Parte 4

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«Co... sa...». Rae sta ridendo cosi forte che non riesce a formare una singola parola. Mi sfilo la maglietta e aspetto impaziente che si calmi. «Rae, concentrati», le ordino, esaminando le macchie rosse che ho sul petto.
«Stavolta te ne sei proprio trovata una fantastica», dice Rae fra le risate. «Dio. Avrei voluto vederti». «Fantastico», borbotto. «Ma non è quello il punto. Camila Cabello è qui, a Crenshaw».
«Stai dando i numeri», dice, riprendendo fiato. «Camila è stata ammessa a Harvard. A meno che non sia stata respinta, cosa impossibile, non sceglierebbe mai Crenshaw. È nel bel mezzo del nulla a nord dello Stato di New York. Neanche morta ci verrebbe».
«Allora è stata separata alla nascita dalla sua gemella identica, perche ti giuro che l'ho vista. E poi come facciamo a sapere che è davvero a Harvard? Nessuno la vede o la sente dal diploma».
«So che è stata ammessa. Ho visto la lettera di ammissione insieme a tutti gli altri a scuola. Non la smetteva più di vantarsi». Sospira. «Non può essere lei. E ti ripeterò la stessa cosa quando verrò a trovarti il mese prossimo. Credo che tu ti sia convinto che questa ragazza, che somiglia a Camila, sia Camila. E spero che non nevichi stavolta. Io odio la neve». «Bene, lo vedrai quando arrivi». Mi rendo conto che non ha senso insistere. «Laur, almeno le hai chiesto se è Camila?», domanda Rae. «Uh, ci ho provato», rispondo. «Siamo stati interrotti dal caffè, ricordi?»
Rae scoppia a ridere di nuovo. Le riattacco il telefono in faccia.
Lo lancio sul letto e vado in bagno a frugare in un armadietto per cercare una crema che calmi le ustioni. Non so quanto sia vecchia perche c'era già quando mi sono trasferita, ma spero che sia efficace. Me la picchietto con delicatezza sulla pelle scottata.
Torno in stanza, mi siedo sul bordo del letto e mi passo le mani sulla faccia, cercando di ripensare al viso della ragazza del bar. In lei c'è qualcosa di diverso. La sua faccia è come quella di Camila, ma... no. Camila Cabello era impeccabile, sembrava appena uscita da una rivista. La ragazza che si fa chiamare Cidal non sembra interessata al suo aspetto, porta i capelli ondulati e scompigliati come se fosse appena uscita dalla doccia: un disordine sexy. Camila è un regalo perfettamente incartato con tanto di volto di fiocco. E Cidal è la carta da regalo sparsa sul pavimento la mattina di Natale. Forse Cidal non è Camila. Cerco di paragonarle ancora, le accosto nella mia mente. Ma è difficile, perche non vedo Camila dal diploma. Ancora non ricordo con esattezza quello che è successo quella sera. Ero ubriaca... okay, ubriaca marcia. Ma so che l'ho sentita gridare contro i suoi genitori a casa loro.
«Non puoi cancellare le cose fingendo che non siano mai accadute. Perché allora tanto vale che cancelli me, papà».
Cosa diavolo è successo quella notte? E cosa sarebbe successo se non me ne fossi andata?

Il giorno dopo non vedo Camila - o Cidal o chi diavolo sia. Non la vedo il giorno successivo. Ma per un pelo non mi imbatto un paio di volte in Carly al Bean Buzz. Quando vado al bar il mercoledì mattina mi domando se non sto sfidando la sorte. Ha lasciato un paio di messaggi indiavolati nella ma segreteria. Li ho cancellati dopo avere ascoltato i dieci secondi iniziali del primo. È pazza. E le pazze non mi interessano. Di solito esco solo con brave ragazze quelle che presenteresti a tua madre. Peccato che non rimango con loro abbastanza a lungo perché le cose si facciano così serie.
E appena mi avvicino alla vetrina con BEAN BIZZ scritto ad arco in larghi caratteri bianchi, noto i capelli biondi ondulati di Carly all'interno. Incollo la schiena al muro dell'edificio, sperando che non mi abbia vista. Stamattina non mi va di avere a che fare con una ragazza troppo emotiva.
Provo a riguardare. Carly fissa fuori dal vetro. Torno alla mia posizione contro i mattoni. «Merda».
Rimango appiattita contro l'edificio e cerco di decidere la prossima mossa. C'è anche la possibilità che non stia aspettando me. Poi appoggia le mani sul vetro e passa in rassegna il marciapiede. Già, ne dubito.
«Da chi ti nascondi?».
Mi volto di scatto.
Camila è appoggiata al muro scheggiato, con un cappello a maglia calcato basso sulla fronte. I capelli escono da sotto, scivolando sulle spalle di un pesante maglione blu. Ha il naso rosso dal freddo, e una nebbiolina le esce dalle labbra mente mi sorride. Nonostante le leggere differenze, io vedo ancora Camila.
«La psicopatica ti sta cercando?».
«Uh, pare di sì», farfugliò, voltando la testa quando mi accorgo di averla fissata troppo. «Credo sia ancora parecchio arrabbiata».
Dà una sbirciatina e ride quando vede Carly appiccicata al vetro del bar. «Cos'è le hai fatto?»
«Mi ha lasciata lei, e io non l'ho rivoluta».
«Sei sicura di non averle anche ammazzato il gatto?», ride Camila.
«Forse avrei dovuto. Odio quel gatto», borbotto, facendola ridere più forte.
«Accidenti, farò tardi a lezione». Controllo l'ora sul mio telefono. «Be', non posso starmene qui impalata ad aspettare che se ne vada. È stupido. Rinuncerò al caffè».
«Cosa?! Ma è folle», commenta Cidal. «Se chiedo alla ragazza al bancone quello che prendi di solito...».
«Mel», la interrompo.
«Mel saprà cos'è, vero?».
Annuisco.
«Okay, aspettami qui», insiste. «Torno subito».
Non l'aspetto proprio in quel punto, perché li contro il muro mi sento un idiota, a nascondermi da un'ex che mi arriva a malapena alle spalle. Quindi cammino avanti e indietro nel vicolo accanto al bar, aspettandomi che Carly svolti l'angolo da un momento all'altro. Sono paranoica, lo so, e non ne vado orgogliosa.
Inizio a ripensare a quanto questa ragazza somigli a Camila, se non che il suo comportamento è l'opposto. Camila non parlava mai con nessuno che non appartenesse all'élite quando eravamo alle superiori. Cidal invece non teme di dire la sua. Sono troppo diverse per poter essere la stessa per sona. A meno che... a Camila non sia accaduto qualcosa. Forse ha avuto un incidente. O magari davvero sono gemelle separate alla nascita.
«Eccoti».
Mi volto di scatto spaventando Cam... Cidal. Merda. Sono confusa.
«Ehi, Lauren. Rilassati. Sono disarmata». Poi abbassa gli occhi tazza di caffè e ride. «Più o meno». «Grazie», mormoro. Mi sta prendendo in giro. Fantastico.
Cidal fa una smorfia e mi offre la tazza insieme a un tovagliolimo. «Mel mi ha chiesto di darti questo», dice prima di soffiare sulla sua cioccolata. Apro il tovagliolo e leggo: «La dignità non si trova in un vicolo».
Appallottolo il tovagliolino, offesa. Grazie, Mel.
«L'hai letto?».
«Certo», ammette Cidal senza esitazioni. «Se devo trasmettere un messaggio, voglio sapere cosa dice». La sua aria divertita non aiuta la questione della dignità.
«Sono in ritardo. Grazie per il caffè». Faccio per andarmene, ma poi mi fermo. «Hai bisogno di un passaggio da qualche parte?»
«No. Mi piace camminare».
«Siamo piuttosto lontani dal campus».
«Lo so», risponde, accompagnandomi al pick-up. Quando apro la portiera mi chiede di nuovo: «Sei sicura che non le hai fatto niente?»
«Giuro», rispondo, e dopo un momento aggiungo: «Forse non ero la persona che desiderava che fossi».
«Lo siamo mai?»
Cidal da un sorriso dolce e continua a camminare lungo il marciapiede,
bevendo piccoli sorsi dalla sua tazza senza mai voltarsi. La guardò finché non svolta l'angolo, la sua ultima frase impressa nella mente.

never without you- CamrenDove le storie prendono vita. Scoprilo ora