la fermata più vicina a casa tua al conducente» insiste.
«No Eva, tranquilla, veramente, adesso chiamo mia mamma. Non preoccuparti.»

Mi fa piacere che si preoccupi per me, ma ho diciotto anni e so badare a me stessa.
Non posso prendere un pullman che non conosco, finirei per perdermi, ed é l'ultima cosa che voglio.

«Va bene...» si arrende, rivolgendomi un sorriso.
«Però lasciami il tuo numero!» mi porge il suo Smartphone nero, lo prendo e digito il mio numero sul display.
«Ti scrivo più tardi, così memorizzi il mio.»
Riprende il suo cellulare e mi schiocca un bacio sulla guancia, accompagnato da un «Ciao Ali!»
«Ciao Eva!» le rispondo sorridendo.
La vedo allontanarsi di corsa sotto la pioggia.
Solo ora posso notare che ha un fisico piuttosto atletico.

Finalmente mi decido a tirare fuori l'iPhone dalla tasca del cardigan per chiamare mia mamma.
Mi risponde dopo tre squilli.
«Tesoro?» la sua voce lascia trasparire un velo di preoccupazione.
«Mamma, siamo usciti prima da scuola, la professoressa di inglese é assente. Riusciresti a passarmi a prendere?» le domando. «Piove a dirotto e ho dimenticato l'ombrello a casa» preciso.
«Alissa sono al supermercato, sto facendo la spesa. Riesci ad aspettare una mezz'oretta?» mi domanda titubante.
«Va bene mamma, ti aspetto qui» la saluto e chiudo la telefonata.

Nell'attesa, decido di sedermi sulla panchina deteriorata, posta sotto la tettoia.
Mi accendo una sigaretta.
Stare mezz'ora fuori da scuola é snervante, ma cos'altro potrei fare?
Se non piovesse potrei tornare a casa a piedi ma, con questo tempo, rischierei di arrivarci fradicia e prendermi un accidente.

Estraggo dallo zaino il blocco su cui ho preso appunti durante la lezione e li rileggo.

Dante, nel Purgatorio, viene attirato dalla luce di quattro stelle.
Simbolo delle quattro virtù cardinali: prudenza, giustizia, temperanza e fortezza.
Di fortezza ne ho fin troppa io, caro il mio Dante Alighieri!

«Alissa, cosa ci fai qui?» la voce di un uomo mi fa sobbalzare, interrompendo il mio discorso platonico con Dante.
Alzo immediatamente la testa e mi trovo di fronte, a pochi passi da me, Ivan, il professore di lettere.
«Ah, é lei prof!» esclamo, con un sospiro di sollievo.
«Scusami, non volevo spaventarti» mi sorride. «Mi stavo solo chiedendo cosa ci facessi qui, al freddo...» si avvicina ancora di più a me.
«Vorrei andare a casa, ma il tempo non me lo permette» indico la pioggia con un cenno della mano «Mia mamma sta svolgendo una commissione importante e non é riuscita a passarmi a prendere subito. La sto aspettando» cerco di spiegarmi, ma la timidezza mi impedisce di farlo come vorrei.
«Rischi di prenderti l'influenza con questo freddo!» esclama preoccupato.
Solo ora che me lo fa notare, mi rendo conto di quanto la temperatura si sia abbassata e il freddo inizi a farsi sentire.
«Chiama tua mamma dai, dille che ti accompagno a casa io» si offre.

Perché si preoccupa tanto per me?
Mi conosce a malapena...

«La ringrazio prof, ma posso aspettare» gli sorrido imbarazzata.
Sento le guance bollenti.
«Non me la sento di lasciarti qui, da sola, al freddo...» sta cercando di convincermi.

«L'accompagno a casa io.»
La SUA voce é un sussurro, ma riesce a farmi rabbrividire.

Ti porto via con meDove le storie prendono vita. Scoprilo ora