Convergenze

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Domenica 15 novembre 2015.

Daniele non aveva voluto chiedere un altro permesso, ma si era lasciato convincere da Giacomo nel viaggio di ritorno da Cecina. Anche se lui era strano, se i suoi ragionamenti facevano acqua, se continuava a pensare che la cosa migliore sarebbe stata andare alla polizia, incontrare quella donna, Patrizia, lo aveva convinto che forse aveva senso tentare di avvisare tutti. Lei aveva ammesso di essere stata presa, quindi un fondamento in quello che Giacomo diceva c'era. Loro due, Patrizia, i due, anzi i tre a cui avevano ucciso i figli, già loro erano sei. Sei bambini rapiti dalla stessa persona, o comunque negli stessi anni, nella stessa maniera e metà erano stati colpiti, se si poteva dire così. Quindi aveva accettato di vederne un altro, questa volta a Roma. Guidava ancora lui, di Giacomo continuava a non fidarsi, anche se cominciava ad abituarsi alla sua perenne esaltazione, a quel tono eccitato da gita scolastica. Qualche volta, mentre parlavano di un argomento qualunque, improvvisamente ricordava un dettaglio del suo rapimento, la ruota panoramica, il formaggio fritto e filante, la fila di pupazzi morbidi e colorati e lui che correva avanti e indietro sfiorandoli tutti con la mano. Erano i momenti in cui a Daniele faceva pena e paura insieme, perché dietro agli occhiali gli occhi acquosi di Giacomo erano fissi, a contemplare qualcosa che non c'era. Roma era un casino, il navigatore li portava dove voleva lui, rischiavano di perdere l'intera giornata senza rintracciare quell'uomo, Emiliano Bellini, più giovane di loro di dieci anni, scomparso nell'agosto del 1997, uno degli ultimi, che aveva fatto un rumore pazzesco rispetto a loro due. Trovarono la casa verso le tre del pomeriggio, una palazzina uguale a tante altre che si affacciava su una strada affastellata di auto parcheggiate. Suonarono due volte.

«Chi è?» una voce tenue, stentata.

«Signor Bellini? Siamo Daniele Burati e Giacomo Maccaferri, possiamo parlarle?»

Silenzio.

«E' una cosa importante. Non vogliamo salire, può scendere lei?» si intromise Giacomo.

Silenzio.

«Ma chi siete?» la voce tremava.

«Siamo

-com'era difficile-

due persone che come lei sono state rapite da bambini. Noi... Senta si può affacciare? Ci vede, siamo sul marciapiede, non abbiamo niente, non siamo pericolosi, vogliamo solo parlare.»

Silenzio. Poi la cornetta riappesa. Giacomo e Daniele fecero due passi indietro e guardarono in alto, verso le finestre. Non si muoveva niente.

«Adesso ci fotografa anche lui.» commentò Giacomo.

Invece sentirono il portone scattare e questo ragazzo esile, stempiato, molto pallido, restare a metà tra la porta e lo stipite, pronto a ritirarsi se avessero avuto l'atteggiamento sbagliato. Daniele allargò le braccia per dimostrare che non aveva nulla di minaccioso.

«Sei Emiliano?» il tu gli venne spontaneo «Guarda, davvero, parliamo qui in mezzo alla strada. Abbiamo gli articoli che ci riguardano, come prova che siamo noi. E i documenti, se vuoi controllare ti diamo tutto in mano ed esci solo quando...»

«Hanno chiamato anche voi?»

I due si guardarono.

«No, noi non l'abbiamo chiamata.»

«Ma vi hanno chiamati?»

«Chi?»

«A me mi hanno chiamato.»

*

«Perché una donna?»

«Sarà la moglie, magari ha una moglie.»

Non ti faccio nienteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora