Prologo.

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Si dice che la pioggia porti con sé cattive notizie, e quella fredda mattinata di Febbraio sembrava ne portasse di pessime . La ragazza tirò su la lampo della giacca, si coprì i capelli con il cappuccio e si preparò per l'ennesima giornata in giro per Lisbona. Passare le giornate a rubare portafogli, a far sparire "magicamente" orologi, a frugare nelle borse, cercare qualcosa da sgranocchiare, questa era diventata la sua vita.
Astrea Monteverde aveva solo quindici anni quando un incendio uccise i suoi genitori e devastò l'Istituto presso cui la sua famiglia aveva prestato servizio per generazioni. Ed ora che aveva diciotto anni non le rimaneva altro che un grande dolore e un vuoto: senza famiglia, senza casa, senza amici e senza onore. Un anno prima aveva perso anche il suo Parabatai, Thomas. Si erano dati appuntamento alla solita panchina del parco ma Thomas non arrivò mai. Astrea chiese in giro cosa fosse successo, fece affari con i Nascosti di cui non andava fiera, aveva anche sporto denuncia presso la polizia mondana, ma i risultati furono vani. Angela, la zia di Thomas, aveva lasciato in fretta il Paese senza lasciare traccia e per Astrea fu impossibile trovarla. Doveva cavarsela da sola. Come sempre. La ragazza allontanò quei pensieri e cercò una preda a cui poter rubare qualche spicciolo per la colazione. Si ritrovò nella via principale quando nuvole grosse e nere si addensarono, minacciose e cariche di pioggia. Si precipitò al parco, raggiunse una panchina e si sedette. Aspettava Thomas. Sapeva che non sarebbe venuto mai più ma la forza dell'abitudine era dura a morire, ed inoltre non presentarsi ad aspettarlo le sembrava un tradimento. Come sempre, si perse a fissare la gente: si divertiva a vedere le coppiette litigare, sorrideva nel vedere i bambini giocare e ridere e si rilassava ascoltando il canto degli uccelli. Due ore dopo, certa che il suo parabatai non venisse, lasciò il parco per dirigersi al mercato. Forse avrebbe ricavato qualcosa. L'aria era diventata fredda e da un momento all'altro sarebbe venuto giù un temporale, perciò era fondamentale che trovasse una vittima e poi un riparo. Mentre passava in rassegna le bancarelle, adocchiò un ragazzo alto di statura, occhi azzurri, capelli neri che sembrava stare cercando qualcuno. Perfetto, pensò la ragazza. Prese lo stilo dalla tasca della giacca e lo mosse velocemente sul braccio facendo comparire una runa del silenzio in modo che il malcapitato non la cogliesse con le mani nel sacco. Pochi istanti e fu alle spalle del ragazzo, che probabilmente aveva ventiquattro o venticinque anni, e sorrise sorniona. Le mani scattarono in avanti con l'intenzione di infilarsi nella giacca dello sconosciuto, ma una mano le bloccò il polso. Astrea alzò gli occhi in preda al terrore e vide il tipo fissarla accigliato.
"Credevi davvero di potermi derubare senza che me ne rendessi conto?" la sua voce, al contrario di come si aspettava la ragazza, era serena se non divertita. Astrea si liberò dalla presa con agilità e incrociò le braccia al petto.
"Hai la Vista, per caso?" continuò lui mentre i suoi occhi azzurri la scrutavano.
"Cosa ne sai tu della Vista, mondano?"
Il ragazzo scoppiò a ridere e si portò una mano sul petto come a volersi fermare, proprio in quel momento i marchi neri si mostrarono.
Doveva proprio beccare un Cacciatore?
"Sono uno Shadowhunter. E tu saresti?"
Astrea fissò la mano coperta da cicatrici tesa verso di lei e fu in dubbio se stringerla o meno. Da tempo ormai non aveva contatti con la sua razza.
"Non sono affari tuoi."
"Sei una Shadowhunter anche tu?"
"Non mi considero una di voi da tempo."
Alec rimase spiazzato da quella risposta e dal tono duro con cui quella parole erano state pronunciate. Non aveva mai incontrato un Cacciatore che non fosse legato al proprio rango.
"Perché sei qui a Lisbona?"
"Sono in missione, se così si può dire. Devo trovare un demone Shax."
Astrea fissò gli occhi sulle dita bianche del ragazzo che le stringevano il polso, così Alec la lasciò. Poi un dettaglio la incuriosì.
"Tu usi l'arco?"
Alec lanciò uno sguardo alla faretra attaccata alla sua spalla e annuì, contento che qualcuno si interessasse ad un aspetto di lui che nessuno sembrava notare, eccetto Magnus ovviamente.
"Sì, é la mia arma principale. Poi vengono i pugnali e poi le spade. Tu hai un'arma in particolare?"
"Cos'è, una conversazione tra due vecchi amici?!"
Il Nephilim fu colto alla sprovvista dalla rabbia e il disgusto che trasparivano da quella frase.
"E i tuoi genitori dove sono? Perché sei tutta sola?"
Quelle domande vennero fuori come un fiume in piena, aveva capito che Astrea era da sola e che molto probabilmente viveva per strada: ma cosa le era successo? Qual era la sua storia? Purtroppo le sue domande non ebbero risposta perché in quel momento la suoneria del suo cellulare lo fece sussultare, lo tirò fuori e sorrise inconsapevolmente.
"Quante volte ti ho detto di non chiamarmi quando lavoro?"
"Fiorellino, io ti chiamo quando mi pare e piace. Chiaro? E poi mi mancava il mio fidanzato." rispose la voce sdolcinata di Magnus.
"Mi manchi anche tu, ma adesso ho da fare."
"Stai dicendo che il lavoro é più importante di me?"
"Magnus, nulla é più importante di te ma adesso ho questa ragazza con cui de..."
Alec alzò gli occhi al cielo quando si rese conto che Astrea era sparita.
"Ragazza? Quale ragazza, Alexander?"
"Non ora. Devo andare, ti chiamo dopo."
Il Cacciatore chiuse la chiamata prima che il suo ragazzo potesse rispondere perché aveva un problema più grande della gelosia di Magnus da affrontare: doveva trovare quella ragazza e portarla con sé, ma prima aveva un demone da uccidere. Fortuna volle che nella fuga Astra perse un anello. Alec lo raccolse e lo mise da parte per utilizzarlo in un secondo momento per localizzarla.

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