7. Psychiatric Ward

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"Signor Derek Wood, lei è condannato a scontare la sua pena in una prigione federale, per tutta la vita"
Il ragazzo guardò la nonna dietro di lui; piangeva.
Si girò verso Britt, che si trovava nell'ala opposta del tribunale.
"Britt, perché mi fai questo? Io non ho fatto niente" le urlò.
"Perché tu mi hai stuprata, È TUTTA COLPA TUA" la voce stridula della ragazza fece tremare il tribunale, come durante un terremoto. Derek portò le mani alle orecchie e tentò di fuggire, ma le guardie lo gettarono a terra e gli misero le manette.
"No non sono stato io lo giuro" ripeteva mentre la ragazza continuava ad urlare di fronte a lui.

Derek si svegliò di soprassalto. Aveva le mani e il collo sudati, quasi il fiatone come se avesse corso. Sentì il suo fiato pesante e caldo.
Si guardò intorno: era sul divano in pieno pomeriggio, con la coperta di lana cucita dalla nonna qualche anno prima. Si mise seduto e poggiò i gomiti sulle ginocchia allargate e la testa tra le mani. Poi se le passò sul viso prima di alzarsi.

Prese una sigaretta e l'accendino dalla sua giacca di pelle nera e uscì sul terrazzo.
Inspirò la nicotina e guardò le ville di fronte a lui. Chissà dove viveva Britt, con chi, che vita aveva vissuto fino a quel momento. Voleva saperne di più ma non poteva avvicinarsi, teoricamente, alla sua stanza d'ospedale.

Finita la sigaretta decise di uscire, quindi si fece una doccia e si preparò, infilandosi i vestiti che sua nonna aveva appena riposto nell'armadio, puliti e profumati. Una felpa grigia con cappuccio, i jeans chiari e le sue Superstar.
Non avendo la macchina, per la bravata del giorno prima, decise di prendere la sua vecchia bicicletta rossa e arrugginita. Iniziò a sfrecciare per le strade. Il vento gli accarezzava leggermente la pelle del viso, e i ricci che fuoriuscivano dal cappuccio della felpa si muovevano per la velocità. Non era più molto abituato ad andare in bici, quindi le gambe iniziarono a cedergli prima del dovuto, soprattutto le cosce. Ma non gli importava. Non sapeva neppure dove stava andando, ma si sentiva ancora imprigionato, e quella sensazione andava scrollata di dosso il prima possibile per iniziare a pensare alle cose importanti.

Girò per gli isolati, chiamò la nonna per tranquillizzarla, chiamò gli amici. Non voleva far preoccupare nessuno.

"Kyle, io vado in ospedale" gli disse velocemente al telefono, sperando che l'amico non cercasse di scoraggiarlo.

"Vengo con te" ed eccolo, l'amico perfetto. Derek gli era molto riconoscente, e gli voleva bene.


Entrati nella struttura Derek sapeva che le guardie lo avrebbero allontanato, quindi si nascose nei bagni del piano inferiore ed aspettò il messaggio di Kyle per il via libera. Nel frattempo iniziò a pensare a cosa avrebbe detto alla ragazza. Era strano, ma sentiva di avere un collegamento con lei. Non un sentimento o una semplice attrazione; era altro. Si soffermò a pensare ai suoi occhi, cercando di ricordare se li avesse mai incrociati prima di quella sera. Non portò a nessun risultato.

Il suo telefono squillò. La via era libera. Uscì velocemente dal bagno e si ricongiunse con Kyle dietro la porta. Presero l'ascensore per andare al secondo piano dove si trovava la stanza di Britt. Prima di uscire, appena le porte si aprirono, Derek si nascose all'angolo, guardando l'amico. 

"Non c'è nessuno" gli disse, e insieme si avviarono. Arrivati di fronte la porta Derek si chiese come mai non era sorvegliata. 

Bussarono. Nessuna risposta. Forse dorme, pensò Derek. La aprì lentamente, per evitare di svegliarla. Guardò il letto vuoto, con la biancheria pulita. Non era lì. 

I ragazzi si guardarono interrogativi.

"Cosa fate?" un'infermiera sulla cinquantina, bassa e molto in carne li fulminò minacciosa.

"Cercavamo la ragazza che era qui" la donna rilassò il viso e sospirò.

"Povera ragazza, ha avuto una crisi, l'hanno portata nel reparto psichiatrico"

Derek perse un battito per il dispiacere, e si sentì in colpa. Non avrebbe dovuto lasciarla in quella maledetta casetta di legno, da sola. Avrebbe dovuto insistere.

"Grazie" rispose Kyle notando che il suo amico era in sovrappensiero. La donna si allontanò.

"Proviamo" lo intimò Kyle.

"No, non fa niente. Non ci lasceranno mai entrare" disse Derek.

"Proviamo" ripeté l'amico a bassa voce.


L'entrata del reparto psichiatrico era al piano -1, e già questo faceva prevedere l'atmosfera del posto. Appena le porte dell'ascensore si aprirono i due ragazzi si trovarono di fronte a due enormi porte bianche. Sopra ad esse un cartello esibiva la scritta "Psychiatric Ward". Appena entrarono Derek ebbe i brividi. Le pareti grigie e l'aria satura di odore di medicine gli fecero salire il groppo in gola. Al contrario Kyle era tranquillo, e cominciò immediatamente a camminare. Derek lo seguì cercando di respingere il suo buon senso che gli urlava nella testa "SCAPPA". Un lungo corridoio con il pavimento lucido e le stanze chiuse con grandi porte metalliche faceva assomigliare quel reparto ad un vero e proprio manicomio. A questo aspetto tetro si aggiungevano le urla dei pazienti e strani rumori. Derek si soffermò a guardare da una piccola finestra sulla porta accanto a lui un signore. Era anziano, con una lunga vestaglia bianca. Si trovava in piedi di fronte al muro, guardava qualcosa e parlava. Bisbigliava. 

Per un attimo il ragazzo pensò che quell'uomo si sarebbe girato di scatto e avrebbe mostrato il suo viso tumefatto da film horror. Gli sembrava di essere in Outlast, quel videogioco che aveva iniziato e mai finito. 

"Che fai? Muoviti" il suo amico lo risvegliò e lui gli annuì, seguendolo verso la reception.

"Tu resta qui, io vado a chiedere" gli disse Kyle. Lo vide discutere con un infermiere alquanto inquietante, con occhiali e rughe pronunciate. Vide l'amico cacciare venti dollari dalla tasca e l'infermiere guardarsi attorno prima di prenderli e indicare una stanza a Kyle.


"Permesso" Derek entrò nella stanza 556, dove la ragazzina bionda pallida era accasciata su una sedia. Si girò. Il ragazzo notò immediatamente lo sguardo spento e le occhiaie.

"Sei tu" Britt sorrise lievemente prima di alzarsi. Derek notò la sua difficoltà e corse da lei, sorreggendola. Aveva il suo viso a pochi metri da quello di lei, che lo guardava senza espressione.

"Scusa, è tutta colpa mia" Derek si sentiva in dovere di dirglielo. La accompagnò sul letto e lasciò che la ragazza si mettesse comoda. 

"Non è così, tu devi scusarmi. Non sono riuscita a ricordare e non ho potuto dire nient'altro ai poliziotti se non che il mio unico ricordo di ieri notte sei tu" abbassò lo sguardo e iniziò a torturarsi le mani. Derek la osservò bene. Aveva il viso distrutto dai sedativi, gli occhi rossi come se avesse pianto per tutta la notte, le labbra screpolate e i capelli raccolti in una coda alta molto imperfetta. Nonostante ciò per la prima volta Derek si rese conto di quanto quella ragazza fosse bella.

"Non fartene una colpa, ricorderai, o magari no, non importa" le sorrise, cosa che non faceva spesso, e lei si rilassò. Chiuse gli occhi e cadde in un sonno profondo, probabilmente sentendosi protetta dall'unica persona che voleva prendersi cura di lei dopo tanto tempo.

Derek doveva scoprire chi era stato a ridurla così, doveva scoprire cosa le era realmente accaduto quella notte. 




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