Era già il 28 Novembre e ci sarebbero stati i colloqui con gli insegnanti; cominciavo a preoccuparmi di ciò che mia madre avrebbe potuto dire a Brenton e viceversa. Dopo quello che era successo nel bagno dei professori ero ancora più attratta da lui e avevo smesso di raccontare a mia madre dei battibecchi che ci riguardavano perché sentivo di avere la coscienza sporca. Inoltre il suo profumo, i suoi gesti provocatori e i suoi sorrisi iniziavano a non farmi ragionare razionalmente; odiavo sentirmi così inerme con lui. Nessuno mi aveva mai fatto sentire in quel modo e pregai di riuscire a nascondergli quanto ancora fossi in balia di lui. E poi cavolo! Era il mio insegnante e quindi sbagliato a prescindere, solo che la confidenza che stava crescendo non mi permetteva di vedere come stavano realmente le cose. Se ci pensavo a mente lucida mi rendevo conto che quello che faceva ultimamente era solo per prendermi in giro e non per secondi fini; convinsi me stessa che era stato così anche il modo provocante con cui aveva sfilato il laccetto dai miei capelli che, per la cronaca, aspettavo ancora! All'inizio lo assillavo ogni volta che potevo, poi iniziai ad abbandonare le speranze credendo l'avesse perso; anche se non riuscivo ad interpretare il sorrisetto compiaciuto che nasceva sul suo volto ogni volta che gli facevo quella domanda.
Stavo uscendo dal complesso dalla porta sul retro per far prima, visto che si erano già fatte le 15.30 e dovevo raggiungere Ivan e Monique in biblioteca: avevamo deciso di studiare insieme mentre aspettavamo che i nostri genitori terminassero di parlare con i professori.
Mi affrettai ad aprire la porta ma, quando allungai la mano per afferrare la maniglia, si aprì e mi prese sul sopracciglio destro facendomi un male cane.
«Li mortacci che dolore!!!» sbroccai in italiano. Portai la mano sul punto colpito, strinsi i denti e cercai di calmarmi prendendo respiri profondi. Sentendo il profumo capii all'istante chi fosse.
«Scusami!» disse preoccupato. «Ti ho fatto male?»
«No, no! È solo un'impressione.» Allungò il braccio, tolse la mia mano e scostò la frangia accarezzandomi delicatamente col pollice.
«Scusa.» I suoi occhi fissi nei miei mi procurarono il batticuore. Distolsi lo sguardo che cadde sul suo polso scoperto. Istintivamente gli afferrai il braccio e con l'altra mano tentai di riprendere il laccetto che aveva nascosto sotto l'orologio, ma si liberò dalla mia stretta e si ricoprì il polso con la manica del maglione.
«Ce lo ha avuto per tutto questo tempo lì?» chiesi sorpresa.
«Volevo vedere quando te ne saresti accorta!»
«Ecco perché ogni volta che le chiedevo che fine avesse fatto ghignava!» Mi allungai di nuovo verso di lui per provare a riprenderlo: non volevo dargliela vinta. Si scansò leggermente, poi se lo tolse e lo infilò in tasca.
«Voglio proprio vedere adesso che fai!»
«Mi sta sfidando?»
Mi guardò con fare provocatorio e un sorrisetto sghembo: era un sì! Feci scorrere gli occhi sui suoi pantaloni: erano jeans davvero stretti; per un attimo svalvolai.
Non vedendo reazioni da parte mia, si voltò per andarsene. Fu un attimo: gli afferrai la cintura sul fianco sinistro facendolo voltare appena verso di me, lo guardai sorridendo soddisfatta mentre facevo scivolare la mano sinistra nella sua tasca. Con la punta delle dita afferrai il laccetto, ma la sua mano bloccò la mia; la strinse forte e deglutendo rimase a guardarmi. Restammo a fissarci col cuore in tumulto finché, qualche istante dopo, non sfilò la mia mano dalla tasca; la strattonai e mostrai il trofeo vittoriosa.
«Vinto!» Sorrisi beffarda indietreggiando, ignorando le mie gambe molli, per andarmene sventolando il laccetto in aria. Si avvicinò svelto; mi strinse il polso e, spingendomi contro il muro, premette il suo bacino al mio. Il mio cuore iniziò a palpitare veloce e la sua presa si fece più ferrea. Anche stavolta restai impietrita senza riuscire a far nulla. Si avvicinò col viso e restò a guardarmi negli occhi ad un palmo dal naso; avrei voluto baciarlo ma mi trattenni con tutte le forze. Sorrise compiaciuto e con una strana malizia negli occhi. Si avvicinò al mio orecchio e sperai di risentire le sue labbra sulla pelle.
«Non massacrarti il labbro» sussurrò seducente mentre la sua mano scorreva dal polso nella mia intrecciando le nostre dita. Afferrò il laccetto guardandomi serio per qualche istante e si allontanò dirigendosi verso la sua aula. Mi aveva mandato fuori di testa e non riuscivo a capire a che gioco stesse giocando!
«Perché non vuole ridarmelo neanche ora che l'ho visto?» gli gridai facendolo fermare; si voltò e mi avvicinai.
«Ormai è mio» disse serio.
«Perché vuole tenerlo?»
«Perché guardarlo mi fa pensare a te facendomi star bene.»
Non riuscivo a connettere: cercavo qualcosa da dire ma non riuscivo a trovare le parole. Dopo un paio di volte che tentai di parlare senza riuscirci, rinunciai.
«Mi piace lasciarti senza parole.»
«Sei l'unico che ci riesce» gli confessai senza volerlo.
Sfoderò quel suo sorriso sconvolgente. «È una soddisfazione più grande allora!»
«Non credere che ricapiterà!» Lo salutai e me ne andai prima che la situazione peggiorasse.
In macchina, durante il viaggio di ritorno, la mamma raccontò di come fossero andati i colloqui. Iniziò dicendo che era tutto a posto ma non vedevo l'ora che arrivasse a parlarmi di lui; ero curiosa di sapere cosa le avesse detto e finalmente arrivò alla parte interessante: «La cosa che mi ha sorpreso di più è stato l'entusiasmo del tuo insegnante di inglese!»
«Che ti ha detto?»
«Che sei una brava studentessa, si vede che ti appassiona la letteratura e che ti sei impegnata per essere al pari con i tuoi compagni nonostante la difficoltà linguistica.»
«E della pronuncia?»
«Ha detto che sei migliorata molto e che la sua tattica ha funzionato. Infatti ti stuzzicava per farti dare il massimo e non farti partire svantaggiata ai provini di teatro.» Sorrisi: avrei dovuto ringraziarlo.
«Ha detto altro?» chiesi quasi preoccupata.
«Beh sì! Ti ha riempito di complimenti! Sarà stato come minimo dieci minuti a fare un monologo su di te! Era così preso che non si è neanche accorto di essersi dilungato così tanto. Oh, mica me l'hai detto che è così affascinante! Che rimanga fra me e te! Non dirlo a tuo padre!»
Ridacchiai nervosa: non mi piaceva che la mamma facesse apprezzamenti su di lui e neanche l'idea di chissà quante altre donne... Mi rattristai al pensiero della quantità di vere donne che aveva al suo seguito. Poteva avere chiunque e ancora mi facevo illusioni; di certo non avrebbe perso tempo con me.
«Altro da dirmi?»
«Ha detto che sei una ragazza educata, allegra, sempre sorridente, tranquilla... poi ha chiesto come sei a casa.»
«Che cosa gli hai risposto?»
«Gli ho detto che sei come ti vede a scuola.» Oddio, forse non proprio! «Ah! Lo sai cosa ha anche detto?!»
Feci no con la testa. «Dimmi.»
«È bello starle accanto» disse tentando di imitarlo. Mi si bloccò il cuore e tornò il sorriso sul mio viso.
«E tu che hai detto?» chiesi curiosa.
«Mi ha lasciato interdetta. Gli ho sorriso non sapendo bene cosa dire ed ho fatto solo un cenno con la testa, poi ha continuato con il suo discorso. Ah! Ha anche notato che a volte, anche se sorridi, i tuoi occhi sono tristi.»
La guardai stupita. Come aveva fatto a capirlo? Non ne avevo parlato mai neanche ai miei amici!
«Sa che è per Roma» borbottai tra me e me.
«Sì, infatti. È felice per te che a Febbraio ci tornerai.»
Guardai fuori dal finestrino e le lacrime iniziarono a scendere.
Era il giorno successivo e volevo ringraziare Brenton per quello che aveva detto a mia madre, anche se ero imbarazzata per ciò che era accaduto prima dei colloqui.
Andai a sedermi al banco ed aspettai che entrasse; quando ebbe sistemato la sua valigetta, mi avvicinai alla cattedra.
«Buongiorno.»
Alzò lo sguardo e sorrise. «Ciao» rispose in italiano sorprendendomi. Ebbi un sussulto.
«Volevo ringraziarla e scusarmi.»
«Per cosa?»
«Mia madre ha detto che mi prendeva in giro per spronarmi a dare di più e per questo la ringrazio. Invece volevo scusarmi per essermela presa a volte non capendo le sue intenzioni.»
«Figurati! Se è servito ad aiutarti sono contento di essermi fatto detestare.» Fece l'occhiolino.
«Non l'ho mai detestata, e lo sa bene!»
«Ti ha detto altro tua madre?» Sembrava a disagio.
«Ha detto che mi ha riempito di complimenti» dissi imbarazzata ripensando al resto.
«Non ti montare la testa e continua su questa strada.»
«Ho anche un altro motivo per ringraziarla e forse è quello più importante per me. Si è preoccupato riuscendo a capire quando ero triste nonostante cercassi di nasconderlo.»
«I tuoi occhi me lo urlavano. Era impossibile non capirlo.»
«È stato l'unico ad accorgersene.» Lo guardai intensamente.
«Perché non ti guardano come ti guardo io.» Mi fissò con la mia stessa intensità bloccandomi il respiro e il mio cuore quasi esplose.
Arrivò Ivan che ci interruppe salutandoci. Chissà come sarebbe andata a finire la conversazione se non fosse arrivato! Mio malgrado andai a sedermi sentendo il suo sguardo seguirmi.
La sua ora passò, purtroppo, velocemente al contrario delle altre. Fortunatamente arrivò la pausa pranzo ma avevo la testa che stava scoppiando; non sapevo se a causa delle due ore di economia o per quello che mi aveva detto Brenton. Stavo impazzendo ma forse la stavo prendendo troppo a cuore. Dovevo smettere di pensarci; mi stava fumando il cervello! Sentivo persino la sua voce chiamarmi.
«Melissa!» Almeno non ero matta. Si mise al mio fianco.
«È successo qualcosa?»
«Ehm...» Aveva intenzione di dirmi qualcosa o voleva restare lì a fare la bella statuina?
«Non ho il dono della lettura del pensiero.»
«Scusami per ieri, mi sono preso di nuovo troppa confidenza. Non vorrei fraintendessi.» Si grattò la nuca. Ci rimasi un po' male.
«Non si preoccupi. Ormai lo so che scherza e spero sappia che per me è lo stesso.» Gli sorrisi garbatamente. Mi era costato molto dire quelle parole, che di certo non rispecchiavano quello che pensavo.
«Mh-hm. Devo andare, buon week-end» disse freddo. Aveva più sbalzi d'umore di una ragazzina!
«Anche a lei.» Lo salutai e mi avviai; si incamminò anche lui restandomi accanto senza dire nulla e, dopo aver appurato che effettivamente stava camminando insieme a me, mi bloccai all'improvviso e fece lo stesso.
«Tutto ok?»
«Lei è davvero il mio stalker!» Ridacchiai.
«Stiamo semplicemente andando nella stessa direzione.»
«Non c'era bisogno che si fermasse allora.»
«Mi è venuto spontaneo.»
«No! Si comporta in modo ambiguo. È uno stalker, ho deciso!»
«Sei incredibile! Vuoi veramente avere sempre ragione e l'ultima parola!»
«Non è vero!»
«Vedi? Lo stai rifacendo!» Sbuffai e ridacchiò. Si guardò intorno, poi controllò l'ora.
«Il mio lacc-»
«È tardissimo! Devo scappare! Buon fine settimana.»
A passo svelto se ne andò lasciandomi là come una deficiente. E stamo a tre! Sbuffai.
Quella sera uscii con gli amici: andammo ai Go-Kart e poi a cena. Mi trovavo davvero bene con loro e ormai ero riuscita ad integrarmi completamente; mi facevano sentire parte del gruppo.
Durante la serata feci amicizia con altri ragazzi amici di Michael. Per fortuna erano tutti simpatici... tranne una ragazza, Veronica, che non la smetteva di guardarmi in modo strano. Nel notare il mio disagio, Vanessa mi disse che aveva una cotta per Michael e che era gelosa di qualsiasi ragazza gli stesse vicino. Sospirai e continuai a bere. Proseguii a chiacchierare con lei: la trovavo davvero simpatica ed era un peccato che non frequentasse il nostro istituto.
Parlammo di un mucchio di cose: ci lamentammo dei test che stavano per iniziare; della neve e di quanto per me fosse esaltante visto che a Roma non nevicava mai. Nominando la mia città, iniziarono a discutere dei vari festini che avrebbero organizzato: poker, gioco della bottiglia, Tabù e chi più ne ha più ne metta. Poi dissi loro che c'era anche la piscina al coperto: avevo fatto ricerche sull'albergo. Decidemmo di portarci i costumi. Ero davvero felice che alla fine avessero scelto Roma come meta!
Usciti dal Burger King organizzammo i posti in macchina per Capodanno. Quell'anno avevano voluto provare ad andare a pattinare perché tutti parlavano in modo entusiastico del posto, soprattutto dei fuochi d'artificio a mezzanotte. Adoravo pattinare sul ghiaccio e poi la location mi piaceva da morire; avevo anche cercato dei video dei fuochi su youtube ed erano da brividi. Finalmente ero davvero felice di essere a Londra.
Il tempo passò in fretta ed era già ora di andare a casa. In macchina con Michael c'ero io, la tipa gelosa - Veronica - e altri due ragazzi. Ero a disagio nello stare seduta dietro accanto a lei perché, ogni volta che Michael mi guardava dallo specchietto, mi fulminava e sbuffava: era proprio antisgamo! Sospirai di sollievo quando la lasciammo a casa.
Una volta soli, Michael chiese: «Piaciuta la serata?»
«Sì!» risposi entusiasta. «Sto sempre bene con voi. Mi fa piacere esser diventata vostra amica.»
«Anch'io ne sono contento. Porti sempre allegria.» Ridacchiammo. «Poi con la tua poca dimestichezza col go-kart ci hai fatto morire dal ridere!»
«Dai, basta con questa storia!» Gli feci una linguaccia e scoppiai a ridere contagiandolo.
Poco dopo arrivammo da me; inserì il freno a mano e scese per accompagnarmi al cancello.
«Grazie per la serata e per il passaggio.» Gli sorrisi.
«Mi ha fatto piacere stare con te. Dovremmo rifarlo.»
«Va bene, anche a me ha fatto piacere. Buona notte!»
Mi salutò, entrai in casa chiudendomi il portone alle spalle ed andai dritta a letto.
STAI LEGGENDO
Lasciati andare
Teen FictionLa vita della diciassettenne Melissa Corsi viene stravolta quando, a causa del lavoro del padre, si trasferisce con la famiglia a Londra. Il giorno del suo arrivo incontrerà in aeroporto un bell'inglese dagli occhi azzurri, gentile quanto sfrontato...