Qui gli angeli non passano

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La nostra, era una cittadina molto povera, senza alcuna ricchezza storica e che stava uscendo sconfitta e gravemente provata da una guerra che durava ormai da troppo tempo per mostrarsi ancora affascinante agli occhi del mondo intero. 

Immersa nella foresta e baciata dallo scenario selvaggio quanto imponente della natura, se ne stava tranquilla e beata, bagnata da un affascinante lago e accarezzata dalla verde pianura circostante. Cullata dal canto dei merli e arricchita dalla simpatica presenza degli scoiattoli. Questo era Gorodtsvetov, un tempo.

Con l'avvenire della guerra restarono soltanto calcinacci e polvere sparsa ovunque. Il verde lasciò spazio al grigio e quel lago che un tempo era di un azzurro cristallino, divenne rosso con il sangue dei suoi figli. L'incantesimo si spezzò come il collo di un condannato a morte e la favola svanì nel nulla. Gorodsvetov divenne lo scheletro di un sogno, la moria della bellezza in ogni sua sfumatura, l'incubo e la paura.

Quattro amiche spente e ormai schiave di una piccola stanza che le teneva lontane dai pericoli ma anche dai loro sogni, passarono i loro ultimi giorni parlando silenziosamente dei loro timori, vomitando fuori le loro paure, i loro disagi e la loro voglia di essere altrove, lontane da tutta quella disperazione e senso di angoscia che le stringeva in un abbraccio traditore. 

Lontane da quel vuoto.

Oksana aveva quindici anni, Raisa quattordici, Svetlana Sedici ed Irina diciassette. La guerra ne aveva completamente annientato lo spirito e spento i sorrisi. Le quattro ed io, madre di una di loro, vivevamo insieme in un appartamento al terzo piano con meno di sessanta metri quadri a disposizione e avente due camere da letto, un bagno e un piccolo angolo cottura. 

Erano già diverse settimane che vivevamo come recluse in quell'ambiente ormai sporco quanto umido e dove mancava tutto, tranne l'amore. 

Essendo il periodo estivo, il freddo gelido era sparito mesi prima come sparite nel nulla erano le famiglie delle altre ragazze, morte o catturate dal nemico. Solo il caldo di quei raggi solari accarezzavano i loro volti, solo quella era la luce che riempiva e scaldava i loro cuori.

Io ero la madre di Raisa e l'unica sopravvissuta a quegli stermini di massa che ormai imperversavano senza regole né tregua. Mi presi cura delle giovani nascondendole e proteggendole come meglio riuscii ma senza essere immune alle moltissime difficoltà e agli innumerevoli sacrifici ai quali andai incontro.

 Adoravo quelle ragazzine poco più che adolescenti. Ormai erano diventate tutte mie figlie, figlie anche di quella guerra incessante e sanguinaria che le teneva lontane dai loro sogni e dalla loro speranza. Lontane dal viversi una vita e la sacrosanta libertà, lontane da tutto. 

Sempre più lontane.


Accadde molto dolore fa. 

Erano quattro giovani adolescenti, gli spettri arrancanti di una piccola città ormai spettrale.

Provate a immaginare i volti di quattro ragazze poco più grandi o più piccole di voi, costrette a vivere una guerra non voluta, ad essere le spettatrici e le attrici stesse di una guerra che come pubblico aveva le armi, le bombe e il sangue schizzato ovunque. Un volto consumato e impoverito dai fischi assordanti e con la paura che, ogni giorno, potesse essere l'ultimo. Dove ogni minuto veniva vissuto con la speranza che dopo ce ne fosse stato un altro e poi un altro ancora, forse. Dove si viveva perdendo la voglia di farlo e ci si trascinava come lenzuoli bianchi macchiati. Come foglie sporche di fango, così leggere e pesanti allo stesso tempo e dove la morte divenne per loro il sollievo della vita stessa. 

La loro unica via di uscita.

Le sirene di GorodtsvetovDove le storie prendono vita. Scoprilo ora