14. Scambio la maglia di Aeron per un panno assorbente

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Durante le ore notturne, la nostalgia verso la mia vecchia vita monotona mi opprime come se fosse un cappio stretto intorno al mio collo.

Sento la mancanza delle carezze di mia madre, dell'odore di tabacco che mio padre si portava dietro per tutta la casa, del familiare rumore della televisione che rimaneva accesa per tutta la notte quando i miei genitori si addormentavano sul divano.

Sento la mancanza dei loro abbracci, della loro voce. Ho paura di dimenticarli, di scordare il rumore dei loro passi e le loro voci calde, rassicuranti. Non ho foto, non ho video, ho solo i miei ricordi che temo potranno scomparire presto.

Poi un altro peso, ancora più insopportabile, comincia a far sentire la sua presenza, annidandosi nella mia mente. Il quadro di Jason mi si stampa davanti agli occhi che tengo chiusi nella speranza di tenere a bada i pensieri e riuscire ad addormentarmi.

Il quadro diventa realtà, e davanti a me c'è il corpo di Aeron senza testa. Il dolore mi stringe il petto come se si fosse riversato fuori dal corpo decapitato insieme al sangue.

E capisco che non posso farlo, che tutto questo è troppo per la ragazza che ha vissuto rinchiusa nella sua bella torre sicura come Raperonzolo.

Mi metto a sedere di scatto e mi alzo ancora più velocemente, evitando così di concedermi il tempo necessario per rivalutare la mia stupida idea. Mi infilo velocemente la maglietta e il pantalone del giorno prima che ho lasciato abbandonati sul pavimento e sguscio fuori dalla mia stanza senza far rumore.

Il pensiero che lì vicino stia riposando Thatcher mi manda in una specie di paranoia, che mi porta a controllare almeno una decina di volte che la luce della sua stanza sia spenta. Alla fine, quando riesco a convincermi che lui stia effettivamente dormendo, mi sembra quasi di sentire il suo respiro regolare sgusciare sotto la porta.

I corridoi sono più vuoti del normale, ma forse è solo un'impressione dettata dal senso di colpevolezza che mi segue, neanche fossi un ladro che ha appena derubato una banca.

La luce, di notte, è più attenuata; si riduce ad un lieve bagliore che illumina a mala pena una striscia di pavimento. Mi rifugio così nella parte non illuminata, sperando che l'ombra possa essere il mio nascondiglio nel caso qualcuno dovesse trovarsi a passare per i corridoi.

Visualizzo il garage nella mia mente, perché è l'unica via di uscita che conosco. Cammino per due, cinque, dieci minuti. Mi rendo conto di quanta fatica stia facendo per tenere nella mia mente l'immagine della mia via di fuga, considerati tutti i pensieri che schiacciano per prevalere l'uno sull'altro.

Alla fine riesco a raggiungere il grande spazio decorato da decine di auto diverse. Sembrano fissarmi, quelle macchine malefiche, e giudicarmi con i loro fari piegati come degli occhi indagatori. È una cosa così raccapricciante che sono spaventosamente vicina a ritornare sui miei passi.

Percorro il garage velocemente, ignorando i fari delle auto tutti puntati su di me. Raggiungo la saracinesca che comincia ad alzarsi con una lentezza snervante. Non capisce proprio che con questa calma potrebbe rovinare la mia missione da ninja?

Finalmente il grande pezzo di metallo lascia il posto al paesaggio notturno. Non credo di aver mai visto un cielo così bello, pieno di tutte le stelle del firmamento. Mi piacerebbe fermarmi, per qualche minuto, a cercare le costellazioni che mio padre mi mostrava quando ci stendevamo insieme sul prato fuori da casa nostra.

Il pensiero che forse presto potremmo farlo di nuovo mi da la spinta necessaria per muovere un passo verso l'esterno.

Per la prima volta, dopo molto tempo, non ho paura di uscire all'aria aperta. Forse starò male, molto male, ma combatterò contro tutto, perché ho bisogno di tornare dalla mia famiglia. I miei genitori sono le uniche persone che possono mettere davvero a tacere il dolore, rinchiuderlo in una gabbia e buttare via la chiave.

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