Gli ultimi passi

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Non era stata una strada troppo lunga, avevano capito che Vincenzo si stava muovendo verso Perugia. Daniele guidava controllando il telefono ogni due minuti, Bianca teneva lo smartphone della Nives e aggiornava di continuo la posizione della sua auto, la Nives, appollaiata accanto al corpo di Pietro Parrinello ricaricava la doppietta, come se fosse una cosa naturale. Si tenevano a un chilometro o due di distanza, se lui rallentava o si fermava loro accostavano e aspettavano.

«Non sa la strada.» aveva detto la Nives a mezza voce. «Non va mai da nessuna parte, non si sa orientare.» e poi, dopo una lunga pausa «Chissà se la chiama per avere indicazioni.».

Poi Vincenzo ripartiva, prendeva tangenziali da cui usciva poco dopo, entrava in città, ritornava sulle rampe, evidentemente in difficoltà. La Nives se lo immaginava sudato, curvo sul volante, la fronte appoggiata sul dorso delle mani, a cercare di non piangere e non andare nel pallone, la piantina della città stesa sul sedile del passeggero.

«Se non la trova il bambino muore.» aveva detto Daniele con voce incolore.

«Se non la trova non la troviamo nemmeno noi.» aveva concluso la Nives.

Più che a una squadra in missione assomigliavano a un baraccone di disperati, un uomo e due donne in un'utilitaria insieme a un cadavere. Ci sarebbe stato da ridere, ma non rideva nessuno. Erano tutto quel che c'era. A nessuno venne in mente di chiamare la polizia, la legge di Giacomo valeva ancora, il tempo da perdere non lo avevano, loro come anche Gabriele, sempre che fosse ancora vivo. Ci misero circa un'ora, girarono intorno a tutta Perugia, poi tornarono indietro e infine presero una strada che portava fuori dalla zona industriale. Vincenzo cominciò a rallentare sempre più fino a fermarsi. Era nel bel mezzo del nulla, e loro, due chilometri indietro, non erano messi meglio. Passarono cinque minuti. Poi dieci. Daniele aveva mandato due sms e la Nives non aveva chiesto niente, ormai poteva dettare solo regole base, in malora i dettagli. L'uomo era uscito, passando davanti all'auto, leggendo la targa, ed era tornato indietro digitando.

«Dov'è?» gli aveva chiesto Bianca.

«Non lo so.» le aveva risposto.

Sullo schermo dello smartphone il puntino era sempre fermo.

«Andiamo?» Daniele era irrequieto.

«No.»

Lui si era voltato a guardare la donna che da quando lo aveva incontrato non faceva che dargli ordini.

«Ma se è sceso e ha lasciato il telefono in macchina?»

«Non lo lascia in macchina, ha paura di perderlo.»

«Ma perderlo cosa, che rischia di morire!»

Lei lo aveva soppesato con lo sguardo, chiedendosi cose che era meglio non dire a voce alta.

«Quelli come Vincenzo stanno in piedi grazie alle abitudini. Sono fatti di abitudini, levagli le abitudini e crollano miseramente. Lui non vuole crollare adesso, non può, perché c'è di mezzo quel bambino. Quindi farà di tutto per restare in piedi. E questo comporta che uscirà dall'auto con le chiavi in tasca, il portafogli e il telefono. Farà così perché fa SEMPRE così. Quindi aspettiamo.»

Dopo cinque minuti il puntino ricominciò a muoversi molto lentamente, abbandonando la strada principale, e loro dietro. La Nives aveva fatto cenno a Bianca di restituirle lo smartphone e ingrandiva la mappa aggrottando la fronte sempre più.

«Io lo so dove va.»

«Ma lì avanti non c'è niente.» aveva obiettato Bianca.

«Dici così perché non sei vecchia.» poi, rivolta a Daniele «Tieniti sulla destra, al primo sentiero buttati dentro. Ci andiamo a piedi.».

Non ti faccio nienteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora