Capitolo 3

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Luke's pov

Quella mattina mi svegliai con un'emicrania senza precedenti, complice la bottiglia di Vodka che riuscivo a vedere rovesciata per terra, svuotata per metà del suo contenuto.

Non avrei dovuto bere, ieri notte, ma rivedere Michael mi aveva fatto stare talmente male che dovevo dimenticarmene. Avevo soltanto scelto il male minore per farlo, consapevole comunque che non sarei riuscito a dimenticare Michael neanche se avessi fatto un incidente mortale, risvegliandomi con un'amnesia dopo il coma. Avrei dimenticato tutto, persino il mio nome, ma lui sarebbe rimasto sempre a tormentarmi, riuscendo a valicare quel muro che avevo costruito attorno al suo ricordo in questi dieci anni, un muro che come avevo appurato era di cartapesta, facile da abbattere, pronto a volare via al primo soffio di vento.

Ignorando i miei pensieri e le fitte alla testa mi alzai dal letto, lasciando che le coperte mi scivolassero dal corpo. Durante la notte avevo sudato molto, quindi m'ero spogliato della maggior parte degli indumenti finendo per avere freddo, come se avessi avuto la febbre, e mi ero ficcato sotto le lenzuola candide scosso dai tremori dell'alcool. Erano anni che non prendevo una sbronza come si doveva, e tutto per colpa di quel dannato stronzo di Michael Clifford. Eppure Jack me l'aveva detto di pensarci bene prima di decidere di tornare a Sydney... ci aveva visto giusto, sapeva troppo bene che i miei demoni sarebbero tornati a tormentarmi una volta tornato qui. Avrei dovuto dargli ascolto, ma la nostalgia delle vecchie amicizie era troppo grande per rifiutare quella proposta di lavoro che mi avrebbe riportato dritto al luogo che era stato contemporaneamente Inferno e Paradiso, salvezza e condanna. E poi c'è da dire che sono anche davvero stupido. Sarei dovuto arrivarci da solo, al fatto che tornare a Sydney non sarebbe stata una buona idea.

Camminai scalzo sul pavimento fino ad arrivare alla cucina del mio appartamento troppo freddo e troppo grande; una volta in cucina cercai le aspirine nello stipetto dei medicinali. Dopo averle trovate ne sciolsi una nell'acqua, preparandomi qualcosa per la colazione nel frattempo. Trangugiai l'aspirina e mangiai le mie due pancake troppo cotte fissando il panorama fuori alla mia finestra; c'era qualche auto parcheggiata accanto ai marciapiedi, poche persone che passeggiavano stringendosi nelle giacche a vento, qualche corridore che faceva jogging e una ragazzina che portava a spasso il proprio cane, un Golden Retriever troppo grande per lei. Quel mattino grigio non faceva altro che trasmettermi una grandissima malinconia, come ormai mi succedeva spesso: provavo questo orribile vuoto nel petto che sentivo incolmabile, come se niente avrebbe potuto aiutarmi e farmi stare meglio. Era una cosa da niente, certo, ma come ogni piccola cosa mi sembrava comunque la fine del mondo.

Cercai di non pensarci, mettendo via il piatto nel lavandino e correndo di là per prepararmi per uscire. Avevo voglia di rivedere Calum, nonostante ci fossimo rivisti la sera prima. Ero rimasto troppo scosso dal mio incontro con Michael per godermi la compagnia del mio migliore amico... E a dire la verità, avevo bisogno di parlare con lui proprio di Michael. Volevo sapere cosa aveva fatto nei dieci anni in cui non c'ero stato, perché l'avessi trovato così triste. Nei suoi occhi non c'era più quella luce che trovavo dieci anni fa, era come se si fosse spenta, e io volevo capire il perché. Ero sicuro, comunque, che c'entrasse Esmeralda. Non poteva non essere così, e poi l'avevo visto irrigidirsi parecchio non appena avevo menzionato il nome della sua ragazza. Chissà cosa gli avrà fatto, per farlo stare così... io l'ho sempre detto che sarebbe stato molto meglio con me. Ma, come biasimarlo se ha scelto lei? Io l'ho quasi sempre trattato da schifo e poi me ne sono andato, sparendo senza dare mie notizie per dieci anni. Non mi stupisce che si sia dimenticato di me.

Uscii di casa tremando a causa del vento freddo che spirava quella mattina; stringendomi nella giacca di jeans camminai veloce verso la mia auto, parcheggiata di fronte al mio condominio. Guidai verso il centro della città accompagnato dalla radio che trasmetteva sempre le stesse canzoni ma che non avevo voglia di cambiare; comunque avrei trovato sempre le stesse cose girando di stazione in stazione. Avevo bisogno di farmi spedire i miei cd da Melbourne, nella fretta di partire li avevo lasciati da mio fratello.

Haunting || Michael Clifford (Esmeralda sequel)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora