3. Candies and the forest

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«Liberami» disse con tono autoritario Josh, che cercava di liberarsi dalle forti e ridigide corde.
«No» dissi con un piccolo sorriso, seduto a terra a gambe incrociate davanti al ragazzo legato a una sedia vecchia e impolverata. Vederlo impotente a causa mia era un meraviglioso spettacolo. Poteva attaccarmi di nuovo, avevo capito che c'era qualcosa che non andava in lui, non era la cocaina... oppure mi sbagliavo, sicuramente. Volevo scoprire di più su Josh, anche se non dovevo. Non ero un tipo curioso e non sapevo nemmeno perché volessi conoscere più a fondo quel ragazzo. Di lui sapevo solo che non dovevo aver nulla a che fare, o potevo causare il peggio nella sua vita. Quello che sapevo era orribile, una verità scomoda che volevo cancellare dalla mia mente, che risultava impossibile, se ne restava lì in un angolino della mia mente, sempre. Non potevi dimenticarti di una cosa, sarà sempre lì, custodita nella tua scatola cranica, nelle tue membra che ancora non avevano vissuto abbastanza.
«Liberami. Ti prego» disse con un tono più implorante che fece uscire un risolino dalle mie corde vocali. Che carino.
«Perché mai dovrei?» mi alzai e girai attorno a lui con passi lenti e misurati.
«Diamine, quanto ti odio. Non avrei mai dovuto conoscerti. Insomma liberami, cazzo, non sono una bella e seducente ragazza rapita e presa in ostaggio.» Detto ciò, con voce dura, mi avvicinai a lui e misi una mano sullo schienale della sedia.
«Bene, bella e seducente ragazza, liberati da sola» feci uno di quei ghigni fastidiosi e me ne uscii fuori da quella soffitta, mentre sentivo il rosso borbottare un "stronzo". Scesi tranquillamente in cucina e aprii il frigo per prendere una birra, ma il suono del campanello mi impedì di prenderla. Sbuffai infastidito e andai dalla porta, erano sicuramente i testimoni di Geova. Un giorno di questi avrei preso una pistola e avrei sparato al loro cervello, magari poteva colare materia verde, invece che del semplice sangue. Guardai dall'occhiello e intravidi una graziosa bambina dai boccoli rossastri e gli occhi scuri, in mano aveva una busta e indossava un vestito rosso e bianco, aveva un'aria costosa. Era la mia rumorosa cugina di sette anni, nessuno avrebbe mai voluto passare qualche ora con lei, era non solo una peste, ma una vera e propria agonizzante epidemia. Aprii la porta solo perché c'era sua madre in macchina che aspettava che io le aprissi, e solo in quel momento mi accorsi che il sole stava calando dietro le alte montagne. Mamma mi diceva sempre di non aprire la porta a nessuno se lei non era presente in casa, ma io ero Tyler, quindi aprivo a chiunque.
«Ciao» mi precedette lei, bloccandomi da quel che stavo per dire.
«Ciao, Debbie. Cos'è quella busta?» dissi rivolgendole un finto sorriso, l'attenzione di mia zia era su di me, dovevo apparire carino nei confronti di una così "carina" mocciosa.
«Brownies fatti da mamma, mi ha detto che ti piacciono. Ah e mamma deve stare tuuutta la sera fuori per fare delle cose importanti» disse Debbie con quel tono entusiasta che spesso avevano i bambini quando stavano per trascorrere il tempo con il cugino che gli lasciava mangiare tutti i dolci. Solo che io non le lascerei mai mangiare i miei dolci. Le presi la busta di mano e alzai lo sguardo sulla madre, la salutai cordialmente con la mano e feci entrare la bambina. Chiusi la porta a chiave e me le infilai in tasca. La vidi catapultarsi sul divano e prendere il telecomando della televisione, la accese e immediatamente premette i tasti per digitare il numero del canale.
«Aspetta almeno che si accende completamente» dissi in tono burbero e le strappai letteralmente il telecomando di mano, e, dopo pochi istanti, misi il canale dei cartoni e glielo restituii.
«Sei cattivo» si lamentò Debbie, mettendo su un broncio, rivolgendo poi la sua attenzione sui cartoni.
«Infatti». Mi diressi nuovamente in cucina, presi la birra che tanto volevo bere e la aprii. Il suo sapore inondò le mie papille gustative e la bevvi più veloce che potevo. Una vocina mi fece andare la bibita alcolica di traverso, facendomi tossire con forza. Una volta ripreso a respirare con un senso rivolsi il mio sguardo a quella maledizione di bambina, che mi guardava con un sorrisino innocente stampato sul suo pallido viso lentigginoso.
«Me la fai bere?» mi domandò puntanto i suoi occhi marroni sulla bottiglia. Sarebbe stato estremamente divertente vedere il suo faccino contratto dallo schifo che provava per il suo sapore, così mi avvicinai e le porsi la bottiglia. La prese con difficoltà, essendo pesante, e avvicinò la sua bocca ad essa con le sopracciglia corrugate. Appena vi diede un sorso la sua espressione si contrasse in una espressione schifata e mi restituì velocemente la bottiglia. «Che schifo!» commentò sputacchiando e corse via in salotto, e poi verso il bagno. «Non funziona l'acqua, vai al bagno di sopra» la avvertii e mi buttai sul divano. Mi rivolse quello sguardo che i ricchi riservavano ai poveri che non avevano soldi e voglia per riparare qualcosa nella loro casa e corse su per le scale. La famiglia di quella ragazzina era ricca, avevano soldi e ricchezze a palate, anche se il loro padre andò in Germania con il mio. Erano sempre stati ricchi, tutto era a posto da loro. La tipica famigliola felice che si vedeva solitamente nei film. Avevano una grande villa, quattro costose macchine e tanti lussi che io non avevo mai avuto il piacere di vedere in tutta la mia misera vita. Mia zia Katleen era la persona più tirchia che io abbia mai conosciuto, quella bastarda che non era altro non prestava soldi a sua sorella, figuariamoci darli. Mia madre lavorava in un locale serale/notturno, faceva i cocktail e cose così. Quel giorno era andata via presto, doveva aiutare a mettere a posto e rinnovare il design del piano superiore, era meglio per me che stesse il più lontano possibile da questa casa.

Blurryface wants to kill you ||| sospesa.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora