Capitolo 2

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La sveglia sta suonando e, senza aprire gli occhi, la spengo e mi metto a pancia in su.
Le tapparelle della finestra sono mezze alzate e la luce entra nella stanza, facendomi svegliare totalmente.
Quando mi sveglio sono le 9.50 di mattina e sono in ritardo ancor prima di partire.
Mi alzo dal letto e mi dirigo in bagno.
Cammino come uno zombie.
Mi pettino i capelli, mi lavo i denti e mi cambio i vestiti.
Mi metto il mascara, mi preparo la borsa e cerco il lucchetto della bicicletta, ma non lo trovo.
Lo cerco per tutta casa.
«Dove cazzo è?» dico arrabbiata.
Spazientita, vado da mia nonna.
«Nonna, mi puoi prestare il lucchetto della bici, che io non lo trovo?» le chiedo ansiosa.
«Si, vado a prendertelo» mi risponde.
Entra in casa e io la seguo. Apre un cassetto e tira fuori il lucchetto.
Me lo porge e lo prendo.
«Mia, la chiave non la trovo»
«Non è che sia dentro ad una delle tue borse?»
«Adesso provo a vedere» mi risponde e va in camera sua.
«Nonna, nel frattempo vado a casa per cercare il mio» gli grido mentre scendo le scale.
Guardo l'orologio: le 10.20.
Cazzo.
Entro in casa, vado in cucina e sento mia nonna che urla il mio nome.
Vado su da lei e mi da le chiavi del lucchetto.
«Grazie nonna, ci vediamo dopo»

Arrivo in pasticceria in tempo. Entro e ordino un caffè.
Vedo Giulia seduta vicino alla finestra. E' sempre la stessa, non è cambiata di una virgola.
Alta, mora, capelli che gli arrivano alle spalle, magra.
La saluto e lei ricambia.
Si alza e viene al bancone, mi saluta baciandomi sulle guance e ricambio.
«Cosa ti prendi?» mi chiede.
«Un caffè, tu?»
«Non lo so, devo ancora mangiare»
«Credevo avessi già mangiato mentre mi stavi aspettando»
Prendo il mio caffè e vado a sedermi.
Dopo 2 minuti mi raggiunge anche Giulia.
«Scusami del ritardo, ma non riuscivo a trovare il lucchetto della bici» le spiego.
«Non ti preoccupare. Dove hai parcheggiato la bici?»
«In piazza e tu?»
«Qua fuori, e sono anche senza lucchetto» mi dice sorridendo.
Iniziamo a parlare e a raccontarci di quello che abbiamo passato in questi 3 anni, aggiornandoci sui fatti, sugli ex, sulla scuola, sulla vita.
Com'è strano che dopo anni che non ci si sente con una persona, si possa ritrovare la stessa complicità di una volta.
«Vieni a mangiare da me?» mi chiede.
«Non voglio disturbare...» le rispondo imbarazzata.
«No, non disturbi, almeno mi fai compagnia»
«Va bene, mando un messaggio a mia nonna»
Prendo il telefono in mano.

> Nonna, vado a mangiare da una mia amica, ci vediamo oggi pomeriggio.

Schiaccio su invia. Inviato.
*Nuovo messaggio*
Apro.

> Va bene, ricordati che sta sera devi andare a lavorare.

Usciamo dalla pasticceria e sono le 12.15, prendiamo le bici e andiamo a casa di Giulia.
Andiamo in cucina, mi siedo mentre lei rimane in piedi.
«Vuoi una spremuta» mi chiede.
«Si, grazie» rispondo.
«Con cosa la vuoi?» mi domanda indicandomi la frutta.
«Con kiwi e arancia, per favore»
Mi prepara la spremuta e la bevo, poi se ne prepara una anche per lei.
Finito la spremuta andiamo a sederci sul divano a scegliere un film da guardare dopo pranzo.
Dopo aver letto vari titoli di film, che non ci hanno ispirato dal titolo, scegliamo di guardare "A Beautiful Mind".
Andiamo a prepararci dei panini e mangiamo.

Sono già le 17.30 quando finisce. E' stato davvero un bellissimo film. Mi è piaciuto molto.
«Devo andare a casa» le dico.
«Va bene, tranquilla» mi risponde.
Esco a prendere la bici, lei mi segue e mi accompagna fino al cancello.
«Ci sentiamo» le dico in tono sereno.
«Certo» mi risponde.
Esco dal cancello e inizio a pedalare.
Tutto sommato mi ha fatto piacere rivederla dopo tre anni.
Spero che diventeremo ancora come eravamo prima.

Arrivo a casa che ormai sono le 18.00.
«Mamma, oggi sono uscita con la Giulia» le dico entusiasta.
«Bene. Vediamo quanto dura questa new entry» mi risponde.
Sento del sarcasmo nelle sue parole e, infatti, nemmeno le rispondo e vado subito in camera mia.
Metto il telefono a caricare e vado in bagno a farmi la doccia, dopodiché mi lavo i denti.
Torno in camera e mi preparo la borsa per andare a lavorare.
Camicia, calze, scarpe, pantaloni. Non dovrebbe mancare nulla.
Parto. Arrivo alla trattoria alle 19.00.
Vado in spogliatoio, mi cambio ed esco.
Vado a preparare la sala e inizio già ad avere caldo.
Saluto il mio capo e i miei colleghi.
Alle 20.15 circa iniziano ad arrivare i primi clienti.
«Buonasera» dico sorridendo.
«Buonasera» rispondono, ricambiando il sorriso.
Si accomodano e la mia collega Amy va a prendere le ordinazioni.
Si comincia a lavorare.
Per tutta la sera vado su e giù portando i piatti e preparando i tavoli vuoti.
Un caldo. Inizio a sudare.
Non ce la faccio più.
Suona la campanella della cucina, segno che bisogna portare i piatti pronti ai rispettivi tavoli.
Voglio morire.
Vado in cucina, vedo che ci sono i piatti pronti con il dolce per la tavolata delle 16 persone.
Mi sento un po' strana, spaesata. Non so il perché.
«Mia, sveglia! Sta sera ti vedo un po' addormentata» mi rimprovera il mio capo.
«Lo sono» gli rispondo.
Non sono addormentata, semplicemente ho caldo, sto sudando e sono immersa nei miei pensieri. Anzi, al mio pensiero: il ragazzo del sogno.
Ma è possibile? Pure mentre lavoro quel cazzo di pensiero mi tormenta?!
Perché? Tanto non sa della mia esistenza.
Gli ho scritto in tutti i modi possibili, ma sempre senza una risposta.
Quel sogno era così reale che mi sembra assurdo che non si sia realizzato.
Sono triste. Ci tenevo davvero che il sogno si avverasse.
Per seguire quello che ho sognato, sono andata in un'altra città e, come una totale cretina, speravo di incontrarlo e di consegnargli la lettera che gli avevo scritto.
Mi ricordo che ero in ansia perché non lo avevo detto a nessuno, né a mia mamma, né a mia sorella e nemmeno alla mia migliore amica.
Sapevo che se lo avessi raccontato a qualcuno, nessuno mi avrebbe preso sul serio e non mi avrebbe mai appoggiato.
Ma la data del viaggio, che avevo programmato mentalmente, si stava avvicinando sempre di più e la curiosità di andare oltre al sogno era talmente tanta che ho dovuto dirlo a mia sorella. Chi mi avrebbe accompagnata se non lei?
Le raccontai tutto, per filo e per segno. Mi prese per stupida. Aveva ragione, ma mi interessava ben poco quello che pensava perché ero ostinata a vedere come andava a finire quel maledetto sogno. Lo dissi anche a mia mamma, che il giorno dopo ci fece i biglietti.
L' attesissima data arrivò e andammo in stazione. Ero super agitata, così agitata che perdemmo il treno.
Fortunatamente ne arrivò un altro dopo 30 minuti.
Arrivammo a destinazione, scendemmo dal treno e uscimmo dalla stazione.
Ansia. Troppa ansia.
Sono una persona talmente ansiosa che la maggior parte delle volte mi odio perché lo sono.
Mi viene in mente una frase di Marco Mengoni: [Come quando avevo voglia di incontrarti anche per sbaglio per le strade di in un paese che neanche conoscevo].
Solo Dio sa quanto quella frase mi rispecchiasse in quel momento.
Avevo ansia perché volevo incontrarlo, ma avevo paura che si potesse avverare veramente.
Se fosse venuto a parlarmi, non saprei cosa avrei potuto fare.
Sicuramente se lo avessi visto, anche da lontano, sarei inciampata da sola, sarei caduta per terra e lui si sarebbe messo a ridere.
Ma alla fine non ho concluso niente.
Il sogno mi ha solo preso per il culo.
Se c'è una cosa che ho imparato su me stessa e sulla mia fortuna è che se ci fosse una piccola possibilità che le cose mi possano andare male, io, fortunata come sono, becco sempre quella piccola percentuale.
Se dovessi cercare un ago nel pagliaio, mi pungerei. Questo è poco, ma sicuro.
Di figure di merda ne ho fatte parecchie, ma meglio non ricordare.
Come può, un semplice pensiero, prenderti così tanto da non farti pensare ad altro se non a quello?
Forse perché desidero che si avveri? Forse perché le circostanze erano strane? Forse perché ho sognato la persona che non avrei mai pensato di sognare?
Forse perché era tutto così bello e perfetto che è quasi impossibile che ad una persona come me possa capitare..
Dicono che la speranza sia l'ultima a morire, ma alla fine, muore pure lei.
Finalmente anche gli ultimi clienti se ne sono andati, così posso andare in spogliatoio e cambiarmi.
Esco dal spogliatoio e saluto i miei colleghi.
Torno a casa. Tutti dormono.

Sono le 11.40 di sera, non è tardi, ma sono esausta.
Adoro il mio lavoro, ma mi stanca parecchio.
Vado in bagno, mi faccio la doccia, mi lavo i denti e vado a letto.
Anche nei momenti meno opportuni, anche quando sono a letto e dovrei dormire, penso.
Non vedo l'ora che mio padre si trasferisca qui, così mia mamma se ne va di casa.
Da poco tempo, mia sorella ed io, abbiamo fatto richiesta per vivere con nostro padre, dato che con nostra madre non andiamo d'accordo.
Io non sono mai andata d'accordo con lei, soprattutto ora che ha un compagno e che ha una figlia con lui, mentre mia sorella e mio fratello sí.
Voglio bene alla piccola, ma non la considero mia sorella, anche se abbiamo la mamma in comune.
Mio fratello, mia mamma, sua figlia e il suo compagno si trasferiranno in un'altra casa, mentre mia sorella ed io vivremo con papà.
Penso che una separazione o un divorzio sia difficile da superare, sopratutto se non si ha mai avuto delle risposte alle proprie domande.
Mia mamma cercava di mascherare qualsiasi cosa non andasse, ma facendo così ha solo fatto peggio.
I miei hanno iniziato a separarsi quando io avevo 10 anni e mi sa che, per quanto io possa dire che ormai ci sono abituata, non mi passerà mai la tristezza di vedere mia mamma con una nuova famiglia. E' davvero brutto.
Per quanto il natale possa essere bello e magico, io non lo festeggio più.
La mia famiglia si è distrutta e niente sarà più lo stesso.
Noi che, da piccoli, non vedevamo l'ora che arrivasse il natale per aprire i regali.
Noi che credevamo a Babbo Natale.
Noi che volevamo l'uovo di pasqua per mangiare tanto cioccolato fino a star male.
Noi che eravamo entusiasti di andare a letto e svegliarci con la calza piena di dolci nel giorno della Befana.
Noi che andavamo a giocare a nascondino, con la corda e con altri mille giochi che adesso non esistono più.
Noi che ascoltavamo lo Zecchino d'oro, che guardavamo i Simpson, che guardavamo i Teletubbies e altri cartoni animati.
Noi che eravamo felici, anche se non avevamo niente.
Dov'è finito tutto?
Crescendo è tutto più difficile, fa tutto più schifo e io lo so bene.

Prima o poi ci incontreremo Where stories live. Discover now