Il macello

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Pesante.

Il portellone del magazzino del Ciaffo era pesante.

I piedi finché tornava alla macchina erano pesanti.

Il suo corpo piombato sul sedile era pesante.

Aveva fatto fatica a girare la chiavetta, ad ascoltare il suono della marmitta finché era ancora amplificato dal posto chiuso, TAC TAC TAC TAC TAC, a coordinare il piede, la frizione, la mano, il cambio, sinistra, dritto, ingrana la prima, come quel giorno in via Provinciale, quando aveva deciso di smettere. Si era strappato fuori da quel posto caldo, vicino a casa, alla tana sicura nella quale si rifugiava, le braccia della Nives. L'aveva guardata entrare, girare per tutte le stanze, uscire e risalire sull'auto, che gli pareva quella del Natalino. Era sparita dietro la curva, un'ombra dietro a un finestrino, e quello era stato il loro indegno addio. Com'era difficile prendere decisioni senza di lei, com'era difficile mantenerle. Aveva fatto i primi chilometri sperando in qualunque cosa il destino avesse voluto mettere sul suo cammino, polizia, ambulanze, emissari della sua donna meravigliosa che lo costringessero a tornare a casa, ma non era venuto nessuno. La telefonata era arrivata finché stava immobile sulla sua poltrona, un gatto a ronfare tra i piedi. La voce della donna non aveva tradito emozioni.

«Ciao, Vincenzo, scusa se ci ho messo molto, ma immaginerai che il bambino mi abbia tenuta impegnata. Prima che tu me lo chieda: è ancora vivo. Se vuoi che continui ad esserlo sai già che devi venire da me. E devi venire da solo, niente polizia, niente complici, niente di niente. Io ti guarderò da lontano. Se non sarai solo lo ammazzo. Se vedo qualcuno che ti segue lo ammazzo. Se non fai quello che ti dirò quando te lo dirò lo ammazzo. Siamo d'accordo?»

E lui era partito, dopo che si era fatto ripetere tre volte la strada, come si chiamava il posto, come avrebbe potuto trovarlo se si fosse perso. Lei era stata paziente, quasi materna. Prima di uscire di casa Vincenzo aveva avuto la tentazione di scrivere due righe. Poi invece si era solo preso l'ultima paperella superstite, avrebbe fatto il viaggio insieme a lui dopo anni chiusa nel ripostiglio. Una fine avventurosa per un innocuo giocattolo da bagno. Ci aveva messo tanto, più del previsto. Si era perso innumerevoli volte, anche su strade che conosceva benissimo, non si raccapezzava, non capiva in che zona di Perugia si trovasse e come raggiungere quella industriale, là dove c'era il vecchio macello. Ne aveva sentito parlare, come tutti, per via di quella gente che era andata a viverci, e poi gli sgomberi, le autorità, i vecchi del paese che prima o dopo ci avevano portato una bestia da macellare e che ne parlavano come se fosse roba loro. Meglio che marcisse inutilizzato piuttosto che ci stesse gente foresta. E Vincenzo, che era foresto più di molti altri, restava muto in disparte ad aspettare il momento giusto per andarsene. Ora il macello era roba sua più di quanto non sarebbe mai stato per tutti loro. Quando finalmente aveva trovato le indicazioni giuste e imboccato la via sterrata, si era accomiatato dal mondo, sapendo di andare incontro a una fine molto dolorosa. Era un ingenuo ma era stato abbastanza tempo al mondo da sapere come andassero le cose. Chiese scusa ai bambini morti, chiese scusa a Giacomo e Mariangela, chiese scusa alla Nives per averla lasciata con l'inganno e infine chiese scusa a tutte le anime che aveva creduto di salvare, condannandole a una paura cupa che li avrebbe accompagnati per sempre, come un'ombra. Arrivò al segnale, un vecchio cartello della guardia forestale, e si fermò. Respirava male e aveva paura, la mandibola tremava, le dita erano fredde e sudate. Fece la sua telefonata. Lei non rispose, spense, riprovò, niente. Passarono dieci minuti e lo schermo si illuminò.

«Ho controllato che avessi fatto come ti avevo detto. Bravo. Ora vieni avanti fino al macello, piano. Io ti vedrò cinquecento metri prima, da quel momento tutto quello che farai sarà direttamente collegato alla testa di Gabriele. Il cancello sarà aperto, tu entra, fermati subito, scendi e chiudilo con la catena e il lucchetto che vedrai lì vicino, per terra. Poi resta a sinistra, costeggia tutte le cataste con l'auto, tieniti lontano dal telo verde a terra. Fermati davanti all'ingresso e resta a sinistra. Entra da lì. Ci trovi in fondo.»

Non ti faccio nienteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora