XXVII

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Era arrivata l'ora di pranzo ma Nicolaj non si era fatto vivo.

Seduta sul tavolo della cuccina mi rassegnai a vedere il tempo mandare avanti le lancette dell'orologio verde sulla parete e a sentire i passi dei padroni di casa risuonare tutt'attorno come un eco lontano.

L'unico suono chiaro, evidente, era quello dei battiti del mio cuore, stranamente regolare rispetto alla situazione così agitata.

Quando bussarono alla porta quasi non avvertii le mie labbra pronunciare «Avanti».

La porta si aprì lentamente come se Claire –così mi pareva di averla sentita chiamare- avesse avuto paura di travolgermi con la realtà pulsante appena fuori da quell'uscio.

La moglie di T.J. era una donna splendida, con la pelle d'ebano e i capelli ramati lasciati liberi sulle spalle esili. I suoi occhi castani mi studiarono per un istante poi chiuse la porta dietro di sé.

Si avvicinò al piano da cucina, scansando siringhe vuote e bende sporche di sangue e, dopo aver buttato nel cestine gli elementi utilizzati del kit medico, si pulì le mani con cura sotto il getto d'acqua calda, lasciando sfuggire ovunque il torpore del vapore ed il profumo del sapone per i piatti con cui era lavata.

«Lui non tornerà, vero?», domandai con la voce tremante per l'incertezza.

Mentre si accingeva ad afferrare una pentola, vidi Claire sorridere per il mio intervento, come se fosse felice di poter finalmente parlare, di poter dire la sua su quello che stava stravolgendo la sua vita da due giorni a questa parte.

I capelli ramati le coprivano però parte del viso, rendendomi difficile capire l'espressione sul suo volto a cuore. «Mi è sembrato piuttosto nervoso quando è uscito. Ha svegliato persino Tuffy con il suo passo pesante!», passò un piatto sporco sotto l'acqua per poi lasciarlo sul piano di marmo affianco a lei, «La sua, però, non sembrava una rabbia verso qualcun altro, piuttosto verso sé stesso», la osservai riempire la pentola con abbondante acqua calda per poi poggiarla su un fornello che, una volta acceso, sfavillò nella cucina semi-buia.

Abbassai lo sguardo, sentendo le guance in fiamme. Claire era una sconosciuta, un'umana, non avremmo mai dovuto avvicinarci alla sua famiglia, non avrei mai dovuto parlarle.

Se solo il nonno sapesse..., quel pensiero mi provocò un moto di paura e rabbia.

Innervosita ed imbarazzata lasciai cadere lo sguardo sui miei piedi, i quali penzolavano nel vuoto che li divideva dal pavimento, «Invece credo proprio che fosse rivolta verso di me questa volta...», ripensai alla facilità con cui, dopo aver dormito insieme, Nicolaj si era allontanato da me, lasciando solo un freddo vuoto tra le lenzuola, ripensai alle sue mani che mi allontanavano dal suo corpo appena dopo il nostro bacio. Quel ricordo mi provocò un'immensa tristezza, talmente grande da cancellare la vergogna e la rabbia, o persino la paura di non rivederlo più.

Strinsi i denti e sentii gli occhi bagnarsi di lacrime ostinate, testarde, che sarebbero rimaste al loro posto senza permettermi di sfogarmi.

«Lui mi odia», conclusi, sentendo quelle parole graffiarmi la gola.

Avvertii Claire voltarsi, il movimento dell'aria mi colpì come uno schiaffo in pieno viso.

Accusai il colpo, mantenni lo sguardo basso.

«Oh no, tesoro, no!», si asciugò le mani ancora bagnate sul jeans attillato e si avvicinò a me con passo svelto. Sentii il suo sguardo, dolce ed insistente, cercare il mio e ciò mi costrinse ad alzare, a mia volta, gli occhi verso i suoi.

Il Rinnegato #wattys2017Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora