Epilogo 2 (alternativo)

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Canzone consigliata per il capitolo:
Wherever you will go - The Calling. ❄️
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Ten years later.

Abbasso lo schermo del computer portatile spento e mi alzo dalla sedia recuperando velocemente le mie cose. Infilo tutto nella borsa nera, non curante dell'ordine che invece dovrei dare. Afferro la valigetta con all'interno tutte le cartelle cliniche dei miei pazienti e mi dirigo verso la porta del mio ufficio. Quando un minuto dopo raggiungo la hall, saluto una delle assistenti e le lascio il compito di chiudere l'edificio una volta uscita.
Sono passati tre anni da quando ho conseguito la mia laurea in medicina, ed è stato un vero colpo di fortuna che mia zia mi abbia lasciato il suo vecchio ufficio.
Comunque lavoravamo entrambe nello stesso posto. La differenza era che lei è un fisioterapista, mentre io sono un medico privato. Lei si occupa della postura, dei dolori muscolari, mentre io mi occupo della salute del paziente, di prescrivergli medicine, di indirizzarli in centri specializzati quando individuo una malattia grave. I miei pazienti vanno dai dodici anni in su. Non c'è limite d'età superati gli undici. I bambini vanno ancora dal pediatra.
Esco in strada stringendomi nel cappotto nero e affretto il passo sul tacco dieci che ho infilato questa mattina. Mi piace andare a lavoro vestita elegante, diciamo che è anche per una questione di apparenza, ma a volte esagero e soprattutto mi dimentico quanto siano scomode delle scarpe del genere.
La mia macchina è parcheggiata a circa quattrocento metri dal mio ufficio, ma devo fermarmi a due semafori rossi prima di arrivare.
Cammino con la testa bassa e tra le nuvole mentre penso a ciò che ho da fare una volta arrivata a casa. Pagare la baby sitter, dare da mangiare a Lucas, mio figlio di tre anni, stirare, cucinare qualcosa di commestibile per me e il mio fidanzato, fare la lavatrice...
Senza rendermene conto vado a sbattere contro qualcosa. O meglio, qualcuno.
Quando tiro su lo sguardo rimango un'attimo interdetta.
Non ci posso credere. Non riesco a credere che sia qui, davanti a me.
Faccio un passo indietro e mi sistemo imbarazzata la gonna sulle gambe.
Non è cambiato molto da quando l'ho visto l'ultima volta. Ha sempre quello sguardo furbo, attento. Le uniche cose diverse sono che adesso i suoi capelli sono più corti. Non ha più il piercing al labbro e i suoi occhi azzurri sono segnati da profonde occhiaie scure.
Da quanto tempo non dorme? Da quanto è qui in città?
«Emma?» domanda incredulo. Anche la sua voce è diversa, più roca. Il suo mento è coperto da una folta barba, che deve aver tagliato l'ultima volta settimane fa.
«Ciao Luke» rispondo accenando un sorriso. Improvvisamente mi sento strana, quasi fuori posto.
«O mio dio» mormora spalancando gli occhi. Sembra davvero sorpreso di trovarmi qui. «Come stai? Cosa ci fai qui?»
«Sto bene» ribatto rilassandomi un poco. «E lavoro qui vicino. Tu piuttosto, come stai? E cosa ci fai in città?»
«Tutto okay. Sono qui per salutare alcuni vecchi amici.»
Annuisco. «Come va con la band?»
«Ci siamo sciolti un anno fa...»
«Ah.»
Mi ero dimenticata che la band di Luke, Calum, Michael e Ashton -già proprio il mio vecchio migliore amico-, non suonava più.
Avevano iniziato la loro carriera nell'estate dopo il primo anno di college, ma si erano da subito fatti notare. 5 Seconds Of Summer, era il loro nome. Nel giro di due anni erano famosi in tutto il mondo e giravano l'intero pianeta per esibirsi sui palchi delle città.
«Ti va di fare due chiacchiere? Magari potremo andare a bere qualcosa.»
«Mi piacerebbe, davvero, ma dovrei andare a casa...»
Non mi da il tempo di finire la frase perchè subito aggiunge: «Parto domani pomeriggio. Torno a Sydney. Ho l'aereo alle sei.»
Sospiro. Potrei tornarmene a casa e andare dalla mia famiglia. Ho dei doveri da svolgere, un bambino di tre anni di cui prendermi cura, un compagno che mi aspetta con il sorriso sulle labbra e una cena da cucinare.
Ma il ragazzo, l'uomo ormai, davanti a me è qui per questa sera ancora. Domani pomeriggio partirà di nuovo e chissà quando avrò la possibilità di rincontrarlo ancora.
Inoltre è passato moltissimo tempo dall'ultima volta che l'ho visto, forse più di due anni. E mi rendo conto solo adesso che mi è mancato da morire.
«Metto alcune cose in macchina e vengo. Ah, devo anche fare una telefonata.»
Annuisce.
Mi accompagna alla macchina mentre io chiamo a casa per dire che sarei rientrata tardi. Avevo rivisto alcune mie vecchie amiche e avevo voglia di bere qualcosa con loro.
Nessun accenno a Luke, nessuno accenno ad un ex ragazzo.
Non ho voglia di spiegare a Jordan, il mio attuale fidanzato, che vedo il ragazzo di cui ero stata tanto innamorata al liceo. E per il quale sentivo ancora il cuore battere più forte, in sua presenza.
Lascio la valigetta in macchina. Luke mi dice il nome del pub dove mi avrebbe portata. È strano che io viva in questa città da anni ma che non abbia mai sentito il nome del locale.
«Allora» inizia quando ci sediamo al tavolo. Lui ordina una birra e io un whiskey. «Come va il lavoro?»
«Benissimo. Mi piace davvero tanto» faccio una pausa. «Devo ammettere che sono orgogliosa di me.»
Sorride. «Immagino.»
Il barman ci porta i nostri drink che sorseggiamo in silenzio. Non posso fare a meno di spiarlo ogni tanto, quando non mi guarda. Quella barba che all'inizio lo facevano sembrare più vecchio di altri dieci anni, lo rende molto più sexy.
«Che c'è?» chiede quando si accorge che lo sto fissando da troppo tempo.
Trasalisco e distolgo subito lo sguardo da quegli occhi troppo profondi. «Niente.»
«Sei sposata?» sussurra con voce strozzata.
Guardo la mia mano con l'anello d'oro bianco che porto al dito e d'istinto la tiro via. «Fidanzata.»
«Capisco» dice. Adesso i suoi occhi sono velati di tristezza, ma cerca di sorridere comunque.
«Sei felice?» domanda ancora.
«Si. Credo di si.»
Annuisce. «Sono contento per te Sue. Davvero.»
Vorrei credergli. Oh, come vorrei farlo. Avrei voluto risultare più convincente anche alle mie orecchie. Ma nessuno dei due sta dicendo la verità.
Io amo Jordan. Eccome se lo amo. Avevo iniziato ad uscire con lui perchè dopo tanto tempo non mi ricordava Luke. Perchè dopo anni passati a cercare qualcuno come lui, avevo trovato chi pensavo potesse essere migliore.
Ma non era andata così. Io lo amavo, ma nessuno era come quel ragazzo biondo che molti anni prima mi aveva rubato il cuore. Nessuno lo sarebbe mai stato.
«Non è vero» mormoro stringendo le mani intorno al bicchiere. Il ghiaccio si è quasi sciolto, ridotto a piccoli pezzi che galleggiano sulla superficie. «Io non so felice, tu non lo sei.»
Scrolla le spalle, quasi come se fosse rassegnato. «È tardi Emma. Forse dovresti tornare a casa.»
«Perché fai così?»
Sembra confuso. «Così come?»
«Come se non te ne importasse niente.»
Esita. Sembra combattuto tra il dirmi la verità oppure una bugia a fin di bene. Prende un'altro sorso di birra prima di rispondermi.
«Si che mi importa. Solo che tu hai una famiglia adesso, devi tornare da loro.»
«Ma io...»
«Niente ma» replica. Si alza in piedi lasciando del denaro sul tavolino. «Adesso devo andare. Comunque pago anche per te.»
«Luke...»
«Chissà, magari ci rivedremo» fa una pausa. «Ho l'aereo alle sei, domani pomeriggio.»
Poi esce dal locale. Resto intontita mentre guardo i soldi che ha lasciato. Guardo il mio bicchiere ancora mezzo pieno.
Lo finisco e ne ordino un'altro. E poi un'altro ancora.
Ho bisogno di alcol per arrivare alla fine della sera senza scoppiare a piangere. Ho bisogno di staccare la mente e a volte bere aiuta. Essere irresponsabili e tornare ragazzi per un attimo aiuta. No, in realtà non aiuta, anche se momentaneamente mi sento un pochino meglio.
Quando all'una di notte esco dal pub, ho l'impressione che mi stia per schizzare il cervello fuori dalla testa. Tutto sembra più magico, luminoso, le luci più calde e caleidoscopiche.
Ma poi l'effetto svanisce e io mi ritrovo con una terribile voglia di piangere, di gridare a squarciagola, senza che esca però alcun suono dalla mia bocca.
Non torno a casa stanotte. Resto a vagare per le strade senza una meta precisa.
Alle quattro del mattino torno alla macchina e mi addormento.

Fail messages // Luke HemmingsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora