CAPITOLO 2 - Ludovica

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Ludovica

Sono le tre del pomeriggio quando saliamo in macchina, mentre la destinazione mi è ancora sconosciuta. Lo guardo indossare gli occhiali da sole, prima di inserire la marcia e uscire dal vialetto di casa. È una piccola villetta su due piani, dai muri color carta da zucchero. Il giardino presenta una piccola piscina, e il recinto è un susseguirsi di pietre e siepi.

Riporto lo sguardo su di lui. È grande, sicuro di sé, un uomo che sa esattamente cosa vuole dalla vita. Tutto l'opposto di me.
Prende la strada che costeggia il mare, allontanandosi dal piccolo paesino per attraversarne subito un altro. Mi sono già abituata alla sua terra, al calore che emana, alle usanze che ne derivano. C'è odore di fritto in ogni angolo, la gente si saluta per la via, urlando a gran voce parole che spesso non comprendo. All'inizio ti disorienta, ma poi ti abitui. Ti senti parte di un tutto, un senso di appartenenza che va al di là dell'essere semplici compaesani: è essere fratelli, amici, anche se ci si incontra per la prima volta.

Il viaggio non dura molto, parcheggiamo lungo la costa, in un luogo dove le case hanno lasciato il passo alle scogliere. Davanti a noi si erge una fornace costruita con grossi massi bianchi, probabilmente abbandonata, circondata da erba alta e dal rumore delle onde.
Tutto il resto è silenzio, tutto il resto tace.
Marco mi prende per mano <Dove siamo?> domando incuriosita. Il suo sorriso precede la sua risposta <Alla fornace bruciata. È un posto caratteristico di queste zone, ci hanno girato anche alcune scene di Montalbano> mi guardo attorno, non avendo visto quella serie televisiva, lasciandomi catturare dalle sensazioni che questo posto emana.
<La gente di solito vieni qui per scattare foto artistiche e caricarle su Instagram> continua <oppure per tuffarsi dalla scogliera.>
Ci arrampichiamo lungo il sentiero di sassi che costeggia il mare. È una giornata nuvolosa, e il mare è irrequieto. Si infrange contro la terra quasi come se volesse farle male, o farsi del male. Osservo la schiuma bianca che si crea e si distrugge ad ogni onda, desiderando per un attimo di tuffarmi davvero.
Sento i suoi occhi su di me e quando mi giro nella sua direzione noto che anche lui sembra essere rapito da qualcosa. <È tutto ok?> annuisce, estraendo il cellulare dalla tasca e scattando qualche foto. Faccio lo stesso, avvicinandomi di più al bordo.
Una volta abbandonata la costa ci spostiamo verso quei resti silenziosi, camminando mano nella mano. C'è sicuramente qualcosa che lo tormenta, ormai lo so. Decido di rimandare la mia indagine a quando saremo in macchina, o a casa, e comincio a ispezionare il luogo.
Mi arrampico su diversi pezzi di calcinaccio bianco, fino a notare una volta di pietre rimasta intatta, attraverso la quale si scorge il porto di una cittadina qua vicina.
Intrappolo anche questo dettaglio, immaginandomi una storia dietro, di quelle che non si possono raccontare, che hanno un finale strano, diverso, malinconico.
Mi accorgo di non averlo più alle spalle, così riprendo la strada iniziale e lo trovo seduto sul cofano della macchina, a fissare chissà quale punto lontano.
<Mi piace qua> dico, lasciando che sia lui a farsi avanti, se vorrà. Allunga il braccio lasciandomi entrare nel suo territorio, avvolgendomi come le carta da regalo dei pacchetti natalizi.
<Sono contento, Saetta> sospira, baciandomi sulla fronte.
<Non ti manca vivere qua? Voglio dire, Milano è sicuramente tutta un'altra cosa, hai i tuoi amici, le tue serate, l'università. Ma qui è come essere fuori dal mondo. Non importa cosa o chi sei, non importa da dove vieni, ti sentirai sempre e comunque a casa. Anche se non lo è più; o non lo è mai stata.> riprendo fiato e, anche se non lo sto guardando, posso giurare che sta sorridendo.
Fa sempre così ogni volta che esterno ciò che penso.
<Sei qui solo da una settimana, senza aver mai visto la Sicilia, e hai descritto alla perfezione ciò che altri non riuscirebbero a fare neanche dopo una vita passata in questa terra.>
Le lacrime mi pizzicano gli occhi, e so che questa volta è diverso, questa volta sono felice. Appoggio la testa sul suo petto senza aggiungere altro, perché a volte le parole non servono, neanche ad una come me.
<Dovresti scrivere un libro> Soffoco una risata. Che idea stupida.
La sua faccia è seria, però, e continua a scrutarmi <Non sto scherzando Ludo, dico davvero>
<Ma non saprei neanche da dove partire> replico cercando di dissuaderlo dalla sua folle idea.
<E qual è il problema? Tu scrivi, fallo per te, come hai sempre fatto. Prenderà forma man mano, sarà più facile di quanto credi> è stranamente sicuro, e non mi va di ribattere ancora. Annuisco, lasciando che quel pensiero aleggi dentro di me come le foglie d'autunno che cadono piano piano.

Ritorniamo alla macchina riprendendo la strada di casa, fermandoci prima a comprare un pacchetto di sigarette.
<Così le abbiamo per stasera> sorrido <Mica ti devi giustificare eh> lo guardo divertita, consapevole che non abbiamo mai affrontato la questione fumo.
Non mi da fastidio, dal momento che non ho mai fumato, ma credo che lui si ponga comunque il problema.
Quando arriviamo sono quasi le sei, e la madre ci comunica che avremo giusto il tempo di farci una doccia e cambiarci, prima di andare a casa di Matte.
Salgo in camera ed estraggo dalla valigia un paio di vestiti, uno color petrolio, l'altro nero e rosso.
<Vuoi fartela prima tu la doccia?> domanda lui alle mie spalle <No, tranquillo. Devo ancora decidere cosa mettere, vai pure per primo> mi avvicino in punta di piedi, facendogli passare le braccia intorno al collo
<Sicuro che va tutto bene?> sussurro quando ormai le nostre labbra non si possono più distinguere <Mmm> ricambia avvinghiandosi alla mia vita
<Andrebbe meglio se venissi con me in bagno> aggiunge lasciando roteare la sua lingua con la mia. Sorrido e per un attimo prendo in considerazione l'idea, poi ripenso ai suoi. Il bagno è in corridoio, e non mi va di lasciar intendere quello che potrebbe realmente succedere.
<Lo sai che non si può..> faccio per allontanarmi ma lui mi stringe più forte <Davvero mi stai rifiutando?> la sua voce è una supplica, ed è consapevole che faccio fatica a resistergli, ma non devo dargliela vinta
<Ti aspetto qui> un lampo attraversa i suoi occhi <è una promessa, o una minaccia?>
Sorrido, spingendolo fuori dalla stanza <A te la scelta>
Seguo il suo sguardo implorante e voglioso scomparire dietro la porta bianca del bagno, e per un attimo ripenso che, forse, il silenzio di oggi non era poi così importante.

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