Nero

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La strada la accoglieva luccicante per la pioggia caduta poco prima, come per crearle un tappeto d'acqua che doveva essere il suo personale tappeto rosso. Calciava ogni tanto,distratta, qualche sassolino portato sul marciapiede dal brutto tempo e contava i passi lesti che ancora la dividevano da lui. Era in un leggero ritardo, leggero dal punto di vista di una donna, trenta minuti. Ma, per fortuna, il luogo d'incontro era lo stesso dove avrebbero passato la serata, quindi nella peggiore delle ipotesi erano già arrivati tutti e lei sarebbe stata l'ultima. Si sarebbe scusata, l'avrebbero presa un po' in giro ma avrebbe passato comunque una bella serata all'insegna delle risate. Con questo pensiero varcò la soglia per quella serata a denti scoperti. Baciò le guance amiche e anche quelle solo conoscenti, sorprendendosi di non incontrare ancora quelle amate. All'ultimo, con la coda dell'occhio, scorse quegli occhi marroni ormai mille volte già cercati. Euforica si girò a salutarlo quando notò quella figura; una ragazza presiedeva accanto a lui, probabilmente era più grande di lei e sembrava molto curata nel suo aspetto, con i capelli biondi lunghissimi legati in una treccia complessa. I suoi occhi celesti istantaneamente si sgranarono, probabilmente lasciando leggere tutto ciò che le passava lì dietro in quel momento, anche se l'unica cosa che si sarebbe vista era una specie di gif in loop dove un ragazzo vicino ad uno scooter rispondeva al cellulare dicendo "è la mia ragazza". "è la mia ragazza". "è la mia ragazza".

Per esperienza però non volle saltare subito a conclusioni affrettate, ma i suoi timori purtroppo  furono presto confermati dal "Ciao! Sono la fidanzata di Marco!".Quella tendeva la mano aspettando una stretta di conoscenza, ma il suo braccio non si muoveva, anche lui si rifiutava di toccare la realtà. Alla fine l'educazione lo costrinse e la sua bocca si deformò in quello che una volta voleva essere un sorriso.Solo allora si rese conto che il malumore era uscito con lei, l'aveva seguita fino a lì, ed ora stanziava alle sue spalle, con una mano che le sfiorava la schiena dal momento che ancora teneva stretto il pugnale che le aveva appena trafitto fra le scapole.

Scappò via dal destino sotto le risate maligne degli spettatori celesti che le avevano appena sbattuto in faccia la verità, come uno schiaffo per farla riprendere dalle sue fantasie.

Stava in mezzo la gente, ma non ascoltava nessun discorso, non guardava nessun volto; i suoi occhi non davano segno di volersi rilassare e si lasciavano ancora leggere da chiunque volesse. Il suo sguardo poteva sembrare perso ad un osservatore distratto, ma in realtà stava fissando nelle pupille quel nero mostro che, ancora una volta, sapeva sarebbe stato l'unico ad accompagnarla per l'eternità.


Quella staticità fu infranta da un tocco concreto sulla spalla, scrollandole di dosso la bolla di estraneamento che stava nascendo e crescendo. Era lui. Lo scrutò per un po' come se si fosse già disabituata a guardare in faccia la gente; erano proprio i suoi occhi. Le chiese se potevano parlare e lei non proferì risposta. Non gli avrebbe concesso di "parlare",visto che è una cosa che implica parole da entrambi gli interlocutori, così se lei non avesse schiuso le labbra, non gli avrebbe dato ciò che voleva. Lui continuò comunque, dicendo che approfittava del fatto che Sara ( ah, ecco, aveva pure un nome) fosse in bagno per avvisarla che lui non c'entrava niente, che non sapeva che sarebbe venuta, che era arrivata la mattina per fargli una sorpresa, bla, bla, scuse.

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