Rimanemmo in tre.
Due sirene erano andate a largo dove nessun uomo avrebbe mai più potuto vederle o farle del male, distanti anche da quel dolore che le accecava e che finì per investire me, Raisa e Svetlana.
I giorni da allora passarono più spenti del solito. Ogni giorno sembrava uguale a quello passato.
L'esercito nemico era ormai sempre più vicino. La guerra sarebbe stata persa e più le notizie confuse circolavano nell'aria, più ne restavamo distanti. Anziché preoccuparcene rimanevamo totalmente distaccate, lontane.
La vera guerra era dentro casa nostra. La disperazione per noi era il nemico più grande, quel nemico che ci portò via Oksana ed irina nel giro di soli tre mesi.
Svetlana girava per casa come un fantasma, mentre Raisa passava intere giornate a dormire. (Forse sognava quel mondo che tanto avrebbe desiderato). Io, invece, non facevo altro che controllarle a vista d'occhio. La mia vita ormai era quella di fare attenzione a che anche le ultime due ragazze sarebbero sopravvissute a loro stesse.
Confuse e incoscienti non parlavano più di niente.
Io cercavo di entrare con i miei discorsi per distrarle, ma era come se il loro sguardo fosse altrove, perso in una sofferenza indescrivibile.
Svetlana smise di mangiare, divenne magra quanto me.
Non pettinava più quei suoi lunghi capelli di cui andava fiera, non se ne curava più ed i suoi nodi si potevano ammirare anche a debita distanza.
Non indossava nemmeno più i vestiti puliti che in qualche modo riuscivo a rimediare. Si vestiva solo di una sottana bianca che si stava ingrigendo.
Cercai con tutte le mie forze d'instaurare un dialogo con lei per capire cosa avesse, per farle forza, ma come potevo essere efficiente se io stessa mi sentivo esattamente come loro? Come potevo essere credibile se neppure io trovavo uno stimolo nel non sentirmi così vuota, così nulla.
A differenza sua io però avevo ancora mia figlia, l'unica spinta che riusciva a ricordarmi di quanto fosse stato importante mantenermi sana di testa e di lottare con le unghie per non sprofondare giù nell'irreparabile.
Una domenica, la signora Bazhena, (moglie del portiere), salì su da noi con una pentola colma di spaghetti al sugo.
Non so bene come fosse riuscita a reperirli e cucinarli, ma so soltanto che ci fu gioia grande. Svetlana ritrovò per un attimo il sorriso e la fame, mentre Raisa, mi guardava con quei suoi grandi occhioni blu completamente lucidi dall'emozione.
Bastò un piatto di pasta a riportare seppur per poco, la gioia in quella casa.
Il portiere ci raggiunse e pranzammo tutti insieme. Per l'occasione Svetlana indossò un abito pulito e mi chiese un aiuto per pettinarle quei bellissimi capelli.
Eravamo nuovamente felici, ma per quanto sarebbe durato? All'epoca non potevo di certo saperlo.
«Mamma ti ricordi quei natali quando stavamo tutti a tavola insieme al papà e agli zii?»
Quella semplice domanda riuscì perfino a commuovere il signor Sobolev.
Per quanto apparentemente sciocca, nascondeva un desiderio lontano di tutti e ci raggiunse in pieno petto.
Quanto erano lontani quei ricordi di lei e suo padre che giocavano felici a nemmeno un chilometro da qui. Chilometro che non possiamo nemmeno più raggiungere perchè sarebbe troppo pericoloso.
Schiave dei ricordi e di noi stesse, raramente parlavamo di suo padre, di mio marito.
A volte la sofferenza tace la bocca. Meglio non fingere troppo di esser felici quando la felicità è lontana ricordi fa. Si finirebbe per cadere nell'oblio che conduce solo alla follia. Alla tristezza.
Finimmo quel pasto accompagnato da del buon vino rosso che il signor Sobolev portò con sé. Non provavo risentimento nei suoi confronti, anche se collaborava con il nemico.
Non riuscii mai a provare odio per un uomo che si vendette pur di salvare la sua famiglia, pur di salvare me, mia figlia e Svetlana. Per lui provavo comunque un grande rispetto e non facevo mai domande sul come riusciva a procurarsi quel cibo e quel buon vino italiano. Era tutto ciò che avevamo e non volevamo perderlo, non potevamo permetterci di perderlo.
In quel periodo, l'elettricità era ormai saltata così come l'acqua iniziò a scarseggiare.
Quel caldo afoso non ci diede possibilità di sperare nella pioggia e le bombe iniziarono a fischiare sempre più vicine e con più frequenza. Sapevo che presto ci avrebbero raggiunte le mani lorde del nemico. Era inevitabile.
Da quel momento la mia unica preoccupazione fu quella di pormi domande terribili la quale mi dannavo per non conoscerne le risposte.
Cosa sarebbe accaduto a mia figlia e a Svetlana?
A cosa sarebbero andate incontro una volta catturate dal nemico?
Piangevo di nascosto pur di non regalare loro altro disagio, più di quanto già non le circolasse. Dopo le due tragedie avvenute non potevo fare altro che mentire a me stessa e dispensare sorrisi finti come le migliaia di parole speranzose che cucivo per loro.
«Mamma, lo sappiamo che non ci aspetta nulla di buono, basta mentirci.»
Questo un giorno mi disse mia figlia. Detto da una persona così importante fece ancora più male.
Non me lo disse offesa oppure arrabbiata, tutt'altro, sembrava avesse perfettamente capito quale parte recitavo. Tanto più che subito dopo mi abbracciò così forte da farmi male.
Spesso Raisa e Svetlana parlavano lontane da me.
Non so bene di cosa, ma so per certo che non mi sarebbe piaciuto. Non capivo se parlavano di Oksana e di Irina o se si confrontassero tra di loro. L'unica certezza che avevo era la tristezza che si affacciava sui loro volti stanchi e sciupati.
Avevo la paura continua di dover assistere ad un'altra tragedia, non dormivo neanche più la notte. Il mio volto scavato venne accompagnato da occhiaie scure.
Avevo paura di continuare a sbagliare e di non esser all'altezza di quel compito che il destino mi aveva assegnato.
Avevo una paura attanagliante di svegliarmi un giorno e di ritrovarmi da sola con i miei rimorsi e le mie grida...
La mia paura.
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Le sirene di Gorodtsvetov
Fiction généraleGorodtsvetov (Ucrotia) Anno 2015 Una madre consumata dal dolore, rievoca a quindici anni di distanza la vicenda di sua figlia e delle sue amiche, avvolte in un'aura di mistero che la tragica fine comune ha fissato per sempre. Nella memoria di quest...