Lo aspettavo al solito incrocio e quando lo vidi avvicinarsi, sorrisi col cuore a mille mentre ricambiava luminoso.
«Buongiorno prof! La stavo aspettando.»
Sembrò sorpreso. «C-come mai?» Distolse lo sguardo mordendosi un labbro.
Lo guardai per un momento confusa, poi gli diedi la sciarpa. «Con il freddo che fa oggi ho pensato di riportartela e a quanto pare ho fatto bene visto che non ne hai una. Mi dispiace non avertela ridata prima.»
«Ma figurati. E poi sono io che mi ostino ad indossare questa nonostante ne abbia altre.» Cominciammo ad avviarci a scuola.
«Perché?»
«È la mia preferita.»
«Che onore averla indossata allora!»
«Non la presto mai a nessuno, perciò sì: sentiti onorata.»
Lo guardai teneramente pensando a quanto fosse dolce.
Una volta dentro scuola mi disse di aspettarlo mentre andava a firmare il registro delle presenze. Nel frattempo arrivò Michael e restammo a fare quattro chiacchiere finché non tornò Tom, che lo rispedì in classe scontroso. Io e Mike ci salutammo con un bacio sulla guancia, poi mi avviai in classe insieme al gelosone.
«Che ti ha regalato per Natale?»
Ridacchiai divertita da quella gelosia. «Te ne esci dal nulla?»
«Se non vuoi dirmelo non fa niente.»
«Biglietto per un concerto.»
«Di chi?»
«Mika.»
«Come mai ha invitato proprio te?»
«Sa che mi piace e ha pensato a me.» Feci spallucce.
«Sarete solo voi due?» Mi stava facendo il terzo grado!
«Sì. Ti dà fastidio che ci vada?» Non rispose. «Se non vuoi basta dirlo e non ci andrò.» Lo guardai negli occhi per capire cosa gli passasse per la testa.
«Puoi fare quello che vuoi: non stiamo insieme.» Mi impietrii e sentii gli occhi bruciare. Perché doveva fare sempre così?!? «Scusami, sono stato indelicato.» Asciugò le lacrime che mi si erano accumulate.
«No. Sei stato uno stronzo!» sbottai e andai oltre, ma cinse il mio petto con il braccio stringendomi a sé.
«Mi farò perdonare.» Sfiorò il mio orecchio con la punta del naso e mi lasciò. Sorrisi appena già meno arrabbiata ed entrai in classe.
Durante il resto della giornata non lo vidi per niente perciò, dopo la scuola, mi diressi alla caffetteria che frequentava sempre con la speranza di incontrarlo, e così fu. Sorrisi nel vederlo in piedi davanti la vetrata a guardarmi.
«Due porzioni di torta di mele, una cioccolata calda al cocco, un Earl Grey con latte e una tazzina in più. Grazie» ordinai a Mary - la cameriera dell'altra volta - mentre lui sistemava la giacca sullo schienale della sedia.
«Non dovresti far aspettare la tua ragazza» lo rimproverò sorridendo.
«Scusami.» Mi rivolse uno sguardo triste. Chissà che gli era capitato.
«Non ti preoccupare.» Gli sorrisi appena.
«Te la sei cavata!» intervenne la cameriera prima di andarsene.
Appena si allontanò gli chiesi: «Tutto bene?» Lo guardai preoccupata.
«Sì, solo un po' di mal di testa.» Si massaggiò le tempie.
«Ho già ordinato, ma se vuoi andiamo via.»
«Posso resistere il tempo di una cioccolata.» Mi sorrise ma lo vedevo che si sforzava; mi faceva male vederlo così. Distolsi lo sguardo e iniziai a giocare con la forchetta da dessert; allungò la mano e accarezzò il dorso della mia. Sentii un brivido percorrermi la pancia. Intrecciai le nostre dita, lo guardai fisso negli occhi mentre accarezzava la mia mano col pollice.
«Sicuro di star bene?»
Fissò il suo sguardo profondo nel mio, poi lasciò le mie dita e prese qualcosa dalla sua valigetta. «È per te.» Mi porse un libro che sembrava vissuto. «Era mio. L'ho comprato per il primo anno di università ma ogni tanto lo rileggo.» Accarezzai la copertina. «Ci sono molto affezionato: è tra i miei preferiti.»
Gli sorrisi e tornai a guardare la raccolta dei sonetti di Shakespeare. «Non posso accettare.» Feci per ridarglielo ma non mi diede modo di farlo.
«Voglio che lo tenga tu.»
«Ok che dovevi farti perdonare, ma è troppo!»
«Non è solo per quello. Prendilo.» Sorrisi felice e fece anche lui lo stesso, stavolta sinceramente.
«Ecco le vostre ordinazioni» ci sorprese la cameriera.
Dopo aver espresso la sua perplessità nel vedere che la cioccolata era per lui, scambiò le tazze e tornò al suo lavoro.
«Vuoi un pezzetto di cocco?»
«Volentieri. Anzi! Ne prendo due!» Ridacchiai facendolo. «Ti verso una tazza di tea?»
«Meno di mezza. Giusto per assaggiarlo, grazie.»
Mangiammo la torta e, non ricordo come, uscì fuori il discorso della gita a Roma.
«Non vedo l'ora di partire! Fremo all'idea di rivedere la mia amata città!»
«Ti brillano gli occhi. Si capisce che sei felice.»
«Quando ci hanno detto che la meta era quella mi sono commossa.»
Mi guardò dolcemente. «Il professor Smith ha fatto la scelta giusta a quanto pare!»
«Lo so che ci hai messo del tuo.»
«L'ho spinto a prendere quella decisione perché so per esperienza che è una città meravigliosa.»
«Perché non ti sei proposto di accompagnarci insieme a lui?»
«Tutti gli anni, durante quel periodo, vado dai miei in campagna che possiedono un piccolo ranch e li aiuto. Così colgo anche l'occasione per stare con loro e andare a cavallo!»
«Ma davvero vai a cavallo?! C'è qualcosa che non sai fare?!»
«Ormai dovresti saperlo che so fare tutto!» Ridemmo. «Cavalco sin da piccolo. Mia madre ha ereditato il ranch dai nonni e finché ha potuto l'ha mandato avanti. Adesso ci sono solo i cavalli di famiglia.»
Iniziai ad immaginare come poteva essere stato da bambino e il luogo dove era cresciuto. «Deve essere stato bellissimo crescere in un posto del genere.»
«Ti piacerebbe molto!» Fece uno dei suoi soliti sorrisi e finalmente sembrò tornare il mio Tom.
«A chi non piacerebbe!? I cavalli sono animali splendidi ma ho sempre avuto paura di salirci. Li vedo così grandi che mi intimoriscono.»
Ridacchiò. «Vorrei proprio vedertici! La prossima volta ti porterò con me e ti costringerò a cavalcare!»
«Avrei troppa paura!»
«Ti aiuterei io salendo con te.»
«Mi piacerebbe molto» dissi ipnotizzata dai suoi occhi.
«A Marzo, con gli alberi che fioriscono, sarebbe l'ideale.»
Arrivò Mary non dandomi il tempo di rispondere. «Scusate se vi ho interrotto, ma mi sono ricordata ora che i cioccolatini al caffè che prendi di solito sono di nuovo in vendita.» Ci sorrise. «Te li porto?»
«Va bene grazie, così li faccio assaggiare anche a lei. Puoi portarci una porzione di torta al cocco e cioccolato?»
«Certamente!»
Ci lasciò soli e, dopo qualche istante di imbarazzante silenzio, Tom chiese: «Quando partite per Roma?»
«Il 4.»
«In caso di imprevisti prenderò io il posto di Smith.»
Cercai di tirarlo su di morale con una battuta notando di nuovo la tristezza nei suoi occhi: «Comincio a temere per la sua incolumità! Ti intendi di magia nera per caso? Ho la sensazione che potrebbe accadergli qualcosa da qui a Febbraio!»
«Il Dio dell'Inganno è mio amico; mi ha insegnato lui qualche trucco» dichiarò beffardo dopo aver smesso di ridere.
«Strano che Loki abbia insegnato ad un insulso midgardiano le sue arti magiche.»
Gli andò di traverso la cioccolata per ridere. «Gli ho offerto un drink.»
Lo guardai interdetta, con un sopracciglio inarcato, e sorrise compiaciuto. «E lo ha accettato prima o dopo averti scaraventato dalla finestra?»
Rise per quella mia citazione di una scena del film The Avengers. «Come fai ad avere sempre la risposta giusta al momento giusto? Mi sorprendi ogni volta di più.»
Sorrisi soddisfatta per quella confessione e presi un pezzo di cocco dalla sua tazza.
Mary tornò poco dopo con i cioccolatini e quella meraviglia di torta; ne avrei voluta ordinare una anch'io ma mi vergognavo di fargli vedere che avevo ancora fame. Tom spostò il piatto al centro del tavolo e ne prese un cucchiaino. Più guardavo quella torta, più mi pentivo di non averla ordinata.
Dopo il secondo boccone si bloccò. «Guarda che la finisco! Non venirmi a dire che non hai spazio neanche per assaggiarla! Con tutto quello che ti sei mangiata la volta scorsa non ci credo che ora sei già piena!» Ghignò.
«Smettila di prendermi in giro! Ad una ragazza non piace sentirsi dire queste cose!» Presi la forchettina e ne mangiai un pezzo.
«Lo sai che non lo dico per offenderti. E poi non dovresti farti certi problemi: sei perfetta così come sei.» Perse di nuovo il sorriso.
Sbuffai. «Spiegami una volta per tutte qual è il problema» sbottai rattristata.
Si fece serio. «Questo non è il luogo più adatto. Ti accompagno a casa e ne parliamo.»
Sentii una strana angoscia. «Mi stai dicendo addio di nuovo?»
Il suo sguardo implorava perdono e a me stava venendo da piangere; sentivo una strana fitta al petto.
Lasciammo la caffetteria e ci dirigemmo in silenzio verso casa sua per prendere la macchina. Lo aspettai giù.
Nonostante fosse già successo, non ero pronta; stavolta ci speravo davvero: si era dichiarato, mi aveva baciata, mi aveva regalato quel libro. Che c'era di sbagliato nei nostri sentimenti? Una lacrima rigò la mia guancia senza che me ne rendessi conto; l'asciugai prima che se ne accorgesse.
Parcheggiò in fondo alla strada di casa mia, slacciò la cintura e si voltò a guardarmi. Iniziò a mordersi un labbro: non ce la facevo più. Poggiò i gomiti sulle gambe e mise il viso tra le mani.
«Non sono pronto.» Si voltò leggermente per guardarmi. «Scusa; perdonami.» Era disperato.
«Vuoi entrare in casa?» gli proposi con un nodo alla gola.
«Forse è meglio.»
Scendemmo dalla macchina e raggiungemmo il cancello. Con le mani tremanti cercai le chiavi nella borsa; riuscii a fatica ad infilarle nella serratura. Una volta dentro ci accomodammo in salotto; si sedette accanto a me e mi guardò fisso negli occhi. «Non so da dove cominciare.» Era agitatissimo. Si stava torturando le mani; gliele afferrai cercando di calmarlo con scarsi risultati visto che entrambi tremavamo. Non riuscivo a capire perché se soffriva così tanto voleva chiudere quello che era nato tra noi.
Gli accarezzai il viso dolcemente. «Tom, calmati. Ti ascolto.» Abbozzai un sorriso.
«Mi odierai e non voglio che succeda.» Aveva gli occhi lucidi. Che stava per dirmi di tanto terribile?
«Ti prego: dimmi che succede!» Non riuscivo più a trattenermi e stavo entrando nel panico.
Prese un bel respiro. «Sono fidanzato» disse portandosi una mano in fronte. Sentii il cuore spezzarsi; non sapevo neanche più come si respirasse. La vista si appannò per le lacrime e scoppiai a piangere. Non disse e non fece nulla: restò immobile con la testa fra le mani.
«Perché non me l'hai detto subito?» gli urlai contro alzandomi.
«Stavo per farlo quando sono venuto a casa tua, ma siamo stati interrotti dai tuoi. Poi non ne ho avuto più il coraggio.»
Non riuscivo a smettere di piangere. Si alzò per abbracciarmi e mi aggrappai al suo maglioncino. «Da quant'è che sei fidanzato?» Non rispose. Presi le distanze guardandolo con rabbia e distolse lo sguardo. «Rispondimi!»
«Quasi tre anni.»
Mi sentii morire. «Siamo usciti insieme; ci siamo baciati; ti sei dichiarato! Cosa sono stata per te in questi mesi?» Nascosi il viso tra le mani.
«Non chiedermelo, per favore.»
«Ho il diritto di sapere! È il minimo visto che credevo di diventare la tua ragazza e invece ero la tua amante!» urlai asciugandomi le lacrime col dorso della mano. «Che cretina che sono! Ho fatto la figura della ragazzina illusa anche davanti a tua sorella! Stavi per baciarmi anche davanti a lei, te lo sei scordato?» Stavo perdendo la calma e stava salendo l'odio.
«Sono mortificato.» Deglutì.
«Possibile che tutte le volte che abbiamo parlato non l'hai mai menzionata? Ogni volta che mi guardavi in un certo modo; che mi sfioravi; che mi desideravi e toccavi o mi tenevi la mano, non ci pensavi a lei? Come riuscivi a starci insieme dopo il tempo che passavi con me? Sei un pezzo di merda!» Gli sferrai un pugno sul petto.
«Sono uno stronzo, non ho scusanti.» Prese la mano che ancora premevo con rabbia contro di lui. «Mi chiedi se penso a lei? Come faccio se ci sei tu con me? Quando stiamo insieme scordo tutto e tutti, anche con lei presente.»
Il mio cuore si bloccò, poi mi soffermai a pensare alla sua ultima frase. Sgranai gli occhi allontanandomi. «La conosco? Chi è?» chiesi scioccata stringendo i pugni per evitare di picchiarlo. Non rispose. «Chi è?» Deglutì senza rispondere facendomi incazzare. «Chi è???» urlai isterica spingendolo.
«La professoressa White.» Mi si fermò il cuore e le lacrime iniziarono a scendere di nuovo.
«Non ci credo. Non ci voglio credere!» Si avvicinò. «Stai lontano da me.» Feci un passo indietro. «Vattene immediatamente da casa mia!»
«Ti prego, calmati.»
«Come faccio? La White! Quella che ti aspettava a teatro mentre mi sbattevi al muro dietro il distributore! Quella che ti cercava mentre ti stavi dichiarando! Quella con cui te ne sei andato come niente fosse dopo che ci siamo baciati!» Allungò il braccio per accarezzarmi la testa ma con uno schiaffo sulla mano lo fermai. «Non toccarmi! Mi fai schifo! Ti odio!»
«Mi stai uccidendo.» Aveva le lacrime agli occhi. Mi si strinse il cuore ma non potevo perdonarlo o far finta di riuscirci per farlo star meglio.
«Vattene!» Gli indicai l'ingresso.
«Non posso andarmene se prima non mi fai fini-»
«Ma finire cosa? Peggiori solo le cose restando qui! Non voglio più vederti. Per me sei morto!»
Sgranò gli occhi rimanendo pietrificato mentre una lacrima gli rigava la guancia. «Non voglio perderti» sussurrò con grande sforzo. «Sono confuso. I-io...»
«È troppo tardi: mi hai persa nell'istante in cui hai detto di essere fidanzato.» La rabbia mi stava dando la forza per parlargli in quel modo.
Mi passò accanto con la morte negli occhi e si diresse in silenzio verso il portone. Quando lo sentii chiudersi mi lasciai andare sul pavimento con il cuore e l'anima in frantumi; scoppiai a piangere di nuovo restando rannicchiata contro il muro per non so quanto tempo. Sentivo la gola bruciarmi e la testa scoppiare. Come aveva potuto farmici credere? Lo odio! Lo odio! Iniziai ad insultare me per averci creduto ed essermi lasciata andare come una stupida, e lui per avermi illusa e resa la sua amante.
Quando finalmente trovai la forza di rialzarmi, mi trascinai tremante in camera e mi stesi sul letto al buio, abbracciata al cuscino, cercando di smettere di piangere e pensare a lui.
Mi appisolai esausta ma poco dopo bussarono alla porta. «Mel, posso?» Sospirai: era mio padre. Finsi di dormire e non risposi. «Mel?» Entrò uno spiraglio di luce. «Dormi a quest'ora?! Stai bene?» chiese sussurrando.
«Sono stanca» dissi appena.
«Hai pianto?»
«No.»
«Ok, ho capito... Comunque ero venuto a chiederti di apparecchiare ma non fa niente. Appena senti rientrare tua madre scendi che porta la pizza.»
«Non ceno, non ho fame.»
Sospirò. «Puoi spiegarmi cos'è successo?» Si sedette sul letto e gli diedi le spalle.
«Non voglio parlarne.»
«Quando vuoi ci sono.» Mi accarezzò la testa.
Richiuse la porta e andai a serrarla con un giro di chiave. Rimuginai su quello che c'eravamo detti, quello che era successo e su quello che avrei dovuto fare per staccarmi da lui. Fui destata dai miei pensieri da mia madre che bussò alla porta.
«Ti ho portato un po' di pizza.»
«Qui fa schifo la pizza! Voglio tornare a Roma!»
«Qual è il problema? Così, di punto in bianco...» Non le risposi sentendo di nuovo le lacrime agli occhi e dopo qualche istante tentò di aprire la porta trovandola però chiusa. «Melissa, apri.» Aspettò una risposta da parte mia che non arrivò. «Apri questa dannata porta!» Iniziò a bussare energicamente.
«Lasciami in pace!» le urlai singhiozzando.
«Tesoro, che succede? Mi fai preoccupare! Ti prego, apri!»
Infilai la testa sotto al cuscino e non le risposi più, così se ne andò. Presi il mio Mp3 e cercai di rilassarmi; ascoltai le prime cinque canzoni ma di calmarmi proprio non c'era verso. L'unica cosa che volevo era avere il mio migliore amico accanto e stare abbracciata a lui senza dire nulla. Spensi il lettore e mi alzai per prendere il cellulare dalla borsa, ma ricordai che avevo lasciato tutto giù; andai a guardare sul comodino se ci fosse il cordless, ma bussarono alla porta e sbuffai infastidita. «Non voglio parlare con nessuno!» affermai scoglionata.
«Pulce, sono io.»
Corsi alla porta, lo abbracciai stringendolo ai fianchi e riscoppiai a piangere. «È fidanzato!» dissi fra i singhiozzi al mio migliore amico.
Mi strinse forte; prese la mia mano e mi trascinò sul letto dopo aver chiuso la porta; si sdraiò accanto a me tornando ad abbracciarmi. «Vuoi parlarne?»
Feci no con la testa. «Voglio solo stare stretta fra le tue braccia. Mi fai sentire protetta.»
«Va bene.» Mi accarezzò la testa.
Dopo non so quanto me ne uscii con: «Sta con la White». Lo sentii irrigidirsi e feci una piccola pausa. «Da tre anni.»
Strinse di più la mano con cui mi abbracciava. «Possibile che non te ne aveva mai parlato? Neanche un accenno?»
«No, nulla di nulla!»
«Appena trasferito giravano delle voci su di loro ma nessuno li aveva mai visti insieme. Poi lei ha cambiato sede e le voci cessarono. Non hanno mai dato a vedere che stanno insieme.»
«La famosa Mel!» dissi all'improvviso come un flash guardandolo in viso. «L'ha detto lei acida il giorno del provino! Le ha parlato di me, altrimenti come faceva a conoscermi?!?»
«Chissà che le ha detto» affermò irritato.
«Come farò con teatro?» chiesi disperata. «Non voglio vederli insieme.»
«Trascorri questi giorni di vacanza senza pensarci e una volta tornati a scuola vedi che fare. Hai tempo per accettare la cosa.»
«Non so se ci riuscirò. Era come se stessimo insieme; ha tradito la mia fiducia, mi ha illusa, mi ha fatto innamorare di lui...» Trattenni le lacrime. «Gli ho detto che lo odio ma non è vero. Sarebbe stato più facile se fosse stato così. Sono arrabbiata e delusa.»
«Vorrei poterti aiutare in qualche modo ma non so neanche che dirti.»
Chiusi gli occhi lasciandomi coccolare e mi addormentai.
Svegliandomi verso l'una di notte, lo trovai ancora abbracciato a me; lo svegliai dicendogli di andare a casa ma mi spiegò che i miei lo avevano invitato a restare a dormire e che, dopo aver chiamato i suoi, era tornato accanto a me. Lo ringraziai e mi riaccoccolai.
Ci alzammo per le 9.30 e scendemmo a fare colazione; c'era la mamma seduta al tavolo con una tazzina di caffè.
«Buongiorno ma'.»
La salutò anche Ivan e andò a sedersi. Presi due tazze e preparai i cappuccini. Con la coda dell'occhio vedevo la mamma guardarmi.
«Come stai?»
«Male, ma mi sto sforzando.» Avevo un nodo alla gola ma, voltandomi, cercai di sorridere.
«Pranziamo insieme?» propose lei.
Non ero molto convinta ma alla fine accettai e cercai di mangiare qualcosa insieme al mio amico che andò via subito dopo aver fatto colazione strappandomi la promessa di uscire con lui nel pomeriggio. Appena se ne fu andato, mi rintanai in camera ma poi arrivò mio malgrado l'ora di pranzo; scesi e trovai già tutto apparecchiato. Eravamo solo io e la mamma: mi aspettava il terzo grado. Mi sedetti senza dire nulla e aspettai che venisse anche lei a tavola con i piatti.
«Zaira?»
«Lavora oggi.»
«Ah, è vero.» Assaggiai la prima forchettata di pasta ed ebbi la sensazione di essere già piena. Misi in bocca un altro boccone controvoglia.
«So che stai male, ma vorrei sapere cos'è successo. Mi hai fatto preoccupare da morire ieri sera.»
Distolsi lo sguardo. «Scusa.»
«È per un ragazzo, vero?» Feci sì con la testa mordendomi il labbro. «Che ti ha fatto?»
«Stavamo per metterci insieme ma si è dimenticato di dirmi che è leggermente fidanzato da quasi tre anni.» Mi guardò senza dire nulla. Fantastico: le facevo pena! «Non guardarmi così.»
«Non li hai mai visti insieme? Nessuno dei tuoi amici lo sapeva?»
«Non è della nostra comitiva.»
«Come l'hai conosciuto?»
«Alla festa di Halloween, a scuola.» Non avevo la forza di inventare cazzate da rifilarle.
«Quindi viene a scuola con te.»
«No, è più grande.» Mi guardò preoccupata ma non ne capii il motivo. «Tanto non conta più ormai» la tranquillizzai.
Presi un sorso d'acqua e iniziai a giocare con la forchetta nel piatto ancora pieno.
«Mangia prima che si freddi.»
«Non ne voglio più. Posso andare in camera? Vorrei iniziare a prepararmi.»
Sospirò. «Mangiane almeno altre due forchettate.»
«Non ce la faccio, mi dispiace.»
«Ti sei innamorata?»
Deglutii. «Sì.»
Si alzò per abbracciarmi e cercai con tutte le forze di non piangere.
«Ci sei uscita spesso?»
«No, ma col fatto che ha a che fare con il comitato studentesco lo vedo frequentemente.» Pensai che ero condannata: le sue ore di lezione; le riunioni e teatro.
«Quanti anni ha?»
Pensai se dirle la verità o meno. Tanto valeva dirgliela. «Enta» dissi a mezza bocca.
Sciolse l'abbraccio e mi guardò. «Cosa?»
«Trenta.»
Sgranò gli occhi e spalancò la bocca. «Cosa?!?!?!» urlò.
«Per favore, calmati!»
«Come faccio a calmarmi? Sei una ragazzina! E ti sei lasciata pure prendere per il culo!»
Mi ferì e una lacrima rigò la mia guancia. «Non mi ha preso in giro! Quello che prova per me è sincero. Non lo conosci, non puoi giudicarlo!» lo difesi a spada tratta sorprendendomi delle mie stesse parole. Lui era sincero e probabilmente soffriva quanto me. Ripensare alle sue lacrime e a lui che tremava, mi diede una fitta al petto. Restai imbambolata con lo sguardo perso nel vuoto.
«Cos'è successo fra voi?»
«Ci siamo incontrati un paio di volte per caso e abbiamo passato la giornata insieme. Come ieri.»
«Come si chiama?» chiese svelta. Ero confusa.
«Thomas.»
Sgranò gli occhi e mi afferrò per le spalle. «Ti prego: dimmi che non è Brenton!» Era seriamente preoccupata.
«No, non è lui.» Sperai non mi sgamasse. Si sedette, poggiò il gomito sul tavolo massaggiandosi la fronte. «Perché credevi fosse lui?»
«Vedervi insieme mi ha lasciato una strana sensazione addosso: sembravate intimi.»
Deglutii e distolsi lo sguardo. Era così evidente? Mi bruciavano gli occhi. «Stai tranquilla che non è lui.» Tese leggermente le labbra in un sorriso. «Posso andare?»
Fece sì con la testa; sparecchiai al volo e salii a prepararmi.
Angolo autrici:
Buongiorno! Allora, che ne pensate di questo capitolo e dalla svolta che ha preso? Vi aspettavate una cosa del genere? Il caro Tom l'ha combinata proprio grossa e chissà cosa succederà da ora in poi... :) Fateci sapere cosa ne pensate, siamo davvero curiose ♥
Alla prossima!
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Lasciati andare
Teen FictionLa vita della diciassettenne Melissa Corsi viene stravolta quando, a causa del lavoro del padre, si trasferisce con la famiglia a Londra. Il giorno del suo arrivo incontrerà in aeroporto un bell'inglese dagli occhi azzurri, gentile quanto sfrontato...