Nevrotico e ostile

127 16 11
                                    

C'era stato un tempo in cui non ci si accorgeva di nulla e dove non si pensava al dolore. Naturalmente quel tempo era ormai lontano, una visione opaca all'immaginario collettivo, come un sogno, come l'incubo di quei giorni presenti e incessanti, come quelle esplosioni. Giorni Privi di ogni libertà che ci privarono di tutto.

La brezza del lago si accompagnava al calore dell'estate ma i cadaveri delle palazzine circostanti che si ergevano a fatica su quella strada martoriata, confermavano che quello non era un buon posto per sognare. I colori erano smorzati, quel verde tenue, quell'azzurro invitante, dov'erano finiti?

Era rimasto soltanto un profondo silenzio, un silenzio rotto dal sibilare delle mitragliatrici che urlavano in lontananza la loro ira, dall'esplosione delle granate che massacravano la bellezza della città facendola inginocchiare odio dopo odio, dove al di sotto di questi suoni infernali c'era un altro suono, un triste dolce suono adolescenziale. Era la voce malinconica e corrotta dalla paura di una semplice ragazza, una voce così dolce che penetrava le sottili pareti fino a giungermi alle orecchie.

«Vorrei essere lontano da qui!» ripeteva sognante. «Vorrei essere una rondine e volare via. Scappare lontana da questa miseria... lontana da questa paura.» Il pensiero era un lamento ricco di tristezza e carico di dolore, qualcosa che non si dimentica.

«Vorrei non esser questo, così insoddisfatta.»

Qualcuno viveva in questo luogo abbandonato da Dio. Nascoste in uno stretto appartamento a poche centinaia di metri da quel lago ci stavano alcune piccole palazzine unite in un quartiere residenziale che si affacciavano sulla natura o in quel che ne rimaneva. In una di queste, con le pareti sporche e scolorite dalle intemperie e dal vento, ergeva una struttura semplice ma solida, costruita su solide fondamenta.

I bombardamenti avrebbero comunque potuto spazzarla via in pochi sospiri e la spietata mano dell'uomo dipingerla con il sangue di chi vi abitava. Il suono di quella voce proveniva dal suo interno. Era una voce scarica di emozioni e di parole spezzate.

«Vorrei soltanto vivere...» 

Lentamente si fuse nel dolore sconnesso di chi bene non stava.

«Vorrei soltanto morire..

Era il lamento affamato di chi soffocava ogni giorno, un gemito d'incontrollabile sofferenza e di profonda inquietudine. Quelle grida ovattate sembravano viaggiare nel vento zittendolo completamente, come se la stessa natura circostante fosse lì per ascoltare quei sussulti amari, assopita completamente da quei lamenti penetranti.

Per un tempo indefinibile il silenzio prese voce, poi, a distanza, sopraggiunse un altro suono. Un suono ancora più sconvolgente del suo sommesso grido di dolore.

Cominciò con un leggero brusio, lontano ma voglioso di render viva la sua presenza, un suono nevrotico e ostile. Era il motore di un aereo.

Senza avviso, il male sbucò dagli alberi che facevano da scudo al covo. Il potente aereo sembrò pronto a scatenare l'inferno in terra, progettato per distruggere la pace e la bellezza dell'innocenza, con il pilota completamente lontano e apparentemente inconsapevole dell'atto di profanazione a cui stava per andare incontro senza curarsene, i suoi erano soltanto ordini: distruggi uomo... Distruggi!

Dopo aver sorvolato quella pianura lasciò cadere al suolo tre figli del demonio che s'infrangerono su quelle palazzine circostanti violentandole. Infine si allontanò nuovamente portando via la vita e le sue urla d'odio.

La ragazza dalle pallide parole, Oksana, si gettò svogliatamente a terra infilandosi sotto alla rete del suo letto, seguita dalle altre compagne di sofferenza. Deglutì e si asciugò la fronte, l'improvviso sudore freddo le raggelò il sangue. La fortuna anche questa volta tenne gli occhi aperti e le bombe non presero il nostro palazzo.

Le ragazze rimasero in posizione fetale completamente traumatizzate quanto pietrificate. Dopo l'allontanarsi dell'aereo, soltanto lei, Oksana, uscì da sotto il letto. Camminò lentamente a piedi scalzi verso una delle due finestre che si affacciavano sull'esterno. Fiamme e grida di dolore sostituirono il rombare mortale di quell'aereo ormai lontano come lontane erano le lacrime. Troppe lacrime versate in quei mesi per averne ancora. Troppe gocce sofferenti erano scese da quel viso pallido per bagnarlo ancora.

Poi di nuovo quel vento.

Oksana rimase a guardare assente quel truculento spettacolo davanti agli occhi per alcuni secondi.

«Venite a vedere..

Dall'interno di quella stanza non giunse risposta. Oksana restò quindi sola con i suoi fantasmi a fissare quell'orrore.

Poi un rumore: i passi di una donna.

Una donna spettinata si affacciò bruscamente con la paura in corpo, ero io. Mi guardai intorno preoccupata e visibilmente agitata per la sorte delle mie figlie.

Vedendomi, è solo allora che Irina, Svetlana e Raisa decisero di uscire allo scoperto, con quest'ultima, la mia vera figlia, che mi corse incontro per abbracciarmi.

Nella stretta di quell'abbraccio solo successivamente mi si resi conto che una di loro, Oksana, se ne stava silenziosamente affacciata alla finestra. I miei occhi si sgranarono colmi di tensione e paura. Lasciai scivolare via le braccia dal corpo minuto di mia figlia per avvicinarmi adagio verso di lei. Sapevo bene che Oksana era la più fragile delle quattro, che era la più sofferente a questa realtà, colei che faticava a reagire davanti a tutto quello schifo.

«Oksana è pericoloso affacciarsi fuori dalla finestra, rientra per favore..

La mia voce apparve mite e calma anche se in realtà avrei voluto urlarle tutto il mio disappunto. Per non incidere ulteriormente sullo stato emotivo della giovane preferii usare toni meno aggressivi, sapevo bene come comportarmi con quella ragazza così fragile visto che ci vivevo insieme da molto tempo ormai e la conoscevo da molto prima, essendo la figlia di una mia cara amica.

Le altre tre ragazze osservarono la scena in religioso silenzio. Stavano a pochi passi dietro le mie spalle, inconsapevoli nel sapere cosa i loro occhi ed i miei, sarebbero andati incontro.

Quindici passi mi separavano da Oksana, quindici maledetti passi.

La giovane senza voltarsi e rispondere, salì con i piedi sul bordo della finestra e le ragazze iniziarono ad urlare.

Raisa si coprì gli occhi con le mani mentre Oksana, allargando le braccia, si fece accarezzare dal vento che le scompigliò i suoi lunghi capelli biondi.

Non trovai il fiato, e le parole erano lontane.

Rimasi sconvolta, con gli occhi e le labbra spalancate. Non riuscii nemmeno a fare un passo in avanti, le gambe erano pesanti e tremavano come il rumore del mio cuore che batteva con forza.

Quella scena mi fece più male del male che vivevamo giorno dopo giorno e solo nel ricordarlo mi provoca tremendi sensi di colpa, colpa di non esser riuscita ad intervenire, a provarci, a non aver fatto abbastanza. Infine una lacrima, l'ultima.

Scese dagli occhi di Oksana mentre voltando il capo lanciò un timido sorriso nella nostra direzione, l'ultimo, poi il nulla. Il vuoto.

Nel vuoto come quel lancio.

Come quel tuffo verso un futuro diverso.

Un futuro che nell'irrazionalità delle scelte si chiama morte.


Oksana fu la prima delle quattro ad andarsene. Lei fu la prima a scegliere il suo destino.

Quella fragile ragazza, fu la prima a non volerne uno.

Le sirene di GorodtsvetovDove le storie prendono vita. Scoprilo ora