31. Le ragazze grandi non piangono

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Aeron ritorna dieci minuti – o forse un'ora dopo – con due uomini al seguito che non ho mai visto. Avranno forse una cinquantina di anni a testa, anche se non li dimostrerebbero se non fosse per le basette brizzolate che cominciano a tendere sempre più al bianco.

Io li aspetto seduta a terra, in attesa di un miracolo che so bene non arriverà mai. Ho slegato le mani di Thatcher, che erano saldamente tenute insieme da un pezzo di corda, e tengo il suo corpo tiepido stretto tra le braccia.

Gli accarezzo i capelli neri impiastricciati dalla manciata di giorni trascorsi in questo stato di prigionia, ma tento di non toccare il volto, quasi temessi che potrebbe ancora sussultare per il dolore. C'è un grosso livido violaceo sul suo zigomo destro, e una ferita in via di cicatrizzazione sull'occhio opposto.

Le unghie delle mani sono incrostate di polvere e terra, come se avesse passato gli ultimi giorni a scavare nel tentativo di scappare via come i topi, in gallerie sotterranee.

Mi ritrovo a chiedermi se era qui anche ieri, quando Gillie mi ha attirata nello scenario vittoriano. Vorrei prendermi a pugni per non aver pensato che potesse esserci qualcosa sotto, per non aver sospettato che quella lussuosa casa fosse solo un'illusione, per essere stata così sicura che lo avremmo salvato, che tutta questa storia non avrebbe avuto martiri.

Vorrei chiedergli cosa pensava in questi giorni oscuri, se ha mai dubitato che saremmo riusciti a salvarlo. Eppure so, senza bisogno di qualcuno che me lo dica, che lui era certo che sarebbe sopravvissuto, che noi saremmo arrivati in tempo. Perché era Thatcher, e si fidava ciecamente dei suoi amici. Se solo avesse potuto sapere quanto si sbagliava.

Mi dispiace Thatch. Se solo tu potessi sapere quanto mi dispiace.

Alzo gli occhi verso le tre figure in piedi davanti a me, e scorgo Aeron nascondere le lacrime nella penombra. I due uomini che sono tornati con lui si avvicinano, intuendo di dover portare via il corpo senza vita dalle mie braccia. Lo sfilano via lentamente, come se aspettassero un consenso che però non arriva, perché ho paura che se aprissi la bocca potrei iniziare a urlare e non smettere mai più.

Lo guardo per l'ultima volta, sperando che non sarà questa l'immagine che mi rimarrà di lui. Non voglio che il mio ultimo ricordo sia solo una pallida scia di quello che lui è stato. Voglio ricordare la sua bontà quando aiutava Dodge con la sua sedia a rotelle, voglio ricordare la notte in cui è entrato in camera mia quando mi ha sentita urlare; voglio ricordare il suo abbraccio quando Gillie mi aveva mostrato i miei genitori.

Non eri pazzo come credevo, Thatch. Penso sperando che, se c'è davvero un luogo dove i defunti possano vivere per sempre, lui possa sentire le mie parole da lì. Vedevi semplicemente il mondo in modo diverso. Forse in modo migliore.

Sento la mancanza del suo peso tra le braccia, ma cerco di non darlo a vedere perché c'è qualcuno che ha più diritto di me di soffrire.

Mi alzo lentamente, nascondendo le gambe tremolanti con una finta perdita di equilibrio. Non c'è bisogno che mi avvicini perché è lui che si avvicina a me, forse pensando che stia cercando un po' di conforto.

Solo che quando mi abbraccia sono io a confortare lui, che posa il mento sulla mia testa e lascia scorrere silenziosamente le lacrime, fingendo che questa tragedia non abbia abbattuto un muro, che non sia cambiato nulla dal giorno precedente.

Alla fine Aeron si abbandona contro di me, stringendo la mia maglia così forte che mi sembra di sentire tutta la sua forza piombare sul mio corpo. Lui piange con gli occhi chiusi e le labbra strette tra i denti.

Io non piango, no. Non oggi. Oggi mia madre sarebbe fiera di me.


Il funerale viene celebrato due giorni dopo in una chiesa di un piccolo paesino scozzese di cui la mia mente ha rifiutato di ricordare il nome.

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