Hope ci dava un gran da fare e questo era un bene. Ci teneva lontane dai cattivi pensieri.
Mia figlia non faceva altro che starle appresso come una madre farebbe con la propria figlia. Aveva perfino smesso di leggere, passione che si portava avanti da quando aveva cinque anni, da quando imparò a leggere.
Svetlana iniziò invece a chiudersi sempre di più nei miei confronti. Il disagio creato dall'ultima conversazione la segnò profondamente. Cercava di sfuggire ai miei sguardi e per quanto l'appartamento non fosse molto grande, ci riuscì benissimo.
Quel mercoledì mattina, era una giornata più calda del solito. Quel caldo torrido affievolì perfino quel poco vento che soffiava.
Io e Raisa stavamo dando da mangiare alla micia, mi voltai e mi accorsi che Svetlana non era con noi. Mi alzai sotto lo sguardo distratto di mia figlia e andai a cercarla nell'altra stanza ma di lei nessuna traccia. Mi affacciai nel bagno, ma essendo aperto capì da subito che non poteva trovarsi lì dentro. Iniziai a tremare per la terza volta.
Inventandomi una scusa banale che nemmeno ricordo più, scesi le scale per vedere se fosse passata dal signor Sobolev e da sua moglie. Lo sguardo dei due mi fecero intuire immediatamente il peggio. Uscii di corsa dal portone senza pensare ai rischi alla quale sarei andata incontro. Venni rincorsa dai Sobolev che mi bloccarono nonostante mi dimenassi, mischiando urla di rabbia e dolore.
Svetlana se ne andò così.
Sparì dalla mia vita come un fantasma. Non seppi più nulla di lei, fino a quando, cessata la guerra venni a sapere che fu trovata morta annegata nel lago.
Quel bagno che tanto voleva farsi le strappò la vita. Tutti pensarono ad un annegamento, ma io sapevo che Svetlana era una grande nuotatrice, come solo io potevo sapere quanto fosse diventata fragile e silenziosa in quegli ultimi giorni.
Anche quella volta come le altre due precedenti non mi diedi pace per la sua scomparsa. Come avevo fatto a non accorgermi che era uscita di casa?!
La signora Sobolev provò a rincuorarmi. Mi spiegò che se qualcuno decide di andarsene, riesce a farlo benissimo senza che nessuno possa farci nulla, e probabilmente aveva ragione. Ma allora perché mi sentivo ancora una volta dannatamente in colpa? Come facevo a dirlo a mia figlia, come facevo a dirle che era rimasta completamente sola!
Quando rientrai in casa, Raisa, mi aspettava davanti la porta d'ingresso con la gatta in braccio e le lacrime agli occhi. Aveva capito tutto senza che le dissi nulla.
«E' scappata vero?» mi chiese con un filo di voce.
Non seppi cosa risponderle e l'abbracciai forte a me facendo attenzione a non far male a quella che era diventata la sua creatura, la sua unica ancora di salvezza.
Anche Svetlana lasciò quell'appartamento che per mesi aveva visto accrescere il malumore di cinque persone. Non sapendo che fosse morta l'aspettammo fino all'ultimo istante sperando che sarebbe tornata da noi.
Fino a quando la morte non è certa, è soltano la speranza a darti quella forza che ti manca.
Dicevo a Raisa che probabilmente, Svetlana, aveva bisogno di stare un po' da sola e che essendo una buona conoscitrice del posto, ben presto sarebbe tornata a casa. Non so se mia figlia mi credette per farmi contenta o se veramente credeva a quella storia, sta di fatto che per il resto dei giorni si affacciò tutte le volte alla finestra sperando in un suo ritorno.
Hope era la sua unica distrazione, credo che senza quella micia non sarebbe mai riuscita a sopravvivere anche a quel dolore.
Quando durante i pasti stavamo a tavola, si soffermava assente a fissare quelle tre sedie vuote.
Da allora il cibo iniziò a bastarci anche se la fame non era più quella di una volta. La vasca ci ricordava di Irina, la porta di casa di Svetlana e la finestra in camera da letto di Oksana. Ovunque giravamo ci stava un ricordo di loro, come se fossero spettri onnipresenti nelle nostre vite annoiate.
Decisi di far sparire quelle sedie e di trasferirmi con mia figlia nell'altra camera da letto, quella che io utilizzavo quando eravamo ancora tutte e cinque insieme. Quello era l'unico posto di tutta la casa che non ci faceva pensare a loro, che ci teneva lontane dai ricordi di un passato che non intendeva sparire.
Mia figlia pianse di nascosto. Anche se non lo so per certo, sono sicura che sia così. Non mi aveva dato segni di farla finita e questo mi permise di ritrovare quella subdola tranquillità che non avevo da intere ed infinite settimane.
Ogni tanto, con una delle mie solite e stupide scuse, trovavo il modo di controllarle i polsi e di non lasciarla mai sola. Essendo in intimità da sempre, riuscì anche a non farle chiudere la porta quando andava in bagno. Tutto rasentava la follia probabilmente, ma la paura di perdere anche lei mi portò a compromettere anche la privacy di mia figlia e la mia.
Le bombe nel frattempo continuavano a scendere come i tuoni del peggior temporale della storia. Anche il rumore delle mitragliatrici si facevano sempre più vicine, come vicine eravamo io e mia figlia in quei giorni.
Spesso quando andavamo a dormire, alla sera, mi abbracciava e si addormentava così. Non l'aveva mai fatto prima di quel periodo e non so se fosse per la vergogna nei confronti delle altre o proprio per il rispetto che nutriva per loro visto che lei una mamma vera l'aveva ancora e loro no. Quando mi svegliavo la trovavo esattamente come si era addormentata la sera prima, abbracciata a me.
Portai via tutto ciò che ricordava le altre ragazze, vestiti, oggetti personali e quant'altro. Non riuscivo a sopportare lo sguardo di mia figlia quando guardando l'armadio accarezzava quei vestiti che una volta loro indossavano. Mi faceva soffrire sapere che lei potesse star male. Non aveva bisogno di quel tipo di ricordi, così misi tutto dentro due valige e le consegnai al signor Sobolev chiedendogli il favore di farle sparire. Non so che fine fecero e sinceramente nemmeno m'interessai mai nel saperlo.
Quello che m'interessava davvero ormai, era tener lontana la tristezza da mia figlia visto che la felicità era volata via molto tempo addietro.
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Le sirene di Gorodtsvetov
General FictionGorodtsvetov (Ucrotia) Anno 2015 Una madre consumata dal dolore, rievoca a quindici anni di distanza la vicenda di sua figlia e delle sue amiche, avvolte in un'aura di mistero che la tragica fine comune ha fissato per sempre. Nella memoria di quest...