XVI

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«Ti odio», ribadii, più forte di quanto credessi, «ti odio e nulla potrà mai cambiarlo».

Cameron sorrise, un sorriso languido, perfido. Nella mia mente da bambina, imprigionata sotto leghe di sangue ormai rappreso, probabilmente avrei creduto che, se avesse schiuso le labbra, fila affilate di denti sarebbero balzate fuori come coltelli.

«E' strano, non è così?», fece un passo verso di me, leggero, quasi senza suono. Allo stesso modo, seguendo il suo movimento, indietreggiai. E mi ritrovai inchiodata alla scrivania di legno. «A volte crediamo di odiare una persona e alla fine...», allungò una mano verso di me e, con una delicatezza quasi inusuale, mi afferrò una ciocca sottile di capelli, «...e alla fine sono proprio queste a salvarci». Con le mani sulla scrivania, cercai qualcosa col quale controbbattere e, tra le file di vestiti, trovai ciò che cercavo: il freddo del metallo penetrò dai polpastrelli, raggiunse il polso, il gomito, la spalla. Ogni terminazione nervosa balzò, scossa da pura elettricità travestita da adrenalina. Infine la lama del minuscolo coltellino svizzero, talmente piccolo da esser passato inosservato precedentemente, sfiorò la sua gola.

Questa volta fui io a sorridere, anche se per un millesimo di secondo. «Toccami di nuovo con quella mano e sarà l'ultima volta che la vedrai attaccata al tuo polso», sibilai, sperando di esser risuonata minacciosa abbastanza.

Gli occhi di Cameron sfavillarono in un attimo di decisione ed infine, sorridendo, alzò entrambe le mani, rassegnato. La ciocca di capelli ricadde contro le altre ed il semplice pensiero di un respiro di sollievo scivolò dentro di me, sufficiente a calmare i miei nervi tesi.

«Non pensare neanche per un momento che, se non dovessi, ti salverei volontariamente la vita», dissi ed improvvisamente l'aria divenne fredda e pesante tra di noi, «tu hai ucciso la mia famiglia, hai tradito la Fortezza e la fiducia di mia madre. Se dovessi morire», non so dove trovai il coraggio di pronunciare quelle parole, «non verserei per te neppure una lacrima».

Cameron mi guardò e persino i suoi occhi divennero una gelida lastra verde, oltre cui non si poteva scorgere nulla, nessuna emozione, nessun pensiero. Durò poco, però; il Senza-Nome voltò lentamente il capo in direzione della porta, senza parlare.

«E sono certa che mia madre penserebbe lo stesso», questa volta riuscii ad ottenere la sua piena attenzione. Le sue labbra si incresparono in un grugno.

«Sta zitta», bisbigliò, con rabbia.

Sotto la fasciatura, sotto la pelle nuda, vidi i suoi muscoli muoversi.

Mi chiesi se avrebbe trovato il coraggio di attaccarmi, di farmi del male, nonostante il nostro patto.

«E' forse per questo che si era allontanata», questa volta fui io a muovermi in avanti, verso di lui, con l'arma bassa nella mia mano bollente, «è per questo che l'hai uccisa. Non poteti accettare il pensiero che non ti amasse».

Le labbra di Cameron tremarono, «Taci».

«Perché tu l'amavi, non è così?», ero così vicina al suo volto da poter avvertire il respiro caldo uscire dalle sue narici.

«Sta zitta dannazione!», e fu allora che lo sentii e pensai di essere una sciocca nell'aver creduto di poter scalfire quel suo cuore putrefatto; fu un sibilo veloce e poi un proiettile bucò la parete. Cameron fu abile nell'afferrarmi per le spalle e spingermi a terra con sé, prima che il bozzolo di metallo sibilasse sulle nostre teste.

Qualcuno si avvicinò. Con due calci ben assestati la porta cadde ed una furia nera ci venne incontro.

Balzai in piedi, in posizione d'attacco ed intimai a Cameron di rimanere lontano.

Il Rinnegato #wattys2017Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora