3. Festa sì o festa no?

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Harry non vide più Louis Tomlinson per i seguenti tre giorni. Nonostante le camere della nazionale britannica fossero tutte vicine, i due atleti non si incrociarono nemmeno una volta, nemmeno per sbaglio.

In tutta onestà, Harry era ancora un po' scosso da quello che la sua cotta storica gli aveva detto in piscina: oltre a sapere della sua esistenza, voleva addirittura conoscerlo e no, non se ne capacitava proprio.

Forse è stato solo un sogno o comunque frutto della mia immaginazione, si convinse dopo un po' il giovane per concentrarsi meglio durante i suoi allenamenti. Meno pensava a Tomlinson, infatti, e meglio saltava.

Ritornò al presente: il suo debutto alle olimpiadi sarebbe avvenuto da lì a pochi giorni e non poteva permettersi distrazioni. 

Si legò i lunghi capelli ricci in un codino approssimato e si scaldò i muscoli delle gambe. Era il suo ultimo salto della giornata e doveva eseguirlo perfettamente. Prese la rincorsa e si slanciò con potenza e decisione per superare con tutto il suo corpo l'asta alta poco più di due metri e, quando si accorse che non era caduta, esultò con un urlo liberatorio.

"Sei andato bene, dai. Ti meriti una pausa domani" gli disse contento il suo coach, che cominciò a mettere in un borsone tutte le sue cose per liberare la postazione agli altri saltatori che dovevano allenarsi.

Harry annuì, abbastanza soddisfatto, e andò negli spogliatoi per cambiarsi. Molti dei suoi futuri avversari erano lì, che chiacchieravano scherzosamente l'uno con l'altro.

"Alla fine ci vai alla festa di stasera?" chiese un americano al suo compaesano lì vicino.

"Certo che sì. Dicono che i suoi party siano davvero forti" rispose l'altro, ridendo con fare complice.

"State parlando del mega evento a cui sono invitati tutti gli atleti?" si intromise un ragazzo dal forte accento francese.

Gli altri due annuirono e pian piano tutto lo spogliatoio si ritrovò a parlare della festa di cui Harry aveva tanto sentito parlare anche durante i giorni precedenti. A dire il vero, l'intero villaggio olimpico fremeva in vista di quella serata, organizzata - come era avvenuto d'altronde negli ultimi otto anni - dal noto festaiolo Louis Tomlinson. 

Da quando quest'ultimo aveva infatti esordito alle sue prime Olimpiadi, la sua festa privata destinata ad atleti di ogni nazionalità era un evento che non poteva mancare e, anche quest'anno, si era ripresentato puntuale: l'invito era implicito e la data si poteva sapere solo grazie al passaparola.

Harry ancora non sapeva se andarci, però. Avrebbe infatti voluto che Louis lo invitasse ufficialmente, visto quello che si erano detti l'ultima volta, e poi non voleva fare la figura del ragazzino che si infiltrava ai party solo per poter spiare la sua cotta irraggiungibile.

E se Louis non si dovesse nemmeno presentare?, pensò preoccupato. Dopotutto il giorno dopo avrebbe dovuto disputare la finale di tuffi sincronizzati e, per quanto esuberante potesse essere, non credeva che avrebbe potuto fare baldoria per tutta la notte con una pressione tale addosso. 

O, almeno, Harry al posto suo non ce l'avrebbe mai fatta.

Con mille pensieri che gli frullavano per la testa, uscì dallo spogliatoio e, insieme al coach, si incamminò verso la sua camera. Ricevette gli ultimi suggerimenti su come saltare ed elevarsi con maggiore efficacia e poi lo salutò.

"Non esagerare alla super festa di stasera, mi raccomando" sentì dire in lontananza dall'allenatore, che si voltò per guardare Harry con uno sguardo allo stesso tempo complice e severo.

"Non preoccuparti, non so nemmeno se ci andrò" rispose seccamente il giovane. Non ne poteva più di sentir parlare di quell'evento.

Entrò sbattendo la porta e salutò James, il velocista che gli era stato assegnato come compagno di stanza, che nel frattempo si stava preparando per uscire ad allenarsi.

"Nervoso, Styles?" ridacchiò quest'ultimo mentre si allacciava con cura le scarpe.

Harry gli lanciò un'occhiataccia. "Che fai stasera? Vai per caso al party di Tomlinson?" gli chiese poi, curioso.

"Non so, non penso. Tu?"

Il giovane sbuffò, buttandosi di peso sul letto. "Non ne ho idea. Mi piacerebbe, ma non conosco nessuno e poi lo sai come sono, James... non sono esattamente un tipo festaiolo" confessò affondando il viso nel morbido cuscino.

L'altro ragazzo annuì, sconsolato. Conosceva Harry da molto tempo e, anche se non erano amici per la pelle, si volevano bene e si rispettavano.
Sapeva bene della sua timidezza e tante volte lo aveva spronato affinché fosse più istintivo e meno razionale, ma ogni tentativo era stato vano. E, questa volta, non aveva intenzione di convincerlo ad andare a quell'inutile festa: sapeva che sarebbe stata una battaglia persa sin dall'inizio. 

Gli si lanciò addosso, schiacciandolo, per poi dirgli ridendo: "Fai quello che vuoi, Styles, tanto alla fine non mi ascolti mai!" e detto questo se ne andò per fare il suo allenamento giornaliero.

Harry, un po' ammaccato, rise tra sé e sé, guardando l'ora. Erano le sette di sera ed era stanchissimo, motivo per cui decise di concedersi una dormita rigenerante prima che arrivassero le undici di notte.

Perché sì, in cuor suo l'aveva sempre saputo, ma ora anche la mente era finalmente giunta alla stessa conclusione: a quella festa ci sarebbe andato. 

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