Aprii l'armadietto per prendere i libri di economia e cadde a terra un foglietto. Lo raccolsi e restai a guardare quella calligrafia elegante, difficile da confondere, che diceva: Finita la riunione ti aspetto nella mia aula. T
Mi impanicai giusto un attimino! Sarei stata tutto il giorno a chiedermi cosa volesse. Di solito, nei manga, era per una dichiarazione d'amore. Il mio cuore palpitò veloce e mi sentii avvampare. Eppure in prima ora non aveva dato a vedere niente.
Andai alla lezione di economia con la testa fra le nuvole e restai tutta la giornata su un altro pianeta.
Quando finalmente anche la riunione del comitato studentesco ebbe fine, restai a fare due chiacchiere, ma fremevo per correre da lui. Dopo un po', non resistendo più, liquidai la mia amica e lo raggiunsi col cuore in gola.
Mi aspettava davanti la porta della sua aula con un sorriso contento. Quando gli fui davanti, mi passò dietro tappandomi gli occhi con una mano, mentre con l'altra aprì la porta; entrammo e tolse le dita permettendomi di vedere la cattedra apparecchiata.
Guardai il dolce, poi lui, e tornai sulla crostata.
«Per me?!» chiesi con gli occhi luminosi.
«Spero sia venuta buona.»
«L'hai preparata tu?» domandai incredula. Si grattò il naso imbarazzato. «Sei adorabile» mi sfuggì. Gli diedi un bacio sulla guancia; rimase sorpreso e spostò la sedia per farmi accomodare.
Tagliò una fetta e me la porse.
«Come mai proprio questa con ricotta e cioccolata?»
Si accigliò. «Speravo ci arrivassi da sola.» Lo guardai confusa. «So che è un dolce tipico romano.» Si passò una mano fra i capelli.
«Mia nonna me la preparava sempre. Mi piace da morire.» Gli sorrisi e l'assaggiai. «È davvero buona!» Sapeva anche cucinare! Era da sposare.
Si illuminò in un sorriso e ne prese un morso. «È la prima volta che la preparo e temevo di non esserne all'altezza.»
«A cosa devo l'onore di questa sorpresa?»
«Ti ho visto un po' giù in questi giorni e speravo di farti tornare il sorriso.»
Lo guardai teneramente. «Ci riesci sempre.» Restammo a guardarci per un po' e fu lui a distogliere lo sguardo.
Finimmo l'intera crostata visto che era piccolina... ed io golosa!
«Sono contento che ti sia piaciuta.»
«Grazie» dissi dolcemente e, notando una briciola all'angolo della sua bocca, la tolsi col pollice e ne approfittai per accarezzarlo. Trattenne per un attimo il respiro, poi si alzò e sistemò la cattedra; afferrò la tovaglietta di carta, la strinse forte chiudendo gli occhi per un istante e la gettò nel cestino insieme alla teglia di alluminio e al coltellino di plastica.
Uscimmo dal complesso scolastico chiacchierando del più e del meno. Arrivati al famoso semaforo, invece di dividerci, tirò dritto insieme a me continuando a raccontarmi le sue impressioni su Thor: The Dark World e mi ritrovai d'accordo con lui.
D'un tratto vidi Tom sbiancare e sgranare leggermente gli occhi. In un attimo sentii strattonarmi all'indietro e un intenso dolore si diffuse lancinante nel piede e nella caviglia. Urlai mentre mi accasciavo a terra e le lacrime scendevano da sole. La macchina che mi aveva colpito si fermò poco più avanti e il guidatore scese preoccupato.
Il professore gli si avventò subito contro prendendolo per il bavero della giacca. «Brutto deficiente, non hai visto che il semaforo era rosso?»
Avrei voluto dirgli di smetterla ma il dolore era talmente forte che non riuscivo neanche a parlare.
«Invece di prendertela con me, pensa alla tua ragazza.»
Mi corse incontro e si inginocchiò ad abbracciarmi. Iniziò a tranquillizzarmi mentre aspettavamo l'ambulanza, poi parlò col tipo di non so cosa e tornò da me.
Poco dopo arrivò l'ambulanza e ci chiesero le dinamiche dell'incidente, raccontammo l'accaduto e confessai che probabilmente avevo sbattuto la testa visto che aveva cominciato a pulsarmi.
Il tragitto fino all'ospedale sembrava non finire più, così decisi di sdrammatizzare. «Pensa: l'ultimo mio pasto sarebbe potuto essere la tua crostata!»
L'infermiere accanto a me rise, invece Tom aveva ancora lo sguardo terrorizzato. «Non è divertente.» Serrò la mascella e abbassai lo sguardo.
«Volevo solo sdrammatizzare.»
Mi accarezzò una guancia e abbozzò un sorriso. «Avrei potuto perderti.» Il mio cuore si bloccò e arrossii lievemente.
Arrivati al pronto soccorso, fecero attendere il professore in sala d'aspetto mentre portarono subito me dentro; nel corridoio riconobbi un'infermiera collega di mia madre, così le chiesi gentilmente di avvertirla e si premurò di farlo.
Poco dopo fui raggiunta dal mio splendido insegnante che chiese subito come stessi e se mi avessero già visitato, poi mia madre irruppe nella stanza come uno tsunami chiedendomi spiegazioni sull'accaduto. Ringraziò il professore per essersi preso cura di me e lo esortò a tornare a casa ma lui si rifiutò, probabilmente perché si sentiva in colpa.
Quando la mamma ci lasciò per tornare al suo lavoro, Brenton si sedette accanto a me e, portandomi un braccio intorno alle spalle, mi fece accoccolare a lui mentre giocava con i miei capelli. Mi piaceva la sensazione del suo tocco e presi il coraggio di disegnare figure astratte sul dorso della sua mano passandoci delicatamente l'indice.
Dopo qualche istante di silenzio, Tom si complimentò per il sorriso di mia madre che gli ricordava il mio; era stato dolce nel dire che però il mio era più bello, facendomi sentire lusingata e al contempo imbarazzata.
Poi cambiò totalmente argomento: «Tra quanto passano per la lastra?»
«Non lo so, avevano altre urgenze. Non è costretto a restare.»
Mi strinse più forte a sé togliendomi il respiro. «Preferisco rimanere.»
«Non deve sentirsi in obbligo solo perché si sente in colpa. L'ho capito che prima, quando mia madre l'ha ringraziata, ha abbassato lo sguardo per quel motivo.»
«Non è così. Voglio restare con te.» Nella mia mente stavo saltellando dalla gioia.
«Le piace sul serio starmi accanto?» chiesi con gli occhioni da cerbiatta.
«Ti serve qualcosa?»
«Perché non vuole rispondermi?» Ritentai con lo sguardo da nonpuoiresistermi.
«Vuoi qualcosa da bere?»
«No.» Se pensava che avrei mollato si sbagliava di grosso! «Voglio una risposta.»
«Mi dispiace per te ma non l'avrai.»
«Ti costa così tanto dirmi di sì?»
Si alzò e lasciò la stanza senza aggiungere nulla. Stavo uscendo di testa! Perché non riusciva a lasciarsi andare? Eravamo sempre più vicini e più presi l'una dall'altro, ma lui non affrontava mai la situazione.
Ero cambiata. Lui era cambiato. Si mostrava più gentile e dolce, premuroso, allegro e in mia presenza era riuscito a sbottonarsi addirittura con gli altri studenti, come quella volta a Novembre nella quale si era unito ad una battaglia con la neve anziché sospendere lo sfigato che l'aveva colpito per sbaglio; aveva preparato con le sue mani una crostata solo per tirarmi su di morale e stava per picchiare il tipo che aveva sbandato. Così arrabbiato non l'avevo mai visto. Se non fosse stato per Brenton mi sarei potuta ritrovare spiaccicata sull'asfalto. Mi abbandonai alle lacrime per sfogare tutta la frustrazione e tensione che avevo accumulato.
In un attimo Tom mi fu accanto e, abbracciandomi, si assicurò che stessi bene. Continuai a sfogarmi finché non arrivò l'infermiera e dovetti andare in reparto a fare la visita.
Il dottore che si occupò di me spiegò in parole semplici che avevo qualcosa di incrinato nella caviglia e che dovevo portare il gesso per dieci giorni; mi raccomandò anche cinque giorni di riposo consigliandomi di non andare a scuola e, prima di rispedirmi in stanza, disse che avrei dovuto passare la notte in ospedale per precauzione.
Quando tornai finalmente dal mio professore, gli spiegai tutto.
«Resterai da sola?» chiese preoccupato e capii che gli stava balenando in testa qualcosa.
«Non ci pensi neanche a fermarsi: sto bene!»
«D'accordo.» Sospirò frustrato. «Me lo spieghi come fai a capire ogni volta quello che mi passa per la testa?»
Risi pensando che avevo colto nel segno come sempre. «Tu come fai a capire me?»
Il suo sguardo si fece serio e penetrante. Saremmo potuti restare occhi negli occhi per ore senza mai stancarci, ma l'entrata in scena di mia madre ci distrasse portando la nostra attenzione su di lei. Per fortuna era già informata perché aveva parlato direttamente col dottore.
Poco dopo arrivò la stessa infermiera di prima, che mi fece sedere su una sedia a rotelle per portarmi in camera; mia madre si propose di spingermi e Tom rimase un po' indietro a parlare con l'infermiera, la quale non gli aveva mai tolto gli occhi di dosso. Continuò a parlarci e a sorridergli anche mentre sistemava i cuscini dietro la testa. Non potendone più del suo flirtare, la incenerii con lo sguardo incrociando le braccia al petto; borbottò uno scusa imbarazzata e lasciò la stanza dopo un vago saluto a lui, che si era subito avvicinato a me.
«Come stai?» Nel trambusto non glielo avevo ancora chiesto, anche se si vedeva che si era tranquillizzato. Mi tornò in mente il suo cuore che batteva all'impazzata mentre era inginocchiato tra la neve ad abbracciarmi.
«Io sto bene, non ho un graffio.»
«Non intendevo in quel senso.»
«Ora meglio.»
Con la coda dell'occhio vidi la mamma farci cenno che usciva per parlare al cellulare. Appena fu fuori, il professore si sedette accanto a me e abbozzò un sorriso.
«Vado.» Un lampo di delusione mi attraversò gli occhi e se ne accorse. Si tolse il braccialetto con il cinturino in caucciù e una piastrina di metallo con inciso un ideogramma giapponese e me lo allacciò al polso. «Tienilo sempre e, quando non ci sono, guardalo pensandomi.»
Il mio cuore iniziò una corsa frenetica. «Non ho bisogno di un bracciale per pensarti» confessai d'impulso.
Mentre accarezzava la mia guancia dolcemente, misi la mano sulla sua per accarezzarlo a mia volta. Mi lasciò un bacio sull'angolo della bocca e mi venne istintivo dischiuderla sperando di sentire le sue labbra sulle mie, e invece niente: si alzò e, dopo la buona notte, uscì dalla camera lasciandomi sola con i miei pensieri.
Cinque minuti più tardi fui raggiunta dai miei, e papà quasi mi soffocò in un abbraccio.
«Sto bene, tranquillo» dissi a fatica.
«Grazie al cielo! Hai bisogno di qualcosa?»
«L'importante è che ti sei ricordato il lettore Mp3!» Rise accarezzandomi la schiena e lo tirò fuori dalla tasca. «Grazie!» Lo presi e lo poggiai sul comodino.
«Ti ha cercato Ivan prima che sapessimo dell'incidente. L'hai sentito?»
«In realtà ho mandato un sms a Michael che sarebbe dovuto venire a prendermi. Poi ho messo il silenzioso e non ho più controllato. Me lo prenderesti in borsa?»
Trovai due sms e quattro chiamate. Non appena se ne sarebbero andati i miei, li avrei richiamati.
Restarono fino a quando l'infermiera non li invitò ad uscire. La mamma negoziò cinque minuti in più per papà e accompagnò la sua collega a prendere un caffè.
Quando rimasi di nuovo sola, chiamai Ivan.
«Pulce! Ma che combini?!?»
«Io non ho fatto nulla!» mi lamentai. «Un tipo ha perso il controllo dell'auto quasi investendomi. Il prof per poco non l'ha picchiato.» Mi rivennero in mente le parole di quell'uomo e sussultai. «Oddio.» Si era riferito a me come alla ragazza di Tom.
«Cos'è successo?»
«No, niente...»
«Ma con quale professore stavi?»
«Brenton. Mi ha salvato.»
«Sei a casa adesso?»
«Dovrò passare la notte qui in ospedale, ma domani vengo dimessa. Dovrò stare cinque giorni a casa, quindi niente scuola.» Non avrei rivisto neanche il professore.
«Possiamo venire a trovarti? Ci siamo tutti preoccupati.»
«Passate pure quando volete.»
«Domani di sicuro passo, poi organizzo anche con gli altri per un altro giorno.»
«Va benissimo. Non vedo l'ora di vederti.» Un avviso di chiamata mi interruppe. «Ho una chiamata in attesa. Ci vediamo domani.»
«Perfetto! Passo direttamente dopo scuola così ti lascio anche gli appunti.»
«Grazie mille. Ti voglio bene.» Riagganciai e risposi scoprendo che era Liz che stava insieme a Monique. La conversazione fu un delirio visto che si parlavano sopra e bisticciavano.
Una decina di minuti dopo, attaccai e riposi il cellulare nel cassetto. La mia attenzione fu catturata dal braccialetto di Tom e, automaticamente, lo accarezzai ripensando alle sue parole: voleva che lo pensassi. Come se non lo facessi già abbastanza! Chissà se gli sarei mancata come lui mancava già a me... Guardai fuori dalla finestra la neve che ancora cadeva, poi mi strinsi al cuscino e mi addormentai coccolata dal suo profumo.
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Lasciati andare
Teen FictionLa vita della diciassettenne Melissa Corsi viene stravolta quando, a causa del lavoro del padre, si trasferisce con la famiglia a Londra. Il giorno del suo arrivo incontrerà in aeroporto un bell'inglese dagli occhi azzurri, gentile quanto sfrontato...