Prologo

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Andare in vacanza a Londra era sempre stato il mio sogno, ma da lì ad andarci a vivere era tutta un'altra cosa! Mi ero appena separata dai miei parenti, dalla mia migliore amica e dai miei amici, ma in compenso avrei potuto vivere di nuovo con mia sorella che si era trasferita lì quattro anni prima. Ero certa che mi sarei sentita tremendamente sola in una città straniera, nonostante la presenza della mia famiglia, e come ogni adolescente vedevo solo il lato negativo delle cose. Oltretutto quello era il mio primo viaggio in aereo e avevo una gran paura. Il mio posto era vicino al finestrino e sperai che guardare fuori dall'oblò mi aiutasse ad affrontare quelle due ore di volo.
Il viaggio sembrò durare meno del previsto, anche perché mi addormentai dopo una mezz'oretta dal decollo!
Quando atterrammo non potei trattenere l'euforia; in fondo mi era sempre piaciuta come città e non vedevo l'ora di visitarla. Ad essere pessimista non ci avrei guadagnato niente, tanto valeva iniziare a vedere il lato positivo della cosa.
Ci fermammo a fare uno spuntino in un bar dell'aeroporto e, mentre i miei finivano di mangiare, andai a dare un'occhiata ad un negozio lì accanto.
Guardando la vetrina, il riflesso dei miei capelli castani arruffati mi suggerì di legarli in una coda alta.
«Melissa, vieni che andiamo!» esclamò la mamma dietro di me e, senza neanche darmi il tempo di rispondere, si avviarono all'uscita.
Presi il trolley e a passo svelto cercai di raggiungerli. Mi arrivò un sms della mia amica e iniziai a risponderle continuando a camminare. Distratta dalla scrittura urtai con la spalla un ragazzo, gli chiesi scusa e decisi di rimanere un attimo ferma per finire il messaggio. Una volta inviato proseguii ma mi accorsi che i miei non c'erano più; li cercai con lo sguardo per vedere se si fossero fermati da qualche parte. Iniziai a preoccuparmi perché non riuscivo a trovarli.
«Hai perso questo.»
Voltandomi vidi un ragazzo con in mano la custodia del mio cellulare. Feci qualche passo verso di lui e i nostri occhi si incontrarono: rimasi sbalordita dal loro limpido azzurro. «G-grazie...» Continuai a guardarmi intorno.
«Cerchi qualcuno?»
«In realtà sì: ho perso anche i miei genitori» confessai imbarazzata e scoppiò in una risata che gli illuminò il viso. Diventai bordeaux sentendomi una completa idiota: oltre ad essermi caduta la custodia senza rendermene conto, mi ero persa anche i miei! Gli strappai la custodia dalle mani e mi voltai per andarmene: ma che voleva questo?
«Ehi, fermati!» Come se pretenda che faccia quello che dice lui! «Ehi, Melissa!»
Mi voltai sorpresa e scocciata al tempo stesso. «Che vuoi ancora? E soprattutto, perché mi chiami per nome?» Con l'indice puntò il mio petto e guardai il mio ciondolo. «Ah... comunque non mi hai detto ancora cosa vuoi.»
«Mi sembrava di aver capito che avessi bisogno di aiuto.» Io bisogno di lui? Mai!
«Ti sbagli. E se ne avessi veramente bisogno non vorrei il tuo!» Feci per andarmene ma me lo impedì afferrandomi per il polso.
«Scusami.»
Fissai i miei occhi nei suoi e capii che era davvero dispiaciuto. Ma che mi era preso? «No, scusami tu. Non avrei dovuto essere così sgarbata.» Abbozzai un sorriso.
«Andiamo, ti aiuto a cercare i tuoi.»
Li chiamai per sapere a che uscita fossero e, una volta attaccato, ci incamminammo.
Mentre li raggiungevamo chiacchierammo un po', anche se facevo fatica a star dietro alla sua velocità linguistica e ci mettevo gli anni ad articolare una frase di senso compiuto in inglese. In quei pochi minuti si rivelò essere simpatico, oltre ad avere il fascino di un dio greco! Più lo guardavo e più ci facevo un pensierino.
Quando vidi i miei quasi mi dispiacque.
«Ciao e grazie ancora!» esclamai mentre nella testa cercavo un modo per restare ancora con lui... fingere uno svenimento avrebbe dato troppo nell'occhio?!
«Non mi ringraziare: l'ho fatto volentieri. Ciao!» Accidenti! Ormai era andata.
Raggiunsi i miei e mi venne un'idea. Mi voltai svelta a guardarlo ed era ancora lì, a fissarmi a sua volta. Sorrisi imbarazzata per essermi fatta beccare e, dopo averlo risalutato con un cenno, frugai nella borsa per prendere il quadernino.
Dopo aver avvertito i miei che mi sarei allontanata, gli corsi dietro e gli afferrai la manica della giacca facendolo voltare.
Presi tutto il coraggio che avevo e gli dissi: «Non mi sembra giusto che tu conosca il mio nome mentre io non so il tuo».
Sfoderai i miei occhioni da cerbiatta e cedette. «Mi chiamo Thomas.»
«Vorrei sdebitarmi per l'aiuto.» Gli porsi il mio nuovo numero di cellulare inglese. «Se ti va, potrei offrirti un caffè.» Sorriso smagliante e uscita di scena in gran stile!

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