Capitolo Cinque: Falsa identità;

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Capitolo Cinque: Falsa identità;

Al primo squillo della campanella, Louis si fiondò fuori dall'aula, mentre i suoi amici e il professore di matematica stavano ancora riordinando fogli e borse. Quel giorno non si sentiva bene, e quella scuola stava diventando soffocante. Così tanta pressione da parte di sua madre, suo padre, la sua famiglia in generale. Avrebbe gradito delle rassicurazioni, una pacca sulla spalla, alcuni complimenti modesti. Eppure non cambiava mai nulla, sembrava indietreggiare anziché andare avanti. Alcune voci della scuola affermavano che il sesto posto per cui aveva duramente faticato era raccomandato, quando invece, se avesse voluto facilitare le cose, sua madre l'avrebbe volentieri posizionato più in alto sulla classifica. Sua madre non si accontentava mai, e Louis cercava in ogni modo di essere il figlio che desiderava. In quanto unico figlio maschio e con quattro sorelle, doveva dimostrarsi degno di mandare avanti la società di famiglia.

Anche nel mezzo della calca di studenti, Louis riuscì a raggiungere l'entrata – e in questo caso uscita – dell'istituto. Sentiva già l'aria fresca di ottobre, la sensazione di essere libero per la fine della giornata, quando una voce lo richiamò. Louis frenò all'istante, le suole di gomma delle converse strisciarono rumorosamente sul pavimento liscio. Voltò il capo per incrociare l'espressione seria e lo sguardo severo della donna che più lo assillava nella sua vita. Sua madre. Andare a scuola aveva i suoi lati negativi, ed era ancor di più insopportabile se tua madre era la preside e fondatrice della tua classe.

«Louis, allora?» disse la donna con tono scocciato.

«Cosa?» chiese Louis, tornando improvvisamente con i piedi per terra. Sua madre doveva aver detto qualcosa, ma la sua mente non aveva recepito nemmeno una parola.

«Ho detto vieni nel mio ufficio» ripeté scandendo ogni parola lentamente.

Louis roteò gli occhi e seguì sua madre. Johannah Poulston era una donna elegante e raffinata, lunghi capelli scuri e freddi occhi ghiaccio. Tuttavia aveva in sé un innato spirito materno, o non avrebbe mai concepito cinque figli.

Johannah si accomodò sulla sua poltrona in pelle a schienale alto e intrecciò le mani in grembo e invitò suo figlio a sedersi. Come se ce ne fosse bisogno. Sul posto di lavoro si comportava in modo così formale da dimenticarsi tutte le volte in cui Louis aveva giocato lì da piccolo.

«Tutto bene oggi?» si informò premurosa sua madre, guardandolo affettuosamente.

Louis si sistemò meglio sulle sedie scomode. Non capiva l'ingiustizia che portava sua madre ad avere una sedia imbottita e morbida e gli ospiti a sedersi quasi su degli scogli. «Come sempre» tagliò corto. Non voleva parlare della scuola con sua madre. Era già abbastanza ricevere un trattamento d'onore dai professori.

«Che dici, almeno l'ultimo anno riuscirai a scalare le vette?» scherzò sua madre, sorridendo, ma il sorriso non contagiò lo sguardo serio.

Louis sospirò. Gli doleva la testa e bruciavano gli occhi per lo stress della scuola, l'organizzazione del ballo e lo studio. Non era proprio la giornata adatta a discutere con sua madre. Perciò non rispose, e dopo un po' Johannah cambiò discorso, delusa e amareggiata.

«Quando imparerai, mi chiedo io» mormorò, ma non abbastanza piano, perché Louis capì ogni parola e socchiuse gli occhi. Avrebbe potuto piangere, urlarle contro che non era un oggetto o un animale da ammaestrare. Era un ragazzo e voleva vivere come tale.

«Cosa c'è?» sbottò Louis, già stufo di stare lì.

«Niente, devo solo darti una notizia. Nulla di cui preoccuparsi.» Tossicchiò per aggiustarsi la voce e si preparò a un lungo discorso. «Devi sapere che tengo molto a questa scuola, è dove ho impiegato le mie forze, i miei risparmi, la mia vita. Adoro essere mamma, ma adoro ancor di più essere a contatto con i giovani.»

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