4.

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Era un giorno nuovo.

Ed era il giorno in cui dovetti dire a mamma del viaggio.

<Allora...cosa ne pensi?> Chiesi dopo avergli raccontato tutto.
<Penso che è una splendida idea> disse abbracciandomi.
<Però dovremmo parlare con la dottoressa Stone e con gli altri medici per vedere se approvano il tutto> continuò lei.
<Perché non li chiami?E ci parli oggi>
<Ottimo>

Uscì dalla cucina, presi lo zainetto e mi diressi ad uscire dalla porta di casa.

Mi sarei vista con Roy.

Quando arrivai alla porta di casa con un sorriso stampato in faccia, mi aprì la madre.

<Sono venuta per Royston> informai.
<Si, certo> poi si voltò verso le scale che portavano per la sua camera e gridò di sbrigarsi.
<Mamma! Sto scendendo> disse infine per poi ritrovarmi un Roy spettinato con una maglietta bianca che profumava di suo.

Iniziammo ad avviarci verso un parco giochi dove c'era una tranquillità nel prato sotto una grande quercia. Così ci andammo a mettere lì.

Notai un cestino da pic-nic e subito capii che avrei passato un bel pomeriggio con lui.

Stese la grande tovaglia bianca e rossa e ci mise: acqua, panini, insalata, carne e le posate di plastica.

Infine ci sedemmo a mangiare e a guardare di fronte a noi i pochi bambini che si arrampicavano su un'altra quercia.

<Tu pensi che si può amare anche dopo la morte?> Mi domandò Roy, così girai la testa per guardarlo negli occhi.

<Si, ad esempio Romeo e Giulietta, loro si amarono per sempre oppure, mh... non so, Dante amò fino alla morte Beatrice anche se non le rivolse molto la parola>

<Interessante, beh, Dante era un po' uno sfigato> affermò.
<Ma non è vero> dissi ridendo.
<Oh sì, parli così tanto della persona che ami dicendo di amarla però lei non lo sa. È stupido, nessuno dovrebbe rinunciare a dire ad una persona di volerla, perché non si sa mai.>

Dopotutto aveva ragione.

<Cambiando argomento, direi che è meglio conoscerci più a fondo anche se per me tu sei la persona più interessante di questo mondo> disse facendomi l'occhiolino.

<Allora fammi alcune domande> dissi.
<Bene... fiore preferito?>
<Cosa?> Risi.
<Dai rispondi> mi incoraggiò e intanto ci sdraiammo sul soffice prato verde.
<Mh...non so, qualcosa di alternativo, ad esempio...una rosa nera! Si si, una rosa nera!> Affermai entusiasta.
<E il tuo fiore preferito?> Domandai.
<Un iris bianco, hai perso la verginità?>
<Le tue domande sono divertenti e comunque no> risi.
<Mentre tu?>chiesi.
<Si, con una ragazza o due, non ricordo>
<Interessante> dissi non curiosando troppo fra le sue cose.
<Perché hai alcune ciocche di capelli blu?> Mi chiese.
<Mh...a causa di varie chemio i miei capelli non potevano essere lasciati lunghi ne potevo farci molto così un giorno andai dal parrucchiere e li tinsi> era vero. Dopo tutto non potevo farci chissà cosa, se li avrei lasciati lunghi sarei diventata una copia di tutte le altre ragazze che vedevo.
<Mi immagino una Gwen arrabbiata andare dal parrucchiere e gridare "FAI QUALCOSA A QUESTI CAPELLI"> si piegò in due per le risate così gli andai vicino.
<Ero arrabbiata, si, ma non ho gridato!>
<Allora ammetti di aver detto "FAI QUALCOSA A QUESTI CAPELLI"> disse scimmiottando la mia voce e ridendo ancora più forte.

Lo guardai. E mi misi a ridere accorgendomi dopo poco che mi stava facendo il solletico.

<No, basta> e risi ancora.
<Non c'è la faccio più!> Mi stavano uscendo le lacrime per le risate.
Poi si fermò mettendo le mani ai miei polsi per non farli muovere al terreno.
Era sopra di me e i nostri respiri si fecero pesanti a causa delle risate.

Si avvicinò piano piano, come per baciarmi e invece infilò la testa nell'incavo del mio collo e mi fece ridere ancora di più continuando a pizziacare ogni parte sensibile del mio corpo. Ed io ridevo come non mai.

<Smettila, Roy!> Ridevo troppo.
<Roy, non respiro> mi sentivo lo stomaco morire e i polmoni vuoti, dovevo prendere le medicine.

<Dio, Gwen, che succede> mi chiese preoccupato.
<Non respiro> vedevo tutto appannato, fino a svenire ed osservare il buio.

Aprii lentamente gli occhi per via della luce accecante mentre navigavo con gli occhi per cercare qualcosa o qualcuno.

Vidi le mie mani avvolte da una luce accecante mentre si sentiva in sottofondo "The Seven Wonders" di Stevie Nicks.

Mi sembra essere in paradiso.
Dio.
Sono morta?

Cosa stava accadendo?

Provai a muovermi ma sentivo dei tubicini respiratori al naso e alla mano sinistra un ago con del liquido bianco in una sacchetta.

Questa sensazione l'avevo già provata da più piccola. In ospedale, quando mio padre mi accarezzò le mani e mi disse di lasciarmi andare con mia madre dietro le sue spalle a piangere.
Annuì ma non mi abbandonai, le medicine e tutto quello schifo scientifico mi rimisero in piedi.
Probabilmente dovrei ringraziare i dottori ma è un continuo soffrire, avrei preferito morire.

È un suicidio lirico:
Il corpo è vivo,
Ma è morto lo spirito.

Sentii una goccia d'acqua bagnare la mia mano fragile che teneva quell'ago.
Una.

Due.

Tre.

Mentre le sentivo scendere e bruciare la mano pallida, così come il mio viso.

La figura che vidi mi sorprese, sbattei di più gli occhi fino a comprenderne non solo la sagoma ma l'individuo in se.

Lo guardai, stava piangendo. Mi stringeva la mano. Erano sue le poche lacrime che mi accarezzavano.

Era così vulnerabile.
Non parlava.

Percepii la canzone provenire da una piccola radio sul mio comodino, uguale a quella nella mia stanza.

Capii.

Ero in ospedale.

Ricordai cose successe attimi prima.
Infondo non erano attimi, l'orologio segnava le 02:00.

Erano passate  troppe ore dopo le nostre risate che risuonavano nella mia testa all'unisono.

Stavo pensando troppo, volevo spiegazioni.

Lui poteva darmele.

<Roy> lo chiamai con voce roca e silenzioso.
Alzò di scatto la testa.
Per poi abbracciarmi all'istante senza esitare.
<Oh, Gwen, mi hai fatto spaventare, non me lo sarei mai perdonato>
Disse asciugandosi le lacrime. Aveva gli occhi rossi. Segno che era rimasto qui.
<Cos'è successo?> Chiesi mettendomi con il busto dritto.
<Ti ho portata in ospedale o meglio, è venuta l'ambulanza e ti ha portata in ospedale. Ho aspettato qui finché non mi hanno fatto entrare. Tua madre è venuta di corsa. Io non l'ho fatto apposta, scusami. Dovevo smetterla, non ti ho ascoltato. Ma eri così bella mentre ridevi> disse.

<No, no, non ti preoccupare. Mi sono divertita, e poi non è la prima volta che finisco in ospedale. Alla fine sono sempre qui. Mi fa' molto piacere che tu stia qui.> Dissi sincera.

<Odio questi macchinari, questi aghi e questi tubicini> dissi.
<Sono quelle cose che ti stanno facendo vivere, è quella cosa che anch'io devo ringraziare.>

Gli mandai un'occhiataccia ma d'altronde aveva ragione.

<Quando mi dimetteranno?> Chiesi.
<Se domani starai meglio, allora ti scarcereranno> disse ironico.
<Beh, è meglio che me ne vada, devi riposare ed è tardi.> Disse alzandosi per andarsene.
<Roy, resta.> Non esitò a prendermi la mano nelle sue e a sedersi.
<Va bene.> Sussurrò.

<Roy?>
<Dimmi>
<Ti voglio bene.> Dissi, facendolo sussultare.
<Anch'io te ne voglio.>

Così mi addormentai con un sollievo sul cuore e con la melodia di una canzone nelle orecchie.

Anche le Stelle vanno in ParadisoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora