L'alveare di Luisella

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Il mondo era pallido, sfuocato, di un unico colore indefinibile. Le voci erano rimbombi sordi che andavano e venivano insieme alla luce. Olga aveva continuato a urlare, ininterrottamente, nel sonno come nella veglia, quando il suo corpo si arrendeva ai farmaci la mente sprofondava in un buio carnoso e profondo che si riempiva dell'eco di quel grido. Era un suono che andava al di là del lamento, oltre la lacerazione della morte di una figlia, era il male di vivere di cui tutti parlavano ma che pochi conoscevano. Sapersi ancora lì, a quel mondo, costretta a inspirare ed espirare, a sentir battere un muscolo ancora sano che faceva solo il proprio dovere era insopportabile, un bagno perenne nella lava, ecco il perché delle immagini infernali. Urlava dentro, urlava fuori e le infermiere accorrevano e commentavano "povera donna", poi chiamavano qualcuno che le piantava la pila in un occhio e scuotendo la testa prescriveva un nuovo dosaggio. Era andata avanti così per dieci giorni, poi aveva smesso di andare a fondo e si era ritrovata emersa a fissare il soffitto, Pietro già in prigione, Chiara seppellita, suo padre in un ospedale dall'altra parte della città per un infarto da cui non si sarebbe più ripreso, i suoceri scomparsi per la vergogna. Intorno a lei un vuoto fatto di tantissime persone che non sarebbero rimaste, perché la morte di un figlio, soprattutto se bambino, mette a disagio, imbarazza, non sai cosa dire, prosciuga gli argomenti e allora perché crearsi un problema quando non è tuo? Tra loro un viso che andava e veniva a ondate, si avvicinava e poi rifuggiva tutto quel dolore, diceva cose insensate, forse inappropriate, buttava fuori due lacrime di circostanza e si ritraeva. Non voleva essere lì, era chiaro come il sole, ma Olga sapeva come si sentiva, gliel'aveva detto nella sua vita precedente: «Ora non posso più scappare, l'ho scampata e non posso più scappare.». La falce era passata a un soffio dal collo di Corinna, e poi era andata oltre, lasciandole la sua bambina e anche una buona dose di sanità mentale. Le si era però rovesciato addosso tutto il biasimo della società, la madre superficiale che andava in giro mentre la figlia veniva rapita lungo le strade trafficate, sola, senza un accompagnatore, le chiavi di casa in tasca, otto anni che pesavano come ottanta. Aveva avuto lavate di capo da tutti, le peggiori da quel poliziotto baffuto che aveva finito col detestare, e i servizi sociali l'avevano tenuta d'occhio. Quando Michela era tornata a casa dopo essere stata con l'ex-marito finché lei non si trovava un lavoro e si dava una regolata, la prima decisione che aveva preso era che la sua bambina non avrebbe più giocato con Chiara Parrinello, non finché suo padre era nei dintorni. Alle bambine non l'avevano detto, ma lei e Olga si erano ben chiarite un pomeriggio in cortile. «Non posso correre il rischio di perderla di nuovo.», aveva bisbigliato per non essere sentita «Tuo marito è un pericolo anche per voi, Olga, com'è che non lo capisci?». Ma lei lo capiva, lo capiva eccome, solo che c'era un'intera montagna da spostare, lei non aveva soldi, parenti affidabili, un posto dove andare, e alla polizia non voleva rivolgersi, Pietro non aveva fatto nulla, non si possono denunciare le sensazioni.

"Ma ha detto che ci ammazzerà."

Le cose dette non valgono, aveva concluso. Erano passate le settimane e la situazione era migliorata, Chiara stava sempre chiusa in casa e lei anche, cosa che tranquillizzava Pietro, sempre a girare loro intorno come uno squalo, a controllare cosa facessero e come e perché. A Olga mancava l'ossigeno, ma non aveva margini per riprenderselo, che il solo momento di libera uscita era al mattino, con Chiara a scuola, e sempre, perennemente, veniva anche lui ovunque andasse. Continuava ad aiutare Corinna in casa, lei le dava una cifra simbolica che rendeva la cosa appena tollerabile agli occhi di Pietro, ma sottobanco le allungava qualcosa di più, continuando a sobillarla. «Prenditi una macchina, metti via qualcosa, fai la cresta su tutto e alla prima occasione prendi Chiara e scappa! So io da chi mandarti, il mio ex-marito ci deve come minimo un favore, lui conosce gente fuori dall'Italia, vi sistema lui, vedrai.» e Olga ascoltava ma non voleva sentire, la sola idea di una fuga finita male le dava un senso di vuoto e vertigine. Però aveva messo via qualcosa, poco, non abbastanza, un inizio. E sul giornale aveva trovato l'annuncio per una Uno Van con tanti chilometri che costava davvero poco. Aveva telefonato di nascosto per sapere se fosse possibile vederla, vederla e basta, non significava niente vederla, giusto? Era nel cortile di un meccanico a venti minuti da lì, poteva andare a dare un'occhiata quando voleva. Il giorno in cui Pietro le aveva annunciato dell'opportunità di lavoro Olga aveva pensato soltanto a quello, ad approfittare della sua assenza per andare a vedere la macchina. Così gli aveva preparato i vestiti, rifilato i capelli dietro che si vedessero bene fuori dal colletto, augurato buona fortuna insieme a Chiara, contenta nel vedere il papà così elegante. E quando si era allontanato e l'auto era scomparsa dietro l'angolo aveva infilato le scarpe buone, si era data una sistemata per avere l'aria di una persona seria e aveva accompagnato Chiara in cortile.

Non ti faccio nienteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora