Trattenni il respiro quando sentii la mano di Nicolaj sfiorare la maniglia della porta già socchiusa.
Rimasi impalata di fronte al tavolo di legno ed aspettai che lui entrasse prima di concedermi di alzare lo sguardo, nervosa e un po' imbarazzata per ciò che era appena accaduto.
Il cacciatore che avevo di fronte apparve, improvvisamente, del tutto diverso da quello che avevo visto appena pochi attimi prima fuori da quella porta: Nicolaj mi guardò, inizialmente sorpreso dal vedermi in piedi, poi preoccupato ed anche lui in imbarazzo.
Non si era mai comportato così e lo capiva. Sapeva che lo avevo sentito e quella consapevolezza stava facendo cadere i suoi occhi perlacei in un baratro senza fine.
Sentii il cuore stringersi nel petto.
«Il dottore pensava che avresti dormito per almeno altre tre ore», spezzò il silenzio senza alcuna emozione particolare nella voce.
Mi sentii disorientata quando persi il suo sguardo; il cacciatore abbassò il capo, i capelli gli ricaddero selvaggiamente sul volto, nascondendogli gli occhi.
«T.J. non mi conosce», risposi, tentando di dimostrarmi calma e fiera come, probabilmente, anche mia madre avrebbe fatto, «non sa quanto sono resistente».
A passi lenti e misurati mi avvicinai e, con altrettanta lentezza, alzai una mano fino a sfiorargli il braccio. Volevo che Nicolaj avvertisse il mio calore, che sapesse che ero viva, che stavo bene. Volevo che smettesse di tormentarsi per qualcosa di cui non aveva mai avuto colpa.
«Infondo sono Agnese Del Bianco, lo sai», la mia mano risalì sull'avambraccio, all'altezza della manica della maglietta grigia, «niente può spaventarmi, niente può farmi del male», la sua pelle era calda contro la mia, tiepida come quella di chi si è appena svegliata da un bel sogno, ancora intorpidita dal sonno e dalle lenzuola.
«Quella cosa avrebbe potuto ucciderti», lo sentii bisbigliare, la voce appena impercettibile a differenza del suo sguardo, deluso e pesante quanto la Fortezza stessa dove c'eravamo conosciuti.
Sembravano passati secoli da quella sera.
«Ma sono viva...», replicai, accogliendo quel suo sguardo con un sorriso, sperai, rassicurante, «e sai perché?»
Già da allora eravamo stati complici inconsapevoli di qualcosa di molto più grande di noi. E Cameron era ancora un nemico, qualcosa da distruggere ad ogni costo. Mentre ora...
«Agnese, ti prego...», Nicolaj sfuggì da quel contatto e mi diede le spalle. Chiuse la porta di fronte a sé, senza prima attraversarla. Non voleva affrontare quella conversazione ma non voleva neppure andare via. Era condannato in quel limbo, in quella zona di mezzo, e così io. Le voci mi supplicavano di lasciarlo andare, di farlo vivere, di risparmiare la sua vita prima che fosse troppo tardi ma il mio corpo, la mia anima, continuavano a cercarlo.
Era stato così il primo giorno e così era anche adesso: avremmo potuto litigare, avremmo potuto fuggire l'uno dall'altra, ma alla fine, in un modo o nell'altro, ci saremmo ritrovati perché Agnese Del Bianco non era nulla senza Nicolaj Ivanov.
«Mi ha salvato la vita», replicai con voce quasi supplichevole, «ti interessa davvero così poco di colui che mi ha permesso di essere qui oggi?», tentai di raggiungerlo ma, ad ogni passo, Nicolaj pareva sempre più lontano, sempre più distante, ed il suo corpo diventava sempre più rigido, più ostile alle mie suppliche.
«Nic...», di nuovo tesi la mano verso di lui e, quando lo sfiorai, avvertii un brivido attraversare il cacciatore come una scossa elettrica, «Nicolaj ti prego, guardami...», le mie dita risalirono le braccia e, mentre lui si voltava, raggiunsero il suo volto.
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Il Rinnegato #wattys2017
Acción[La gente ha bisogno di un mostro in cui credere. Un nemico vero e orribile. Un demone in contrasto col quale definire la propria identità. Altrimenti siamo soltanto noi contro noi stessi. Chuck Palahniuk] Dopo aver assistito alla morte...