Valisar

41 6 7
                                    

Le montagne degli dei. Catene montuose fredde e dure, dai picchi scoscesi e impervi che arrivano fino alle maestose vette dell'aurora boreale, lavoro d'arte delle stelle. Quelle montagne sono la terra di nessuno e gli unici insediamenti umani nella zona sono presenti ai loro piedi; villaggi primitivi e senza nome abitati da genti che nutrono un timore reverenziale verso i misteri del ghiaccio e della fredda oscurità e, perciò non osano sfidarli. Gli unici abbastanza coraggiosi per avventurarsi in tali imprese sono stati i Forxi, avventurieri leggendari di stirpe divina che disegnarono mappe del mondo conosciuto settemila anni fa. Da allora non si sa se alcun umano le abbia valicate , ma una cosa è certa : Valisar stava compiendo questa impresa.                                                                                                               Erano ormai due settimane che si trovava in quelle lande desolate di neve e ghiaccio, e ovviamente da solo. Quale pazzo si sarebbe mai sognato di accompagnarlo? Quell'uomo però aveva qualcosa che lo faceva avanzare nella tempesta infinita di quelle latitudini. Un sentimento travolgente di determinazione e l'incessante desiderio di vendetta che fin dalla nascita era stato come la sua ombra. Il pesante mantello che gli cadeva dalle spalle era in frantumi, distrutto dal vento e le sue provviste scarseggiavano ma egli avrebbe raggiunto il proprio intento anche a costo di morire in quel deserto di ghiacci, insepolto. La notte però stava calando e proseguire al buio sarebbe stato un suicidio. I suoi occhi  arancioni, prova del suo retaggio, si mossero in cerca di un qualsiasi rifugio nelle vicinanze. Infine optò per una rientranza nella roccia che offriva ottimo riparo dal vento e lì preparò il suo giaciglio con delle pelli d'alce nel suo zaino. Il sonno però tardava ad arrivare e l'ululato incessante della tempesta sicuramente non aiutava. Egli ripensò alla leggenda che lo aveva portato fino a lì, che gli aveva fatto tentare questo viaggio sfidando la morte più e più volte.  I racconti narrano di un antichissimo re, antecedente all'era dei Forxi che ripudiato dal suo stesso popolo si sarebbe rifugiato tra queste valli e vi avrebbe regnato per milioni di anni, comandando i mostri che vi abitano. Questa superstizione del sud, mitologia più che storia, era la sua unica speranza per ottenere il suo scopo. Valisar infatti era un re, o almeno lo sarebbe stato se il suo trono non fosse stato usurpato diciannove anni prima dalla casata delle lance di bronzo. I loro guerrieri evevano distrutto raccolti, bruciato città e villaggi e avevano massacrato la sua famiglia. Solo sua madre e suo cugino riuscirono a sfuggire ai loro assassini rifugiandosi dai propri vassalli, storici alleati della casata dei titani. Egli ora aspirava al trono di suo padre, ma per ottenerlo aveva bisogno di un esercito e della potenza di una reliquia reale. Lui sapeva di essere destinato a ciò per la predizione che uno stregone gli aveva rivelato quando ancora aveva solo sette anni, donandogli un ciondolo che lo avrebbe guidato nel proprio cammino. Ma la sua reliquia era stata rubata dai meschini usurpatori e l'unico modo per mettere le mani su un potere tanto grande sarebbe stato averne una.                                                                                    Quindi egli avrebbe ritrovato la reliquia del re maledetto e sarebbe tornato trionfante in patria pronto a  regnare da liberatore dando finalmente pace all'anima di suo padre. La notte passò tranquilla e Valisar riprese il cammino alle prime luci dell'alba. Credeva di essere vicino come non mai alla sua meta, se lo sentiva nel sangue. Il paesaggio stava infatti cambiando e il percorso sembrava sempre più agevole, come se fosse stato scavato. A mezzogiorno accese un fuoco con del muschio trovato su un alto pilastro di roccia per prepararsi il pranzo. Aveva preso una spece di ratto corazzato dal guscio marmoreo, che se spezzato rivelava la tenera carne dell'animale. Ci impiegò venti minuti a rompere il guscio battendolo con una pietra, ma quando finalmente riuscì a tirare fuori la carcassa un'acquila bianca, veloce e silenziosa come un fantasma gli strappò di mano la preda che aveva sudato per catturare. Egli fu inondato di rabbia e tentò di abbattere l'aquila bestemmiando che si era però data alla fuga. :-MONTAGNA DEL CAZZO- Il giovane tirò un pugno pregno di rancore sulla roccia muschiata che gli provocò un gran dolore alla mano e fece cadere la neve posatasi sulla roccia stessa. Si stava ancora lamentando quando posò gli occhi sul masso ora libero dalla neve e per la sorpesa cadde all'indietro. Le sue pupille si dilatarono all'inverosimile e le sue mani gambe tremavano come sonagli. :-Quella..quella è... u-una torre. Una torre...UNA TORRE!- Valisar non ci credeva. Era sicuramente un'alluciazione, una beffa crudele di uno spirito del ghiaccio. Si levò il guanto rivelando la mano insanguinata per tastarne il materiale, pietra raffinata e levigata.  Era vero, era vicino! Iniziò a correre come un pazzo cantando e urlando: arriva il re, arriva il re!- Superò un altro torrione, poi uno in rovina e poi altri due paralleli e molto più alti di quelli  precedenti. E quando li sorpassò finalmente le vide. Rovine di una città, grande e vuota. Dalla sua bocca si levò una risata isterica e urlò una promessa che con l'aiuto dell'eco si sentì in ogni anfratto di quei monti: -Temi il titano usurpatore!-



Cry of steel and bloodDove le storie prendono vita. Scoprilo ora