Two.

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Tre anni dopo.

«Siamo qui riuniti oggi, per ricordare il nostro caro amico, figlio, fratello e compagno di vita Rickard, nel terzo anniversario della sua scomparsa.»

Queste furono le esatte parole pronunciate dal prete quel giorno, semplici parole a cui Federico non fece minimamente caso, le lascio sfumare nell'aria verso i grossi nuvoloni che coprivano il cielo, e con lo sguardo perso verso il basso, lasciò correre liberi i suoi pensieri, che quasi rischiavano di annegarlo.

Pensava, forse anche troppo.

Pensava alle parole pronunciate dal suo amico quel giorno, parole che gli rimasero attaccate dentro quasi come una calamita, parole che cercavano anche di notte, nei suoi incubi più profondi, da cui si risvegliava a fatica, e quando lo faceva, quasi gli sembrava realtà, ma quella, era molto peggio.
A volte gli sembrava quasi di vederlo, gli sembrava di sentire la sua voce, ma gli bastava chiudere gli occhi per vederlo scomparire.
Una lacrima rigò la sua guancia, scendendo lungo il suo collo per poi scomparire nel colletto della camicia bianca che indossava quel giorno.
Continuava ad essere perso nei suoi pensieri, i rumori giungevano alle sue orecchie bassi, ovattati.
Non lo aveva dimenticato, come non aveva dimenticato quel giorno.
Al suo ritorno dalla missione, non c'era nessuno ad aspettarlo.

Non c'erano i suoi genitori, morti un anno prima, non c'era una donna, ma solo un letto freddo e una casa vuota.

Il primo anno fu terribile, se non il peggiore della sua vita: le immagini dei corpi martoriati dei suoi compagni lo perseguitavano ovunque, tanto che più di una volta rimase la lampada vicino al suo letto accesa, ma questo non bastò a placare gli incubi.
Il secondo anno andò meglio, dopo alcune sedute da uno psicoterapeuta e più di un sonnifero ingerito, fino a quando, il terzo anno poteva considerarsi guarito, o almeno in parte.

Alzò lo sguardo come non aveva fatto dall'inizio della funzione, ma, a differenza delle altre persone, lo puntò su un punto indefinito, dove ciò che vide gli spezzò il respiro in gola: Richard era proprio lì, di fronte a lui.
Non indossava, come nelle altre apparizioni la sua divisa da marine e il berretto, ma bensì, era vestito come il giorno in cui, pochi giorni prima di partire, erano andati a un lago ben conosciuto da entrambi per passare una giornata da soli.
Gli occhi gli si riempirono per l'ennesima volta di lacrime, e quando li socchiuse appena per liberarne una, il suo amico, o meglio, il suo amico scomparve nel nulla.

Fu a quel punto che Federico scappò.

Scappò via, lontano da tutti, rifugiandosi sotto l'ombra di un grande salice dove pianse tutte le sue lacrime.

La pioggia iniziò a scendere prima lentamente, per poi intensificarsi, bagnando ogni angolo, ogni centimetro di quella città, così come quel ragazzo steso a terra ormai da ore.
Federico aveva ormai perso la ricognizione del tempo, così come le lacrime.
Le aveva ormai versate tutte, e ora, al posto in cui una volta c'era il suo cuore, sentiva solo un grande vuoto.
Era steso a terra, ancora ai piedi di quel grande albero, le braccia dritte lungo i fianchi e gli occhi vuoti, contornati da occhiaie profonde, erano rivolti verso il cielo, dove l'acqua continuava a cadere e gli appiccicava i capelli alla fronte, così come i vestiti ormai zuppi sulla sua pelle.

Chiuse gli occhi per quello che gli sembrò un secondo, e ciò che vide, gli diede la forza di alzarsi e correre fino a casa sua, per fare ciò che in tre anni non ebbe la fortuna di fare.

Correndo, percorse tutti gli isolati che separavano casa sua dal cimitero.
Corse, senza mai fermarsi, anche quando le gambe iniziarono a bruciargli e sembravano sul punto di staccarsi, anzi, corse più forte, fino a quando, finalmente, arrivò a casa sua.
Una volta dentro, chiuse la porta dietro di sé e senza minimamente preoccuparsi di sostituire i vestiti bagnati, si diresse fino in camera sua, dove era posizionato il computer, ciò che gli serviva.

Prese posto sulla sedia e lo accese, ma quando davanti a lui si ritrovò una pagina bianca, si ritrovò in un immensa difficoltà.
Non avendo la minima idea su cosa fare, decise di scrivere quel nome che per tre anni non aveva mai dimenticato.
Lentamente, digitò la parola "Mascolo" e una lunga lista di risultati si fece strada davanti ai suoi occhi.
Alcuni erano di ristoranti, uno era di una famosa agenzia immobiliare un altro addirittura di una strada che portava quel nome, ma anche osservandoli attentamente più di una volta, si accorse che di quel ragazzo non c'era traccia.

Sospirando, si lasciò andare sullo schienale della sedia, sicuro più che mai che non sarebbe riuscito a trovarlo, quando il suo sguardo ricadde su qualcosa in particolare.

"Mascolo Carolina Ranch-Maneggio"

Era l'ultimo risultato da controllare, e sicuro più che mai che si sarebbe rivelato l'ennesimo tentativo fallito, cliccò lo stesso.
Davanti a lui, si aprì un immagine, sul quale era raffigurato un cavallo di razza adulta e dal pelo scuro, vicino al quale c'era un ragazzo sorridente.
Federico stava quasi per chiudere tutto, abbandonando così le sue ricerche, ma qualcosa lo spinse ad aprire quell'immagine, notando in quel sorriso qualcosa di troppo familiare, e quando l'immagine davanti a lui si ingrandì, per poco non gli venne un infarto.

Era proprio lui, il ragazzo che tre anni prima gli salvò la vita trascinandolo in ospedale dopo quell'esplosione.
Giunse le mani sul viso come in preghiera per lo stupore, restando ad osservare quel viso che per anni non aveva mai dimenticato.
Dopo alcuni istanti, si risvegliò da quello stato e su un pezzo di carta scarabocchiò l'indirizzo sopra indicato, e prenotò un biglietto solo andata per Hamilton, Carolina del Nord.
Da sotto al suo letto tirò una valigia di medie dimensioni e la riempì con alcuni vestiti presi dall'armadio e due paia di scarpe.
Prese spazzolino, dentifricio e deodorante, si preparò un panino per il viaggio con senape e tacchino e lo avvolse nella stagnola.
Chiuse il gas e abbassò tapparelle delle finestre, assicurandosi di averle chiuse in modo che nessuno potesse entrare durante la sua assenza e chiuse a chiave la porta di casa alla sue spalle, certo che non l'avrebbe rivista per un po' di tempo.

Si svegliò di soprassalto, le gambe stese sul sedile di fianco al suo e la testa appoggiata al finestrino.
La posizione in cui si era addormentato era davvero scomoda, e questo gli provocò un dolore nel collo quando provò a raddrizzarsi.
Sospirando, si portò le mani sul punto dolorante e con movimenti circolari delle dita iniziò a massaggiare quella zona, e il dolore pian piano svanì.
L'orologio sul suo polso gli fece capire che era appena tardo mattino, e secondo i suoi calcoli, sarebbero già dovuti arrivare.
Dopo circa dieci minuti, l'autobus si fermò in una stazione di sosta lì vicino e Federico scese per sgranchirsi le gambe.
Guardandosi intorno si accorse di quanto quella città gli piacesse al primo sguardo, e forse pensò che in fondo, era un bel posto in cui rimanere per un po'.
Da lontano vide un'edicola, dove comprò con i pochi soldi che aveva portato con sé una mappa del posto.
Dopo aver localizzato la sua posizione, si accorse di essere lontano pochi metri dal maneggio in cui era diretto, e così prese la sua valigia dal bagagliaio del mezzo con cui era arrivato lì e si avviò a piedi in quella direzione, ignorando gli sguardi interrogativi della gente.
Risalì su per una collina, dove sulla cima un grande edificio affiancato da una stalla si ergeva davanti a lui.
Girò il capo da una parte all'altra, fermandolo sulla sua sinistra in cui in un grande recinto un ragazzo teneva le briglie di un cavallo cavalcato da una bambina.
Un fuoco si accese dentro di lui e quando raggiunse la staccionata della recensione, si accorse che il ragazzo, era quel ragazzo.

Appoggiò i gomiti sulle travi di legno e con occhi incantati osservò tutti i suoi movimenti, che agli occhi del biondo risultavano fluidi e naturali.
Per un attimo, ma che a entrambi sembrarono di più, i loro occhi si incrociarono, e Federico in quel momento si sentì a casa come tre anni prima.

Before you go. | Fenji Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora